In lontananza, una fiammella tremolò e si accese. Poi un’altra. E un’altra ancora. Era una miriade di candele, e verso di loro, camminando in mezzo alle candele, veniva una figura alta, vestita di un semplice abito bianco.
La figura sembrava muoversi lentamente, ma doveva invece camminare con grande rapidità, dato che dopo pochi secondi era già al loro fianco. Aveva i capelli dorati e il viso pallido. Non era molto più alto di Richard ma lo faceva sentire come un bambino piccolo. Non era un uomo. Non era una donna. Era molto bello.
Aveva una voce pacata, e disse, «Lady Porta, vero?»
Porta rispose «Si.»
Un sorriso gentile. Un cenno del capo verso di lei, con aria quasi umile. «È un onore incontrare finalmente te e il tuo compagno. Sono l’Angelo Islington.»
Aveva occhi grandi e limpidi. Il suo abito non era bianco come Richard aveva inizialmente pensato: sembrava intessuto di luce.
Richard non credeva agli angeli. Non aveva mai creduto agli angeli, e, dannazione, non avrebbe certo cominciato ora. Tuttavia, è molto più facile non credere a qualcosa quando non ti sta guardando dritto in faccia, chiamandoti per nome.
«Richard Mayhew» disse. «Anche tu sei il benvenuto qui, nei miei saloni.»
Si voltò. «Vi prego,» disse «seguitemi.»
Richard e Porta seguirono l’angelo. Le candele si spegnevano da sole al loro passaggio.
Il Marchese de Carabas attraversò a grandi passi l’ospedale vuoto, facendo scricchiolare vetri rotti e vecchie siringhe sotto la punta quadrata degli stivali neri da motociclista.
Attraversò una doppia porta che conduceva a una scala sul retro. Scese i gradini.
Attraversò i tunnel sotterranei dell’edificio, muovendosi con un po’ di fastidio intorno ai mucchi di immondizia in disfacimento. Attraversò le docce e i bagni, scese una vecchia scaletta di ferro che portava a una zona paludosa, quindi apri una porta di legno mezza marcia e entrò.
Si guardò intorno, ispezionando con disprezzo il gattino mangiato a metà e la pila di lamette da barba.
Poi rimosse i detriti da una sedia e si mise comodamente a sedere, nella lussuosa umidità dello scantinato, e chiuse gli occhi.
Finalmente la porta della stanza venne aperta, e qualcuno entrò.
Il Marchese de Carabas apri gli occhi e sbadigliò. Poi illuminò mister Croup e mister Vandemar con un largo sorriso.
«Salve, ragazzi» disse de Carabas. «Pensavo fosse arrivato il momento di venire qui giù a parlarvi di persona.»
DIECI
«Bevete vino?» domandò.
Richard annuì.
«Ho bevuto del vino solo poche volte» disse Porta. «Mio padre. Lui a cena ci permetteva di assaggiarlo.»
L’Angelo Islington sollevò la bottiglia. Pareva una sorta di caraffa da decantazione. Richard si chiese se fosse di vetro, poiché rifrangeva e rifletteva la luce delle candele in modo molto insolito. Forse si trattava di un cristallo, o di un unico gigantesco diamante. Dava addirittura l’impressione che il vino all’interno brillasse, come fosse fatto di luce.
L’angelo tolse la parte superiore del cristallo e versò due dita del liquido in esso contenuto in un bicchiere da vino. Era vino bianco, ma di un tipo che Richard non aveva mai visto. Spargeva luce all’intorno, come i raggi del sole su una piscina.
Porta e Richard si sedettero a un tavolo di legno annerito dal tempo, su enormi sedie di legno, senza proferire parola.
«Si tratta» spiegò Islington «dell’ultima bottiglia di questo vino. Uno dei tuoi antenati me ne aveva donate una dozzina.»
Porse il bicchiere a Porta, e cominciò a versare altre due dita di quel vino luminoso dalla caraffa in un secondo bicchiere. Agiva con reverenza, quasi con amore, come un sacerdote che esegue un rituale.
«Si trattava di un regalo di benvenuto. Erano, oh, trenta, quarantamila anni fa. Parecchio tempo, comunque.»
Passò il vino a Richard.
«Immagino mi accuserete di sperperare qualcosa che dovrei invece tenere in gran conto» disse l’angelo. «Ma ricevo ospiti cosi di rado. E la via per giungere fin qui è molto difficile.»
«L’Angelus…» mormorò Porta.
«Voi siete arrivati qui adoperando l’Angelus, certo. Ma è una strada che ogni viaggiatore può percorrere una sola volta.» L’angelo sollevò in alto il suo bicchiere, fissando la luce. «Bevete piano» li ammonì. «È incredibilmente forte.» Si sedette al tavolo, tra Richard e Porta. «Quando lo si assaggia» disse pensoso «è come immaginare di gustare realmente il sole dei tempi che furono.» Alzò il bicchiere. «Un brindisi: alle glorie passate.»
«Alle glorie passate» ripeterono in coro Richard e Porta. Poi, con un po’ di cautela, assaggiarono il vino, sorseggiando, non bevendo.
«È stupefacente» disse Porta.
«Davvero» concordò Richard. «Pensavo che il vino vecchio diventasse aceto se esposto all’aria.»
L’angelo scosse il capo. «Non questo. È per il tipo di vite e per il luogo in cui è cresciuta. Purtroppo tutto il vitigno è stato distrutto quando la vigna è scomparsa tra le onde.»
«È magico» disse Porta, sorseggiando la luce liquida. «Non avevo mai assaggiato niente di simile.»
«E non l’assaggerai mai più» disse Islington. «Non è rimasto altro vino di Atlantide.»
Richard apri la bocca per dire al padrone di casa che Atlantide non è mai esistita, ma si rese conto che neppure gli angeli esistevano, e comunque la maggior parte delle cose che gli erano accadute negli ultimi giorni era impossibile, quindi richiuse la bocca e gustò un altro sorso di vino.
Lo faceva sentire felice. Lo faceva pensare a cieli più vasti e più azzurri di quanto avesse mai visto, con un sole dorato appeso proprio nel mezzo; tutto era più semplice, tutto più giovane rispetto al mondo che conosceva.
Alla loro sinistra c’era una cascata; limpide acque che scendevano veloci dai sassi per raccogliersi nello stagno scavato nella roccia. Sulla destra, tra due piloni di ferro, c’era una porta, costruita con silice liscia posta in una cornice di metallo ormai quasi nera.
«Pretendi davvero di essere un angelo?» chiese Richard. «Voglio dire, hai veramente incontrato Dio e tutto il resto?»
Islington sorrise, tollerante. «Io non pretendo nulla, Richard. Però sono un angelo.»
«E ci fai un grande onore» disse Porta.
«No. Siete stati voi a farmi un onore ben più grande venendo qui. Tuo padre era un brav’uomo, Porta, e per me un vero amico. La sua morte mi ha profondamente rattristato.»
«Ha detto… nel suo diario… ha detto che dovevo venire da te. Ha detto che potevo fidarmi di te.»
«Spero soltanto di essere degno di tale fiducia.» L’angelo sorseggiò il suo vino. «Londra Sotto è la seconda città di cui mi sono preso cura. La prima è affondata tra le onde, e non c’era nulla che potessi fare per evitarlo. So cosa significa il dolore, e la perdita. Ti faccio le mie condoglianze. Cosa vorresti sapere?»
Porta esitò un istante. «La mia famiglia… sono stati uccisi da mister Croup e mister Vandemar. Ma — chi l’ha ordinato? Voglio… voglio sapere perché.»
L’angelo annui. «Molti segreti trovano il modo di arrivare fino a me» disse. Poi si rivolse a Richard. «E tu? Tu cosa vuoi, Richard Mayew?»
Richard si strinse nelle spalle. «Rivoglio la mia vita. E il mio appartamento. E il mio lavoro.»
«Questo può accadere» disse l’angelo.
«Già. Bene» commentò Richard con tono piatto.
«Dubiti di me, Richard Mayhew?» chiese l’Angelo Islington. Richard lo guardò negli occhi. Si trovò a fissare occhi antichi come l’universo: occhi che avevano visto la polvere di stelle condensarsi in galassie.