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Case fece scattare l’interruttore del simstim. E si trovò di colpo scagliato nell’acuta sofferenza causata da un osso fratturato. Molly si reggeva alla parete grigia e vuota di un lungo corridoio, il suo respiro era affannoso e irregolare. Case si ritrovò all’istante di nuovo nella matrice, mentre una linea arroventata di dolore si spegneva alla coscia sinistra.

— Cosa sta succedendo, Brood? — chiese al collegamento.

— Non lo so, cowboy. La Mamma non parla. Aspetta.

Il programma di Case stava girando, un singolo filo di neon rosso sottile come un capello si allungava dal centro della finestra ripristinata fino al profilo in movimento dell’icebreaker. Non aveva il tempo di stare ad aspettare. Tirando un sospiro profondo, commutò di nuovo.

Molly fece un passo, cercando di reggere tutto il proprio peso contro la parete del corridoio. Nel loft, Case cacciò un gemito. Un secondo passo la portò verso un braccio proteso. La manica di un’uniforme resa vivida dal sangue fresco. Intravide un manganello a elettroshock in fibra di vetro, frantumato. Il campo visivo di Molly pareva essersi ristretto a un effetto tunnel. Al terzo passo, Case urlò e si ritrovò nella matrice.

— Brood? Boston, bimbo… — La voce di Molly era tesa per il dolore. Tossì. — Un piccolo problema con i locali. Credo che uno di loro mi abbia spezzato una gamba.

— Cosa ti serve, Mamma Gatta? — La voce dell’agente di collegamento si era fatta indistinta, confusa dalle scariche elettrostatiche.

Case si costrinse a tornare. Molly era appoggiata alla parete, sostenendo tutto il peso sulla gamba destra. Dopo avere rovistato nel marsupio ne trasse una lamina di plastica costellata da un arcobaleno di dischi dermici. Ne scelse tre che pigiò con forza contro il polso sinistro, sopra le vene. Seimila microgrammi di un endorfino-simile si abbatterono sul dolore come un maglio, annullandolo. Inarcò la schiena con un movimento convulso. Ondate rosa di calore le lambirono le cosce. Sospirò e, pian piano, si rilassò.

— Va bene, Brood, adesso va un po’ meglio. Ma avrò bisogno di una squadra medica quando uscirò. Dillo ai miei cowboy, sono a due minuti dal bersaglio. Ce la fai a resistere?

— Dille che sono dentro e che resisto — intervenne Case.

Molly cominciò a zoppicare lungo il corridoio. L’unica volta che si voltò a guardare, Case scorse i corpi accartocciati di tre guardie della Senso/Rete. Una di loro pareva non avere più gli occhi.

— I tattici e il pronto intervento hanno bloccato il pianterreno, Mamma Gatta. Barricate di schiuma. L’atrio sta diventando un problema.

— Anche quaggiù ci sono dentro fino al collo — replicò Molly, superando un paio di porte di grigio acciaio. — Sono quasi arrivata, cowboy.

Case scattò nella matrice e si strappò gli elettrodi dalla fronte. Era fradicio di sudore. Si passò sulla fronte un asciugamano, bevve un rapido sorso d’acqua dalla bonaccia accanto all’Hosaka e controllò la pianta della biblioteca dispiegata sullo schermo. Un cursore rosso pulsante strisciava attraverso i contorni di una porta. Soltanto a pochi millimetri dal puntino verde che indicava l’ubicazione del costrutto di Dixie Flatline. Si chiese che effetto facesse alla gamba di Molly camminare in quel modo. Con sufficiente endorfino-simile avrebbe potuto camminare anche su un paio di moncherini sanguinanti. Strinse l’imbracatura di nylon che lo teneva saldo sulla seggiola e si riapplicò gli elettrodi.

Adesso era solo routine: elettrodi, innesco, attivazione.

La biblioteca di consultazione della Senso/Rete era un’area d’immagazzinamento morta: i materiali conservati lì dentro dovevano essere rimossi fisicamente prima di poter essere interfacciati. Molly avanzò barcollando tra file di armadietti grigi tutti identici.

— Dille che sono ancora cinque e poi dieci sulla sinistra, Brood — disse Case.

— Ancora cinque e poi dieci a sinistra, Mamma Gatta — ripeté il collegamento.

Molly girò a sinistra. Una bibliotecaria sbiancata in volto era rincantucciata fra due armadietti, le guance umide, gli occhi vacui. Molly la ignorò. Case si chiese cosa mai avessero fatto i Moderni per provocare un terrore del genere. Sapeva che doveva avere a che fare con una finta minaccia, ma era stato troppo impegnato con il suo ice per seguire le spiegazioni di Molly.

— Ecco, è questo — disse. Ma lei si era già fermata davanti allo schedario che conteneva il costrutto. Le sue linee ricordarono a Case gli scaffali neoaztechi della libreria nell’anticamera di Julie Deane a Chiba.

— Avanti, cowboy — disse Molly.

Case passò al cyberspazio e inviò un comando pulsante lungo il filo rosso che perforava l’ice della biblioteca. Cinque distinti sistemi di allarme si convinsero di essere ancora funzionanti. Le tre serrature supercomplesse si disattivarono, ma continuarono a considerarsi chiuse. La memoria centrale della biblioteca subì per un minuto un cambiamento nella sua memoria fissa: il costrutto era stato rimosso un mese prima, per ordine della dirigenza. Ma se un bibliotecario avesse controllato, cercando l’autorizzazione alla rimozione del costrutto, avrebbe scoperto che i dati erano stati cancellati.

La porta si aprì su cardini silenziosi.

— 0467839 — disse Case, e Molly tirò fuori dalla rastrelliera una nera unità d’immagazzinamento. Assomigliava al caricatore d’un grosso fucile d’assalto, e le sue superfici erano costellate di decalcomanie ammonitrici e di classificazioni relative alla sicurezza.

Molly chiuse la porta dell’armadietto. Case tornò indietro.

Risalì il filo attraverso l’ice della biblioteca, che ritornò di scatto nel suo programma, attivando automaticamente un completo rovesciamento del sistema. Le porte della Senso/Rete si richiusero di colpo in scia mentre arretrava, con i sottoprogrammi che rientravano turbinando nel nucleo dell’icebreaker a mano a mano che Case attraversava i cancelli a cui erano appostati.

— Sono fuori, Brood — annunciò, e si accasciò sulla sedia. Dopo la concentrazione richiesta da un’incursione con tutti i crismi, poteva rimanere innestato e malgrado ciò conservare la completa consapevolezza del proprio corpo. La Senso/Rete avrebbe potuto impiegare dei giorni prima di scoprire il furto del costrutto. La chiave sarebbe stata la deviazione del trasferimento di Los Angeles, che coincideva con troppa precisione con l’incursione terroristica dei Moderni. Dubitava che i tre uomini della sicurezza che Molly aveva incontrato nel corridoio sarebbero sopravvissuti per parlarne. Continuò.

L’ascensore, con la scatola nera di Molly appiccicata con il nastro adesivo accanto al pannello di controllo, era rimasto dove lei l’aveva lasciato. La guardia giaceva ancora accartocciata sul pavimento. Per la prima volta Case notò il dermadisco sul collo dell’uomo. Un’idea di Molly per tenerlo fuori combattimento. Lei lo scavalcò e recuperò la scatola nera prima di schiacciare il pulsante ATRIO.

Quando la porta dell’ascensore si aprì sibilando, una donna si avventò fuori dalla calca, dentro la cabina, e sbatté la testa contro la parete di fondo. Molly l’ignorò, chinandosi invece per staccare il dermadisco dal collo della guardia. Poi, con un calcio, spedì i calzoni bianchi e l’impermeabile rosa fuori dalla cabina, buttando anche gli occhiali scuri, e calò il cappuccio sulla fronte. Il costrutto, nella tasca a marsupio della tuta, affondò nel suo sterno quando lei si mosse e uscì.

Case aveva visto il panico in svariate occasioni, ma mai in un ambiente chiuso.

I dipendenti della Senso/Rete, riversandosi fuori dagli ascensori, s’erano precipitati verso le uscite che davano sulla strada ma avevano incontrato le barricate di schiuma dei tattici e le armi a sacchetto di sabbia del pronto intervento della BAMA. Le due agenzie, convinte di bloccare in quel modo un’orda di potenziali assassini, collaboravano a un livello di efficienza che non gli era affatto solito. Al di là dei rottami delle uscite sfasciate, i cadaveri erano ammucchiati in un triplice strato sulle barricate. I tonfi sordi delle armi antisommossa facevano da sottofondo continuo ai rumori che la folla produceva mentre fluttuava avanti e indietro sul pavimento di marmo dell’atrio. Case non aveva mai sentito nulla di simile a quel frastuono.