Richard fece un gesto vago, che comprendeva ogni cosa. «Lavoro. Casa. Il pub. Incontrare ragazze. Vivere in città. La vita. È tutto qui? Non c’è altro?»
«Credo che questo riassuma tutto, sì» disse Garry.
Richard sospirò. «Be’,» disse «tanto per cominciare, non sono andato a Maiorca. Voglio dire che davvero non sono andato a Maiorca.»
Mentre andavano su e giù per il dedalo di stradine tra Regent Street e Charing Cross Road, Richard continuava a parlare. E raccontava, raccontava, iniziando con il ritrovamento di una ragazza ferita sul marciapiede, che aveva cercato di aiutare perché non poteva certo lasciarla li, e quanto era accaduto dopo. Quando ebbero troppo freddo per seguitare a camminare, entrarono in un bar di quelli da poco, aperti tutta la notte. Era molto tipico, del tipo in cui tutto viene cotto nello strutto e si serve del té serio in grandi tazze alte e sbeccate, lucide di grasso di pancetta.
Richard e Garry si misero a sedere, e Richard parlava mentre Garry ascoltava. Ordinarono uova fritte, fagioli e pane tostato e mangiarono il tutto, mentre Richard continuava a parlare e Garry continuava ad ascoltare. Trangugiarono anche l’ultimo pezzo di tuorlo e pane tostato. Bevvero altro té, finché Richard disse «… E poi Porta ha fatto qualcosa con la chiave, e io ero di nuovo qui. A Londra Sopra. Be’, la Londra vera. E, be’, il resto lo sai.»
Cadde il silenzio.
«Questo è quanto» disse Richard. Fini il té.
Garry si grattò la testa. «Senti» disse dopo un bel po’. «È tutto vero? Non c’è un qualche orribile finale? Cioè, non c’è nessuno con la telecamera pronto a saltare fuori per dirmi che sono su Candid Camera!»
«Spero sinceramente di no» disse Richard. «Tu… tu mi credi?»
Garry diede un occhiata al conto sul tavolino, contò banconote e monete e le appoggiò sul piano di formica. «Credo che, be’, qualcosa deve esserti successo, è ovvio… ma per andare al punto, tu ci credi?»
Richard lo guardava fisso. Sotto agli occhi aveva dei semicerchi neri. «Se ci credo? Non lo so più. Ci credevo. Ero là. C’è stato un momento in cui c’eri anche tu, sai.»
«Questo non me l’avevi detto.»
«È stato un momento davvero terribile. Mi dicevi che ero diventato pazzo e che me ne andavo in giro per Londra in preda alle allucinazioni.»
Uscirono dal bar e si diressero a sud, verso Piccadilly.
«Be’,» disse Garry «devi ammettere che sembra più plausibile della tua magica Londra sotterranea, dove va a finire la gente che cade nelle fenditure. Ne ho viste di persone cadute nelle fenditure, Richard: dormono nei vani delle vetrine dei negozi lungo tutto lo Strand. Non finiscono in una Londra speciale. Muoiono congelate dal freddo dell’inverno.»
Richard non disse nulla.
Garry continuò. «Penso che forse hai preso un colpo in testa. Oppure è stato una specie di shock, quando Jessica ti ha piantato. Per qualche tempo sei diventato un po’ matto, poi sei rinsavito.»
Richard rabbrividì. «Sai cosa mi fa davvero paura? Il pensiero che probabilmente hai ragione.»
«Allora la vita non è eccitante?» continuò Garry. «Benissimo. A me la noia. Almeno so dove vado a mangiare e a dormire stasera. E lunedì avrò ancora un lavoro. Giusto?» Si voltò a fissare Richard.
Lui annuì, esitante. «Giusto.»
Garry guardò l’orologio. «Per la miseria!» esclamò. «Sono le due passate. Speriamo che in giro ci sia ancora qualche taxi.» Si diressero in Brewer Street. Garry stava dissertando sui taxi. Non diceva niente di originale o di interessante. Stava semplicemente adempiendo al suo dovere di londinese di brontolare riguardo ai taxi. «… Aveva la luce accesa e tutto quanto,» stava dicendo «gli ho detto dove volevo andare e mi ha risposto, mi dispiace, sto tornando a casa, e io gli ho detto, si può sapere dove abitate tutti voi taxisti? E perché neppure uno vive dalle mie parti? Il trucco consiste nel salire prima di dire che abiti a sud del fiume, cioè, cosa stava cercando di dirmi? Quando ho nominato Battersea ha reagito come se avessi detto Katmandu…»
Richard aveva tolto l’audio. Fissava l’interno della vetrina di un negozio di periodici d’epoca, osservando i ritratti di star del cinema ormai dimenticate, i manifesti, i fumetti e i periodici in esposizione. Era come dare una sbirciatina a un mondo di avventura e immaginazione.
Che non era reale. Continuava a ripeterselo.
«Allora, tu cosa ne pensi?» domandò Garry.
Richard tornò di colpo al presente. «Di cosa?»
Garry si rese conto che Richard non aveva ascoltato una parola di quello che aveva detto. «Se non ci sono taxi possiamo prendere un autobus notturno.»
«Giusto» disse Richard. «Benissimo. Perfetto.»
Garry fece una smorfia. «Mi preoccupi.»
«Scusa.»
Procedettero per Windmill Street, verso Piccadilly.
Richard affondò le mani nelle tasche. Per un attimo sembrò stupito, poi estrasse una penna di corvo alquanto malconcia, con un filo rosso legato al calamo.
«Cos’è?» chiese Garry.
«È un…» esitò. «È solo una penna. Hai ragione. È solo spazzatura.»
Lasciò cadere la penna nel bidone più vicino e non si voltò indietro. Garry indugiava, poi, scegliendo con cura le parole, disse, «Hai pensato di farti vedere da qualcuno?»
«Farmi vedere? Guarda Garry che non sono pazzo.»
«Ne sei certo?»
Verso di loro stava arrivando un taxi, con la luce gialla accesa.
«No» rispose Richard in tutta sincerità. «Ecco un taxi. Prendilo tu. Io prenderò il prossimo.»
«Grazie.» Garry fece segno al taxista e sali nell’auto prima di dire che voleva andare a Battersea. Abbassò il finestrino e, mentre il taxi partiva, disse, «Richard — la realtà è questa. Cerca di abituarti. Non c’è altro. Ci vediamo lunedì.»
Richard lo salutò con la mano e guardò il taxi che si allontanava. Quindi girò sui tacchi e invece di andare verso le luci di Piccadilly ripercorse la strada in direzione di Brewer Street.
Si fermò accanto a una vecchia signora che dormiva nel vano di entrata di un negozio. Si riparava dal freddo con una vecchia coperta strappata, e teneva accanto a sé le poche cose che possedeva — due piccole scatole di cartone piene di cianfrusaglie e un ombrello sporco che una volta doveva essere stato bianco — legate insieme con uno spago, a sua volta legato intorno al polso, per evitare che qualcuno gliele rubasse mentre dormiva. Indossava un cappello di lana con pompon di colore indefinibile.
Si tolse di tasca il portafogli, trovò una banconota da dieci sterline, e si chinò per farla scivolare nella mano della donna.
Lei apri gli occhi, subito sul chi va là. Guardò la banconota socchiudendo i vecchi occhi. «Cos’è?» disse, assonnata e dispiaciuta di essere stata svegliata.
«La tenga» disse Richard.
Srotolò la banconota e se la infilò nella manica. «Che cosa vuoi?» chiese con sospetto.
«Niente» rispose Richard. «Non voglio proprio niente. Assolutamente niente.» Si rese conto di quanto era vero, e di come tutto fosse diventato orribile. «Ha mai avuto tutto quello che desiderava? Per poi accorgersi che in realtà non era per niente quello che voleva?»
«Non credo di poterlo dire» rispose la donna, togliendosi un bruscolino dall’occhio.
«Pensavo fosse questo che volevo» disse Richard. «Pensavo di volere una bella vita normale. Insomma, forse sono pazzo. Voglio dire, forse. Ma se questo è tutto quello che c’è, allora non voglio essere savio. Capisce?» Lei scosse il capo.
Cercò nella tasca interna.
«Vede questo?» disse. Teneva in mano il pugnale. «Me l’ha dato Hunter prima di morire» spiegò.
«Non farmi del male» disse la vecchia signora. «Non ho fatto niente.»
Nella voce di Richard c’era una strana intensità. «Ho ripulito la lama dal suo sangue. Un cacciatore si prende cura delle sue armi. È con questo che il Conte mi ha nominato cavaliere. Mi ha dato la libertà del Mondo di Sotto.»