Mister Croup sorrise come un teschio. «In effetti è vero che sono noto per avere occasionalmente acquistato qualche pezzo Tang. Quello è in vendita?»
«Nel Mondo di Sotto non siamo molto portati per la compravendita, mister Croup. Baratto. Scambio. Ecco quello che cerchiamo. Comunque si, certo, questo desiderabile oggettino è sicuramente qui per essere arraffato.»
«Di’ il tuo prezzo» disse mister Croup.
Il Marchese fece un sospiro di sollievo. «Primo, tre risposte a tre domande» disse.
Croup annui. «Reciproco. Anche noi otteniamo tre risposte.»
«D’accordo» disse il Marchese. «Secondo, un salvacondotto per andarmene da qui. E accettate di darmi almeno un’ora di vantaggio.»
Croup annuì con foga. «Concesso. Fai la tua prima domanda.» Il suo sguardo era fisso sulla statuina.
«Prima domanda: per chi lavorate?»
«Oh, questa è facile» disse mister Croup. «È una risposta semplice. Lavoriamo per il nostro principale, che desidera restare anonimo.»
«Hmm. Perché avete ucciso la famiglia di Porta?»
«Ordini del principale» rispose mister Croup, il cui sorriso diventava più volpino di minuto in minuto.
«Perché non avete ucciso Porta quando ne avete avuto l’occasione?»
Prima che mister Croup potesse rispondere, mister Vandemar disse, «Dobbiamo tenerla in vita. È l’unica che può aprire la porta.»
Mister Croup lanciò un’occhiata furiosa al suo socio. «Bravo!» disse. «Perché non gli racconta tutto?»
«Volevo partecipare anch’io» mormorò mister Vandemar.
«Bene» disse mister Croup. «Hai avuto le tue tre risposte, per quello che ti possono servire. La mia prima domanda è: perché la stai proteggendo?»
«Suo padre mi ha salvato la vita» rispose il Marchese. «Non gli ho mai ripagato il debito. E io preferisco avere crediti, piuttosto.»
«Ho una domanda» intervenne mister Vandemar.
«Anch’io, mister Vandemar. Quello del Mondo di Sopra, Richard Mayhew, perché viaggia con la ragazza? Perché glielo permette?»
«È solo sentimentalismo, da parte sua» spiegò il Marchese de Carabas.
«Adesso io» disse mister Vandemar. «A che numero sto pensando?»
«Come, scusa?»
«A che numero sto pensando?» ripeté mister Vandemar. E, per aiutare ulteriormente, aggiunse, «È tra uno e un sacco.»
«Sette» rispose il Marchese.
Mister Vandemar annui, molto colpito.
Mister Croup cominciò, «Dov’è la…» ma il Marchese scosse il capo. «Ah-ah» disse. «Stiamo diventando ingordi!»
Nello scantinato umido ci fu un momento di assoluto silenzio. Poi l’acqua prese a colare e i vermi a strisciare, e il Marchese disse, «Un’ora di vantaggio, ricordatevelo.»
«Naturalmente» disse mister Croup.
Il Marchese de Carabas lanciò la figurina a mister Croup, che l’afferrò con impazienza, come un tossicodipendente che afferri una bustina di plastica piena di una polverina bianca di dubbia legalità.
Poi, senza voltarsi indietro, il Marchese lasciò il sotterraneo.
Mister Croup esaminò minuziosamente la statuetta, girandola e rigirandola tra le mani, come un prete dickensiano appartenente alla chiesa della Mostra itinerante dell’antiquariato. Di quando in quando la lingua gli sporgeva tra le labbra, simile a quella di un serpente.
«Oh, bella, bella» sussurrava. «È davvero della dinastia Tang. Vecchia di milleduecento anni, le più raffinate figurine di porcellana mai realizzate su questa terra. Questa è stata creata da Kai Lung, il migliore dei ceramisti: non ne esiste un’altra uguale. Esamini il colore della vetrina; il senso delle proporzioni; la vita…» Sorrideva, ora, come un bambino; il sorriso innocente sembrava perso e confuso sull’ambiguo terreno della faccia di mister Croup. «Regala al mondo un tocco in più di meraviglia e di bellezza.»
Quindi la bocca gli si allargò in un ghigno eccessivo, abbassò la faccia verso la figurina e ne frantumò la testa tra i denti, mordendo e masticando selvaggiamente, inghiottendo pezzo dopo pezzo. I denti avevano ridotto la porcellana a una polvere sottile che gli ricopriva la parte inferiore del viso.
Si compiaceva di quella distruzione, e le dedicava la strana follia e l’incontrollabile brama sanguinaria di una volpe in un pollaio.
Poi, quando non rimase altro che polvere, si rivolse a mister Vandemar. Sembrava insolitamente mite, quasi languido. «Quanto tempo abbiamo detto che gli concedevamo?»
«Un’ora.»
«Hmm. E quanto è trascorso?»
«Sei minuti.»
Mister Croup abbassò la testa e si passò un dito sul mento, che leccò per non sprecare neppure una piccola parte della polvere di porcellana.
«Lo segua, mister Vandemar» disse mister Croup. «Io ho bisogno di qualche altro minuto per assaporare il momento.»
Hunter senti il rumore dei loro passi mentre scendevano le scale. Era in piedi nell’ombra, a braccia incrociate, nella stessa posizione in cui si trovava quando l’avevano lasciata.
Richard canterellava a bocca chiusa, in modo enfatico.
Porta non riusciva a smettere di ridacchiare. Si fermava e diceva a Richard di stare zitto. Per ricominciare subito a ridacchiare.
Passarono davanti a Hunter senza accorgersene.
Lei usci dall’ombra e disse, «Siete stati via otto ore.» Era un’affermazione del tutto priva di biasimo o di curiosità.
Porta la guardò di sottecchi. «Non mi è sembrato cosi tanto.»
Hunter non commentò.
Richard le fece un largo sorriso un po’ offuscato. «Non vuoi saper cos’è successo? Be’, mister Croup e mister Vandemar ci hanno teso un’imboscata. Purtroppo non avevamo una guardia del corpo a portata di mano, ma gliel’ho fatta vedere io.»
Hunter inarcò un sopracciglio perfetto. «Mi sento in soggezione davanti al tuo talento pugilistico» disse con freddezza.
Porta sogghignò. «Sta scherzando. In realtà — ci hanno uccisi.»
«In quanto esperta nella terminazione delle funzioni organiche vitali» disse Hunter «mi permetto di non essere d’accordo. Nessuno di voi è morto. A occhio e croce direi che siete entrambi molto ubriachi.»
Porta fece la linguaccia alla sua guardia del corpo. «Stupidaggini. Ne ho toccata appena una goccia. Tanto così.»
Allungò due dita per mostrare che quantità infinitesimale fosse «tanto cosi.»
«Siamo solo andati a una festa» spiegò Richard «e abbiamo visto Jessica e abbiamo visto un vero angelo e ci hanno dato un porcello pazzerello tutto nero e cicciottello e siamo tornati qui.»
«Abbiamo bevuto pochissimo» continuò Porta, tutta seria. «Un vino vecchio vecchio. Pochiiino pochiiino. Proprio poco. Quasi niente.»
Cominciò ad avere il singhiozzo. Poi si mise di nuovo a ridacchiare. Fu interrotta da un singhiozzo e si sedette di colpo sulla banchina.
«Penso che forse siamo un po’ sbronzi» ammise Porta, già più sobria. .
Quindi chiuse gli occhi e iniziò solennemente a russare.
Il Marchese de Carabas correva lungo le strade sotterranee come se avesse alle calcagna tutti i diavoli dell’inferno. Avanzava sguazzando nei quindici grigi centimetri del fiume Tyburn, il fiume dell’impiccato, al sicuro nell’oscurità di una fognatura di mattoni sotto Park Lane, alla volta di Buckingham Palace. Aveva corso per diciassette minuti.
Circa un metro al di sotto di Marble Arch si fermò. La fognatura si divideva in due diramazioni.
Il Marchese de Carabas scelse quella a sinistra.
Parecchi minuti più tardi, mister Vandemar si incamminava nella fognatura. Raggiunto il punto di confluenza, si fermò per qualche istante, annusando l’aria. Poi, anche lui prese la diramazione di sinistra.