«Richard!» gridò. «Mi è caduta. Puoi tornare qui?»
Richard tornò sui suoi passi, tenendo alta la torcia, sperando di scorgere il luccichio della fiamma sull’ossidiana ma non vedendo altro che fango bagnato.
«Scendi a vedere» disse il Marchese.
Richard emise un gemito.
«Hai sognato la Bestia, Richard» disse il Marchese. «Vuoi davvero incontrarla?»
Richard non dovette pensarci a lungo, quindi appoggiò la lancia di bronzo, infilò la torcia nel fango in modo che potesse rimanere dritta e illuminare la superficie della palude di una discontinua luce ambrata, poi si mise carponi nel pantano a cercare la statuetta.
Faceva scorrere le mani in superficie, sperando di non incontrare facce o mani morte.
«E impossibile. Potrebbe essere ovunque.»
«Continua a cercare» disse il Marchese.
«L’ho vista!» urlò Richard.
Si dibatté nel fango in direzione della statuina. La piccola bestia lucida si trovava in una pozza di acqua scura. Forse il fango era stato disturbato dall’approssimarsi di Richard; più probabilmente, secondo i suoi forti sospetti, si trattava solo della semplice predisposizione sanguinaria del mondo fisico. In ogni modo, era a poco più di un metro di distanza dalla statuetta quando la palude fece un rumore che pareva un gigantesco brontolio di stomaco, e un’enorme bolla di gas sali in superficie, scoppiando maleficamente e oscenamente accanto al talismano, che scomparve sottacqua.
Richard raggiunse il punto dove era affondato il pegno e infilò le braccia nel fango cercando di ritrovarlo. Tutto inutile. Era sparito.
«E adesso cosa facciamo?» domandò Richard.
Il Marchese sospirò. «Torna qui, e vedremo di inventarci qualcosa.»
Con tono pacato Richard disse, «Troppo tardi.»
Arrivava verso di loro cosi lentamente, cosi pesantemente. Questo fu il suo primo pensiero. Poi si accorse di quanto terreno riusciva a coprire, e comprese l’entità del suo errore nel considerarla lenta. A una decina di metri da loro la Bestia rallentò e si fermò. I suoi fianchi fumavano. Muggi, in segno di trionfo e di sfida.
Sui fianchi e sulla schiena erano conficcate lance spezzate, spade in frantumi e coltelli arrugginiti.
La gialla luce della torcia faceva scintillare gli occhi rossi, le zanne e le corna.
Abbassò la testa massiccia. Una specie di cinghiale? pensò Richard, poi si rese conto che era una sciocchezza: nessun cinghiale potrebbe essere cosi enorme. Aveva le dimensioni di un toro, di un elefante, di un sogno. Li fissava, fermandosi per un centinaio di anni, che si manifestarono in una decina di battiti del cuore.
Hunter si inginocchiò e sollevò la lancia dalla palude, dalla Fleet Marsh. Con una voce che era gioia allo stato puro, disse, «Si! Finalmente!»
Aveva dimenticato tutto e tutti; dimenticato Richard in mezzo al fango, e il Marchese con la sua stupida balestra, e il mondo. Era estasiata e rapita, in un luogo perfetto, il mondo per cui viveva. Il suo mondo conteneva due cose: Hunter e la Bestia.
Anche la Bestia lo sapeva. Era l’incontro perfetto, il cacciatore e il cacciato. E chi fosse chi, cosa fosse cosa, solo il tempo avrebbe potuto dirlo; il tempo e la danza.
La Bestia caricò.
Hunter attese di poter vedere la saliva uscirle dalla bocca, e mentre andava verso di lei la colpi, dal basso verso l’alto, con la lancia; ma sentendo come entrava la lancia, capì di avere tardato una frazione di secondo di troppo, e la lancia le scivolò dalle mani intorpidite. Una zanna più affilata della più affilata lama di rasoio le penetrò il fianco.
Cadendo sotto la bestia, ne senti gli zoccoli che le frantumavano il braccio, l’anca e le costole. Ed ecco, se ne era andata, svanita di nuovo nell’oscurità, e la danza si era conclusa.
Mister Croup si sentiva più sollevato di quanto avrebbe mai ammesso mentre si trovavano nel labirinto. Ma lui e mister Vandemar l’avevano attraversato indenni, e lo stesso sì poteva dire della loro preda.
Di fronte avevano una parete di roccia, con una porta di quercia e uno specchio ovale incastonato nella porta.
Mister Croup toccò lo specchio con una mano lurida.
Al tocco la superficie dello specchio si appannò. L’Angelo Islington guardò fuori.
Mister Croup si schiari la voce. «Buon giorno, signore. Siamo noi, e abbiamo la giovane signora che ci avete mandato a prendere.»
«E la chiave?» La dolce voce dell’angelo sembrava provenire da tutto intorno a loro.
«Pende dal suo collo di cigno» disse mister Croup, soddisfatto.
«Entrate» disse l’angelo.
Allora la porta si spalancò e entrarono.
Era successo tutto cosi in fretta. La Bestia era uscita dall’oscurità, Hunter aveva afferrato la lancia, poi la Bestia l’aveva caricata ed era tornata a scomparire nel buio.
Richard si sforzò di sentire la Bestia. Non riusciva a sentire nulla tranne, chissà dove, il lento plip, plip dell’acqua e l’acuto gemito delle zanzare.
Hunter giaceva sulla schiena. Un braccio era piegato a formare un angolo improbabile. Strisciò verso di lei attraverso il pantano.
«Hunter?» bisbigliò. «Mi senti?»
Un momento di esitazione, poi un sussurro tanto flebile che per un attimo pensò di esserselo immaginato. «Si.»
Il Marchese era ancora a qualche passo di distanza, in piedi accanto al muro. Gridò, «Richard — resta dove sei. Il mostro sta solo aspettando il momento buono. Tornerà.»
Richard lo ignorò e parlò a Hunter.
«Ti…» esitò. Gli sembrava una cosa tanto stupida da dire, ma la disse lo stesso. «Ti rimetterai presto?»
Lei rise, poi, le labbra chiazzate di sangue, scosse il capo.
«Non ci sono dei medici quaggiù?» domandò al Marchese.
«Hmm. Non nel senso che intendi tu. Abbiamo dei guaritori, una manciata di flebotomi e cerusici…»
In quel mentre Hunter tossì e sussultò. Una striscia di sangue rosso acceso le colava dall’angolo della bocca.
Il Marchese si avvicinò. «Tieni la tua vita nascosta da qualche parte, Hunter?» domandò.
«Sono un cacciatore» bisbigliò lei, sprezzante. «Non ci preoccupiamo di queste cose…» Con molto sforzo fece entrare aria nei polmoni, poi espirò, come se il semplice atto di respirare stesse diventando troppo faticoso. «Richard, hai mai usato una lancia?»
«No.»
«Prendila» bisbigliò.
«Ma…»
«Fallo!» La sua voce era bassa e pressante. «Sollevala. Tienila in mano dalla parte che non taglia.»
Richard sollevò la lancia caduta, reggendola all’estremità non affilata. «Fino a li ci arrivavo» le disse.
Il barlume di un sorriso le si diffuse sul volto. «Lo so.»
«Ascolta,» disse Richard sentendosi, non per la prima volta, come l’unica persona sensata in una gabbia di matti, «proviamo a starcene molto tranquilli. Forse se ne andrà. Poi potremo cercare qualcuno che ti aiuti.»
E, non per la prima volta, la persona a cui si rivolgeva lo ignorò completamente. «Ho fatto una brutta cosa, Richard Mayhew» sussurrò tristemente Hunter. «Ho fatto proprio una brutta cosa. Perché volevo essere io a uccidere la Bestia. Perché mi serviva la lancia.»
Poi, incredibilmente, cominciò a tirarsi su. Richard non si era accorto della gravità delle ferite, e ora non riusciva neppure a immaginare il dolore che doveva provare. Il braccio destro penzolava inerte, con un bianco frammento di osso che sporgeva orribilmente dalla pelle. Dal taglio nel fianco perdeva molto sangue. La gabbia toracica sembrava storta.
«Fermati!» sibilò inutilmente Richard. «Rimettiti giù!»