— Quel Terzi è feccia di prima classe — commentò Molly. — Fa parte della polizia segreta. Un torturatore, molto facile da comprare con tutti i soldi che Armitage gli ha offerto. — Sugli alberi fradici tutt’intorno gli uccelli cominciavano a cantare.
— Ho fatto quel lavoro per te, quello di Londra. Ho ottenuto qualcosa, ma non so cosa significa. — Le raccontò la storia di Corto.
— Bene, lo sapevo che non c’era nessun Armitage in quel Pugno Urlante. Ho controllato. — Molly accarezzò il fianco arrugginito del cervo di ferro. — Pensi davvero che quel piccolo computer l’abbia salvato? Da quell’ospedale francese?
— Sto pensando a Invernomuto — replicò Case.
Lei annuì.
— Il fatto è che… — proseguì Case. — Cioè, credi che sappia di essere stato Corto, prima? Voglio dire, non era nessuno di particolare quando si è ritrovato in quella corsia d’ospedale, così può darsi che Invernomuto abbia soltanto…
— Già, costruito dal niente. Già… — Molly si girò, e ripresero a camminare. — Quadra. Sai, è un tipo che non ha uno straccio di vita privata. Non da quello che posso vedere. Tu ti trovi davanti un tipo del genere e t’immagini che faccia qualcosa quando è solo. Ma non Armitage. Lui se ne sta seduto a fissare il muro, amico. Poi qualcosa fa clic e si mette in moto a pieno regime per Invernomuto.
— Ma allora perché ha quel posticino a Londra? Nostalgia?
— Forse non sa di averlo — obiettò Molly. — Forse è soltanto a suo nome, giusto?
— Non capisco.
— Stavo solo riflettendo ad alta voce… Quanto è intelligente una IA, Case?
— Dipende. Alcune non sono più intelligenti di un cane. Animaletti da salotto. Costano una fortuna, comunque. Quelle davvero intelligenti lo diventano quanto il controllo di Turing sarà disposto a lasciarle evolvere.
— Senti, tu sei un cowboy… come mai non ne sei stregato?
— Be’, tanto per cominciare sono rare. La maggior parte di loro, quelle davvero intelligenti, sono militari, e noi non possiamo penetrare l’ice. È da lì che viene tutto l’ice, sai. E poi ci sono i controllori Turing, brutte bestie. — Si guardò intorno. — Non so, è soltanto che non è roba del mio giro.
— Siete tutti uguali, voi smanettoni. Non avete immaginazione.
Arrivarono a un ampio stagno rettangolare dentro il quale le carpe strofinavano il muso contro gli steli di qualche bianco fiore acquatico. Molly tirò un calcio a un sasso, scagliandolo nello stagno, e seguì con lo sguardo le onde che si allargavano sulla superficie.
— È come Invernomuto — riprese. — Questa faccenda è davvero grossa, da quel che capisco. Noi siamo là fuori, dove le onde sono troppo ampie, e non possiamo vedere la pietra che ha colpito il centro. Sappiamo che c’è qualcosa, ma non ne sappiamo il perché. Voglio che tu vada a parlare a Invernomuto.
— Non potrei neppure avvicinarmi — ribatté Case. — Stai sognando.
— Provaci.
— Non si può fare.
— Chiedilo al Flatline.
— Cos’è che vogliamo da quel Riviera? — domandò Case, tentando di cambiare discorso.
Lei sputò nello stagno. — Lo sa solo Dio. Preferirei ucciderlo piuttosto che guardarlo. Ho visto il suo profilo. È una specie di Giuda impenitente. Non riesce a eccitarsi sessualmente a meno che non sappia che sta tradendo l’oggetto del suo desiderio. Così dice il suo dossier. Però, prima, devono amarlo. Forse le ama anche lui. È per questo che Terzi non ha avuto difficoltà a farlo cadere in trappola per noi, perché è qui da tre anni a vendere i dissidenti politici alla polizia segreta. È probabile che Terzi l’abbia lasciato guardare quando hanno tirato fuori le fruste. Lui… ne ha fatte fuori diciotto in tre anni: tutte donne dai venti ai venticinque anni. Ha rifornito Terzi di dissidenti, sì. — Molly si ficcò le mani nelle tasche del giubbotto. — Quando ne voleva una, ha sempre fatto in modo che finisse coinvolta in qualche movimento politico. Ha una personalità tipo l’uniforme dei Moderni. Il profilo dice che è un genere rarissimo, uno su un paio di milioni. Il che comunque ci rivela qualcosa di buono sulla natura umana, immagino. — Fissò i fiori bianchi e i pesci che nuotavano pigramente. Sembrava amareggiata. — Mi sa che dovrò comprarmi un’assicurazione speciale con quel Peter. — Poi si girò e sorrise, un sorriso molto glaciale.
— Cosa intendi?
— Lascia perdere. Torniamo a Beyoglu e cerchiamo qualcosa che assomigli a una prima colazione. Mi aspetta un’altra bella nottata. Devo andare a prendere la sua roba da quell’appartamento a Fener, poi torno nel bazar a comprargli delle droghe…
— Comprargli delle droghe? Ma in che stato si trova?
Molly scoppiò a ridere. — Non sta per morire, dolcezza. Tuttavia pare che non riesca a lavorare senza quel particolare saporino. Ti preferisco adesso, comunque, non sei così schifosamente pelle e ossa. — Sorrise. — Insomma, andrò da Alì, lo spacciatore, a fare rifornimento. Ci puoi contare.
Armitage li stava aspettando nella loro stanza all’Hilton.
— È ora di fare le valige — disse, mentre Case cercava di ritrovare l’uomo chiamato Corto dietro i pallidi occhi azzurri e la maschera abbronzata. Pensò a Wage, laggiù a Chiba. Sapeva che gli operatori al di sopra di un certo livello avevano la tendenza a nascondere la propria vera personalità. Però Wage aveva avuto vizi, amanti. Addirittura dei bambini, era corsa voce. Il vuoto che intuiva in Armitage era diverso.
— Dove si va adesso? — chiese, passando davanti all’interlocutore per guardare giù in strada. — Che genere di clima c’è?
— Non hanno clima, soltanto temperatura — rispose Armitage. — Ecco, leggi l’opuscolo. — Depositò qualcosa sul tavolino e si alzò in piedi.
— Riviera è a posto? Dov’è Finn?
— Riviera sta benissimo. Finn è sulla via di casa. — Armitage sorrise, un sorriso che veicolava il medesimo significato dell’antenna di un insetto che vibra. Il braccialetto d’oro tintinnò quando allungò la mano per affondare un dito nel petto di Case. — Non fare troppo il furbo. Quelle piccole sacche si stanno consumando, ma non sai quanto alla svelta.
Case rimase impassibile e si costrinse ad annuire. Quando Armitage se ne fu andato, raccolse un opuscolo. Era elegantemente stampato, in francese, inglese e turco:
Avevano quattro posti riservati su un volo della THY in partenza dall’aeroporto di Yesilköy. Scalo a Parigi, imbarco sullo shuttle della JAL. Case, seduto nell’atrio dell’Hilton di Istanbul, osservava Riviera che stava esaminando alcuni frammenti di falsa arte bizantina nel negozio di souvenir dalle pareti di vetro. Armitage, con l’impermeabile militare drappeggiato sopra le spalle come un mantello, era immobile sulla soglia del negozio.
Riviera era magro, biondo, con la voce suadente, il suo inglese scorrevole e privo di accento. Secondo Molly aveva trent’anni, ma sarebbe stato difficile indovinare l’età. La ragazza aveva anche detto che era legalmente apolide e viaggiava con un passaporto olandese fasullo. Era un prodotto dei cumuli di macerie che contornavano il nucleo radioattivo della vecchia Bonn.
Tre sorridenti turisti giapponesi s’infilarono nel negozio, rivolgendo un cortese cenno del capo ad Armitage, il quale attraversò la bottega troppo in fretta, con l’evidente scopo di portarsi al fianco di Riviera. Riviera si voltò e sorrise. Era molto bello. Case sospettava che quei lineamenti fossero opera di un chirurgo di Chiba. Un lavoro molto raffinato, ben diverso dal blando miscuglio di facce pop che ostentava Armitage. La fronte era alta e liscia, gli occhi grigi distanti e sereni. Il naso, che altrimenti sarebbe stato troppo perfetto, pareva essere stato spezzato e rimesso a posto dalla mano d’un chirurgo imbranato. Quell’irregolarità appena accennata, quell’accenno di brutalità, bilanciavano la delicatezza della mascella e la prontezza del sorriso. I denti erano piccoli, uniformi e bianchissimi. Case osservò le mani bianche scivolare disinvolte su quei finti frammenti di scultura.