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E Islington si svegliò.

Era in piedi accanto alla grande porta nera, fatta di silice e argento annerito. Sfiorò la liscia freddezza della silice, il gelo del metallo.

Toccò il tavolo. Con leggerezza, fece scorrere le dita lungo i muri.

Poi si incamminò attraversando tutte le stanze dei suoi saloni, una dopo l’altra, toccando gli oggetti.

Camminando, seguiva un percorso ben preciso, delle levigate scanalature che i suoi piedi nudi avevano scavato nella roccia nel corso dei secoli. Raggiunto lo stagno, si fermò. Si chinò e toccò l’acqua con le dita.

Sulla superficie dello stagno si formò un’increspatura, e il riflesso dell’angelo e delle candele che lo circondavano scintillò e si trasformò.

Ora vedeva uno scantinato.

L’angelo si concentrò un momento.

Poteva udire un telefono che squillava, da qualche parte, lontano.

Mister Croup si diresse verso il telefono e sollevò il ricevitore. Pareva alquanto soddisfatto di sé. «Croup e Vandemar,» latrò «occhi cavati, nasi deformati, lingue forate, menti tagliati, gole squarciate.»

«Mister Croup,» disse l’angelo «adesso hanno la chiave. Voglio che la ragazza di nome Porta non corra pericoli durante il viaggio che la ricondurrà da me.»

«Niente pericoli» ripeté mister Croup, impassibile. «D’accordo. Faremo in modo che non corra pericoli. Che idea meravigliosa — quale originalità. Assolutamente sbalorditiva. La maggior parte delle persone si accontenterebbe di assoldare degli assassini per esecuzioni, ingegnosi delitti, persino per ignobili omicidi. Solo voi, signore, potete assoldare i due migliori tagliagole di tutto lo spazio e il tempo e chiedere loro di assicurare che la salute di una ragazzina non venga messa a rischio.»

«Fate in modo che le cose vadano cosi, mister Croup. Nulla deve nuocerle. Fatele del male in qualche modo e ne sarò profondamente dispiaciuto. Chiaro?»

«Si.»

«C’è altro?» chiese Islington.

«Si, signore.» Croup si tossicchiò nella mano. «Ricordate il Marchese de Carabas?»

«Certamente.»

«Suppongo che non ci sia una proibizione simile riguardo all’estirpazione del Marchese…?»

«No,» disse l’angelo «basta che proteggiate la ragazza.»

Allontanò la mano dall’acqua. Ora il riflesso era solo di fiammelle di candela, e di un angelo.

Quindi, l’Angelo Islington si alzò e ritornò alle stanze interne, in attesa dei suoi risolutivi visitatori.

«Cosa ha detto?» domandò mister Vandemar.

«Ha detto, mister Vandemar, che dobbiamo sentirci liberi di fare al Marchese tutto ciò che desideriamo.»

Vandemar annui. «Questo prevedeva anche la possibilità di ucciderlo facendolo soffrire?» chiese.

«Si, mister Vandemar, riflettendoci bene direi proprio di si.»

«Ottimo, mister Croup. Non mi sarebbe piaciuto un altro rimprovero.» Alzò lo sguardo verso la cosa sanguinolenta che penzolava sopra le loro teste. «Meglio sbarazzarci del corpo, allora.»

Una delle rotelle anteriori del carrello del supermercato cigolava e aveva la pronunciata tendenza a tirare verso sinistra. Mister Vandemar l’aveva trovato su un’erbosa isola spartitraffico vicino all’ospedale. Vedendolo, si era reso conto che era proprio della misura giusta per trasportare un cadavere. Naturalmente avrebbe potuto portarlo a braccia, ma era probabile che il corpo sanguinasse o perdesse altri fluidi, e lui aveva soltanto quei vestiti.

Quindi stava spingendo il carrello con il corpo del Marchese de Carabas lungo il canale di scolo delle acque piovane, e quello continuava a fare squiik squiik e a tirare verso sinistra.

Avrebbe voluto che fosse mister Croup a spingere il carrello, tanto per cambiare.

Ma mister Croup stava parlando. «Sa, mister Vandemar,» stava dicendo «attualmente sono troppo pieno di gioia, troppo deliziato, per non dire troppo completamente e illimitatamente in estasi per brontolare, bofonchiare o borbottare — dato che finalmente ci è stato permesso di fare ciò che sappiamo fare meglio…»

Mister Vandemar superò un angolo particolarmente disagevole. «Intende dire uccidere qualcuno?»

Mister Croup fece un sorrisone. «Uccidere qualcuno, è proprio quello che intendevo, mister Vandemar, anima coraggiosa, brillante e nobile compagno. Tuttavia, a questo punto avrà certo percepito un latente ’ma’ celato sotto la mia apparenza felice, vivace e gioiosa. Una minuscola contrarietà, come il più infinitesimale pezzetto di fegato crudo appiccicato all’interno di uno stivale. Non ho dubbi che ora si starà dicendo, ’Mister Croup ha un peso sul cuore. Devo convincerlo a liberarsi di quel fardello parlandone con me’.»

Mister Vandemar meditava su quelle parole mentre apriva a forza la tonda botola di ferro che divideva il canale di scolo dalla fognatura e ci si arrampicava a fatica. Poi sollevò il carrello con il corpo del Marchese de Carabas per farlo passare attraverso l’apertura. Quindi, quasi certo di non aver pensato a nulla di simile, disse, «No.»

Mister Croup ignorò l’esternazione e continuò. «… E se, in risposta alla sua implorazione decidessi di rivelarle ciò che mi disturba, le confesserei che il mio animo è infastidito dalla necessità di mettere la fiaccola sotto il moggio. Dovremmo esporre i tristi resti del fu Marchese de Carabas sulla forca più alta di Londra Sotto, non gettarli via come un vecchio…»

Esitò, alla ricerca dell’analogia più esatta.

«Ratto?» suggerì mister Vandemar. «Parrocchetto canoro? Rene?»

A mister Croup non piaceva nessuna delle tre alternative. «Si, va be’» disse.

Davanti a loro c’era un profondo canale di acqua marrone. Sulla superficie dell’acqua venivano trascinate masse schiumose biancastre, preservativi usati e occasionali frammenti di carta igienica.

Mister Vandemar fermò il carrello.

Mister Croup si chinò, sollevò la testa del Marchese prendendola per i capelli e gli sibilò nell’orecchio morto, «Prima questa faccenda sarà finita e risolta e più sarò contento. Ci sono altri tempi e altri luoghi in grado di apprezzare adeguatamente due paia di mani abili con il filo della garrota e il coltello per disossare.»

Quindi si raddrizzò. «Buonanotte, buon Marchese. Non dimenticarti di scrivere.»

Mister Vandemar capovolse il carrello e il cadavere del Marchese ruzzolò fuori e cadde schizzando nell’acqua marrone sotto di loro.

E dato che era arrivato a detestarlo profondamente, mister Vandemar spinse nella fogna anche il carrello del supermercato, rimanendo a guardare la corrente che se lo portava via.

Allora mister Croup alzò il più possibile la sua lampada e si mise a osservare il luogo in cui si trovavano.

«Fa tristezza pensare» disse mister Croup «che ci sono persone che percorrono le strade là sopra che non conosceranno mai la bellezza di queste fognature, mister Vandemar. Queste cattedrali di mattoni rossi che si ergono sotto i loro piedi.»

«Alto artigianato» convenne mister Vandemar.

Voltarono le spalle alle acque marroni e ripercorsero la strada lungo i tunnel.

«Per le città, come per le persone, mister Vandemar,» disse compassato mister Croup «le condizioni dell’intestino sono della massima importanza.»

Porta si legò la chiave intorno al collo con un pezzo di corda che aveva trovato in una delle tasche del suo giaccone di pelle.

«Non è molto sicuro» disse Richard.

La ragazza gli fece una smorfia.

«Be’,» ribatté lui «non lo è.»

Lei si strinse nelle spalle. «D’accordo» disse. «Prenderò una catena adatta quando andremo al mercato.»

Stavano attraversando un dedalo di caverne, profondi tunnel intagliati nel calcare che facevano sentire Richard quasi preistorico.