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«Ce l’ho io la chiave» senti dire Porta.

«Se tu avessi un coltellino svizzero» continuava mister Vandemar rivolto a Richard con tono servizievole, «potrei farti vedere come si usano tutti i pezzi. Anche l’apribottiglie, e gli attrezzi per togliere i sassi dagli zoccoli dei cavalli.»

«Lo lasci, mister Vandemar. Ci sarà tutto il tempo per i coltellini svizzeri. Allora, vediamo se ha il lasciapassare.»

Mister Croup frugò nelle tasche di Porta e prese la statuetta scolpita nell’ossidiana: la piccola Bestia.

La voce di Hunter era bassa e sonora. «E io? Dov’è il mio compenso?»

Mister Croup tirò su col naso e le lanciò la sacca per le canne da pesca. Lei l’afferrò con una mano.

«Buona caccia» disse mister Croup. Poi lui e mister Vandemar si voltarono e si incamminarono lungo la tortuosa discesa di Dawn Street, con Porta nel mezzo.

Hunter si inginocchiò e cominciò a sciogliere i lacci della borsa. Aveva gli occhi grandi e luminosi.

Richard giaceva a terra e la osservava.

«Cos’è?» chiese. «Trenta denari?»

Lei la estrasse, lentamente, dalla guaina di stoffa, accarezzandola e lisciandola con le dita. Amandola.

«Una lancia» disse.

Era fatta di un metallo color bronzo; la lama era lunga e ricurva come un kris, tagliente da un lato, seghettata dall’altro; dei volti erano stati scolpiti sull’impugnatura, che appariva verde di verderame, e decorata con strani disegni e insolite volute. Era lunga circa un metro e mezzo, dalla punta della lama alla fine dell’impugnatura. Hunter la toccava quasi con timore, come fosse la cosa più bella che avesse mai visto.

«Hai venduto Porta per una lancia» disse Richard.

Lei non rispose. Si inumidì le dita con la lingua rosea e con dolcezza le passò lungo la lama, controllando l’affilatura; sembrò soddisfatta.

«Hai intenzione di uccidermi?» chiese Richard.

Allora lei voltò la testa e lo guardò. Sembrava più viva che mai, più bella e più pericolosa. «E che razza di sfida sarebbe cacciare te, Richard Mayhew? Ho un avversario ben più grande da uccidere.»

«Quella è la tua lancia per la caccia alla Grande Bestia di Londra, vero?»

Lei guardava la lancia come mai nessuna donna aveva guardato Richard. «Dicono che nulla le possa tenere testa.»

«Ma Porta si fidava di te. Io mi fidavo di te.»

«Basta.»

Lentamente, il dolore cominciava a scemare, riducendosi a un sordo indolenzimento alla spalla, al fianco e al ginocchio. «Allora, per chi lavori? Dove la stanno portando? Chi c’è dietro tutto questo?»

«Diglielo, Hunter» stridette il Marchese de Carabas.

Teneva una balestra puntata contro Hunter, i piedi nudi ben piantati per terra, e aveva sul viso un’aria implacabile.

«Mi chiedevo se eri davvero morto come dicevano Croup e Vandemar» disse Hunter. «Mi avevi dato l’impressione di uno duro da uccidere.»

Lui piegò il capo, in un ironico inchino. «Anche tu mi dai la stessa impressione, cara signora. Ma una freccia di balestra nella gola e una caduta di un centinaio di metri potrebbero smentirmi, ti pare? Posa la lancia e fai un passo indietro.»

Appoggiò la lancia a terra, con gentilezza, con amore. Poi si alzò e si allontanò.

«Puoi anche dirglielo, Hunter» disse il Marchese. «Io lo so. Ho trovato la strada difficile. Digli chi sta dietro a tutto questo.»

«Islington» rispose lei.

Richard scosse il capo, come se stesse cercando di scacciare una mosca. «Non può essere» disse. «Cioè, ho incontrato Islington. È un angelo.» Poi, in tono quasi disperato, «Perché?»

Il Marchese non aveva staccato gli occhi da Hunter e la punta della balestra non aveva vacillato. «Vorrei saperlo. Ma Islington è in fondo a Down Street e in fondo a questa storia. E tra noi e Islington ci sono il labirinto e la Bestia. Richard, prendi la lancia. Hunter, davanti a me, per favore.»

Richard sollevò la lancia poi, goffamente, utilizzandola come punto di appoggio, si rimise in piedi. «Vuole che venga con noi anche lei?» chiese, stupito.

«Preferiresti averla alle spalle?» domandò secco il Marchese.

Richard scosse il capo.

E ricominciarono a scendere.

SEDICI

Camminarono in silenzio per ore, seguendo la sinuosa strada di pietra che portava in basso. Richard era ancora dolorante e zoppicava. Inoltre provava una strana agitazione fisica e mentale: dentro di lui si rincorrevano sensazioni di sconfitta e tradimento che, associate al rischio di perdere la vita a causa di Lamia, al danno inflittogli da mister Vandemar e all’esperienza sulla passerella là in alto, lo facevano sentire un vero rottame. E, tanto per peggiorare ulteriormente le cose, era assolutamente certo che tutte le sue esperienze dell’ultimo giorno sarebbero impallidite fino a diventare qualcosa di assolutamente insignificante se paragonate a quello che doveva avere passato il Marchese. Perciò, non diceva nulla.

Il Marchese stava in silenzio, dato che ogni parola che pronunciava gli faceva dolere la gola. Si accontentava di lasciarla guarire e di concentrarsi su Hunter. Sapeva che se avesse distolto l’attenzione anche per un solo istante, lei se ne sarebbe accorta e sarebbe scappata, o li avrebbe attaccati. Perciò, non diceva nulla.

Hunter camminava davanti a loro, a qualche passo di distanza. Anche lei non diceva nulla.

Dopo un po’ raggiunsero la fine di Down Street. La strada terminava con un cancello, un ampio passaggio ciclopico — costruito con enormi blocchi di pietra grezza.

Quel cancello l’hanno costruito i giganti, pensò Richard, senza però saper dire come avesse avuto quell’intuizione.

Da molto tempo il cancello vero e proprio si era arrugginito e sgretolato. Ne potevano ancora vedere dei frammenti nel fango sotto i loro piedi o inutilmente penzolanti dal cardine arrugginito a lato dell’ingresso. Il cardine era più alto di Richard.

Il Marchese fece cenno a Hunter di fermarsi. Si inumidì le labbra e disse, «Questo cancello segna la fine di Down Street e l’inizio del labirinto. Oltre il labirinto attende l’Angelo Islington. Nel labirinto c’è la Bestia.»

«Io ancora non capisco» disse Richard. «Islington. L’ho incontrato sul serio. Esso… Egli… Lui è un angelo. Voglio dire… un vero angelo.»

Il Marchese sorrise, senza ironia. «Quando gli angeli vanno a male, Richard, marciscono più di chiunque altro. Ricordati che anche Lucifero era un angelo.»

Hunter fissò Richard con occhi color marron glacé. «Il luogo che hai visitato tu è la cittadella di Islington, e la sua prigione. Non può lasciarla.»

Il Marchese la guardò. «Presumo che il labirinto e la Bestia siano qui per scoraggiare i visitatori.»

Lei chinò il capo. «Così presumo anch’io.»

Richard si rivolse al Marchese, eruttando tutta la rabbia, l’impotenza e la frustrazione in un’unica iraconda esplosione. «Perché diamine le rivolge la parola? Perché quella sta ancora con noi? È una traditrice — ha cercato di farci credere che il traditore era lei.»

«E ti ho salvato la vita, Richard Mayhew» disse Hunter, pacata. «Molte volte. Sul ponte. Allo Spazio Vuoto. Sulla passerella là sopra.»

Lo guardò negli occhi, e fu Richard a distogliere lo sguardo.

Qualcosa echeggiò attraverso i tunneclass="underline" un muggito, o un ruggito. I peli sulla nuca di Richard si drizzarono. Era molto lontano, ma quello era l’unico aspetto della cosa che poteva dargli un minimo di conforto. Conosceva quel suono. L’aveva già udito nei suoi sogni. Non pareva né un toro né un cinghiale. Sembrava un leone. Sembrava un drago.

«Il labirinto è uno dei luoghi più antichi di Londra Sotto» spiegò il Marchese. «Prima che re Lud fondasse il villaggio sulle paludi del Tamigi, qui c’era un labirinto.»