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Quindi si girò e corse via dalla stanza.

«Dilettanti» sospirò Hunter.

Ripercorsero la strada che aveva seguito Richard.

Adesso la campana rintoccava ininterrottamente, con suono profondo. Veniva suonata da un omone nero vestito di nero, con indumenti da frate domenicano, ed era stata posta accanto al banco che Harrods riserva alle gelatine di frutta di alta qualità.

Se il mercato non poteva lasciare indifferenti, ancora di più colpiva la rapidità con cui tutto veniva smantellato, fatto a pezzi e messo via. Ogni traccia del fatto che si fosse tenuto li stava scomparendo: le bancarelle venivano smontate, impilate sulle spalle dei proprietari e portate chissà dove.

Richard scorse Old Bailey, le braccia cariche di cartelli rudimentali e gabbie per uccelli, che usciva barcollando dal negozio.

La folla si diradò. Il mercato scomparve. Il piano terra di Harrods aveva l’aspetto di sempre, stucchevole e rispettabile come tutte le volte che ci aveva fatto un giro con Jessica.

«Hunter, il Cacciatore» disse il Marchese. «Ho sentito parlare di te, naturalmente, ma dove sei stata per tutto questo tempo?»

«Ho cacciato» rispose semplicemente lei. Poi, rivolta a Porta, «Puoi prendere ordini?»

Porta annui. «Se proprio devo.»

«Bene. Allora forse posso salvarti la vita» disse Hunter. «Se accetto l’incarico.»

Il Marchese si fermò. La guardò di sottecchi, diffidente. «Hai detto se accetti l’incarico…?»

Hunter apri la porta e uscirono sul marciapiede di Londra. Era notte. Mentre si trovavano al mercato aveva piovuto e i lampioni si specchiavano sul catrame bagnato.

«L’ho accettato» disse Hunter.

Richard si sentiva sempre più un bagaglio al seguito. Porta evitava di guardarlo negli occhi, il Marchese lo ignorava e Hunter lo trattava come una cosa del tutto non pertinente.

«Sentite» disse. «Non voglio annoiare o essere di peso, ma io che faccio?»

Il Marchese si voltò a fissarlo, gli occhi grandi e bianchi nel viso scuro. «Tu?» disse. «Cosa fai tu?»

«Be’,» disse Richard «come faccio a tornare alla normalità? È come se fossi entrato in un incubo. La settimana scorsa, tutto aveva un senso e adesso di senso proprio non…» le parole gli si spensero sulle labbra. Deglutì. «Voglio sapere come fare per riavere la mia vita» spiegò.

«Non la riavrai venendo con noi, Richard» disse Porta. «Per te sarà piuttosto dura comunque. Mi… mi dispiace davvero.»

Hunter, che guidava il gruppo, si inginocchiò sul marciapiede. Si tolse dalla cintura un piccolo oggetto metallico che utilizzò per sbloccare un tombino che portava alle fogne. Lo sollevò, guardò all’interno con circospezione, scese, quindi fece entrare Porta.

Mentre scendeva, Porta evitò di guardare Richard.

Il Marchese si grattò un lato del naso. «Giovanotto,» disse «ci sono due Londra. C’è Londra Sopra — quella dove vivevi tu — e Londra Sotto — la Parte Sotterranea — abitata dalle persone che sono precipitate nelle fenditure del mondo. Tu sei uno di loro, adesso. Buona notte.»

Cominciò a scendere la scaletta del pozzetto fognario. Richard disse «Aspetti!» e afferrò il tombino prima che si chiudesse. Seguì il Marchese all’interno.

All’inizio del pozzetto il tanfo di cloaca era molto forte — un’untuosa puzza di cavolo, di morte. Si aspettava che scendendo peggiorasse, invece si dissipò abbastanza rapidamente.

Dell’acqua grigia correva, poco profonda ma veloce, sul fondo del tunnel di mattoni.

Richard ci mise dentro i piedi. Poco più in là poteva scorgere la luce degli altri, perciò si mise a correre, schizzando, lungo il tunnel finché li raggiunse.

«Vattene» disse il Marchese.

«No» rispose lui.

Porta lo guardò. «Mi dispiace tanto, Richard» disse.

Il Marchese si intromise. «Non puoi tornare alla tua vecchia casa, al tuo vecchio lavoro o alla tua vecchia vita» gli disse, quasi con gentilezza. «Non esiste nessuna di quelle cose. Lassù, tu non esisti.» Erano arrivati a un raccordo, un luogo dove si univano tre tunnel. Porta e Hunter si infilarono in uno dei tre, quello dove non scorreva acqua, senza guardarsi indietro. Il Marchese indugiava.

«Devi solo cercare di affrontare la situazione nel miglior modo possibile» disse a Richard. «Nelle fognature, nella magia e nel buio.» Poi fece un ampio sorriso: «Bene, felice dì averti rivisto. Tutta la fortuna del mondo. Se riesci a sopravvivere per i prossimi due o tre giorni, forse puoi anche riuscire a farcela per un mese intero.»

Detto questo si voltò e prese a percorrere la fogna a grandi passi.

Richard si appoggiò al muro, ascoltando l’eco dei tacchi che si allontanavano, il flusso dell’acqua che gli correva accanto, diretta all’impianto di pompaggio della zona est, e il lavorio della fogna.

«Merda» esclamò.

Poi, con sua grande sorpresa, per la prima volta dopo la morte di suo padre, da solo, al buio, Richard Mayhew si mise a piangere.

La stazione della metropolitana era quasi deserta e quasi buia. Varney la attraversò, rasentando i muri, lanciando occhiate nervose dietro di sé e di fronte, da un lato e dall’altro.

Aveva scelto una stazione a caso ed era andato in quella direzione sui tetti e tra le ombre, accertandosi di non essere seguito. Non aveva intenzione di tornare al covo nei tunnel profondi di Camden Town. Troppo rischioso. C’erano altri posti in cui Varney aveva nascosto armi e cibo. Sarebbe rimasto in superficie per un po’. Fino a che la faccenda fosse passata nel dimenticatoio.

Si fermò accanto a un distributore di biglietti, in ascolto, nel buio.

Silenzio assoluto. Certo di essere solo, si concesse di rilassarsi. Si fermò in cima alla scala a chiocciola e fece un respiro profondo.

Una voce vicino a lui, untuosa come olio lubrificante esausto, disse con tono colloquiale, «Varney è il miglior bravo e guardia del corpo del Mondo di Sotto. Lo sanno tutti. Ce l’ha detto il signor Varney in persona.»

E una voce dall’altro lato rispose, dolcemente, «Non è carino mentire, mister Croup.»

Nell’oscurità più fitta, mister Croup caldeggiò il concetto. «No, non lo è, mister Vandemar. Devo dire che la considero un’offesa personale, che mi ha profondamente ferito. E deluso. Quando non si hanno lati positivi, le delusioni non si prendono molto bene, che ne pensa mister Vandemar?»

«Tutto il male possibile, mister Croup.»

Varney si lanciò in avanti e si mise a correre nel buio, scendendo a capofitto per la scala a chiocciola.

Una voce dalla cima delle scale, quella di mister Croup: «Dovremmo considerarla una vera e propria forma di eutanasia.»

Il rumore dei piedi di Varney si allontanò fragorosamente dalla ringhiera di metallo, riecheggiando per la tromba delle scale. Ansava e ansimava, le spalle che rimbalzavano contro il muro, mentre ruzzolava in avanti alla cieca, nell’oscurità.

Raggiunse gli scalini più in fondo, dove un cartello segnalava ai passeggeri in uscita che per arrivare in cima c’erano 259 gradini, e che soltanto persone in piena forma potevano anche solo pensare di tentare l’impresa. Tutti gli altri, suggeriva il cartello, avrebbero fatto meglio a usare l’ascensore.

L’ascensore?

Qualcosa produsse un suono metallico, e le porte dell’ascensore si aprirono con maestosa lentezza, inondando di luce il corridoio.

Varney armeggiò alla ricerca del coltello: prese a imprecare, accorgendosi che ce l’aveva ancora quella puttana di Hunter. Allungò la mano verso il machete che teneva nel fodero sulla spalla.

Era sparito.

Dietro di sé udì un educato tossicchiare, e si voltò.

Mister Vandemar era seduto sui gradini in fondo alla scala a chiocciola.