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E senza dubbio avrei incrociato regolarmente Carlisle al pronto soccorso.

Dopotutto, ciò che era successo la sera precedente non era nulla. Non era successo niente. Ero caduta: il riassunto della mia vita. Un fatto insignificante, se ripensavo agli eventi della primavera appena trascorsa. James mi aveva ridotta a pezzi e avevo rischiato di morire dissanguata... ed Edward aveva sopportato le interminabili settimane di convalescenza in ospedale molto meglio di così. Forse questa volta il problema era che non doveva proteggermi da un nemico, ma da suo fratello?

Probabilmente avrebbe dovuto portarmi via, anziché lasciare che la sua famiglia si disgregasse. La depressione si alleggerì quando pensai a tutto il tempo che avremmo passato da soli. Se Edward avesse retto per quest’ultimo anno di scuola, Charlie non avrebbe potuto obiettare nulla. Ci saremmo iscritti allo stesso college, magari per finta come Rosalie ed Emmett. Aspettare un anno era cosa da poco per Edward. Cos’è un anno per un immortale? Non sembrava lungo neanche a me.

Riuscii a raccogliere la lucidità sufficiente a scendere dal pick-up ed entrare in negozio. Mike Newton mi aveva preceduta e quando entrai mi salutò con un sorriso. Afferrai la divisa abbozzando un cenno verso di lui. Non avevo ancora smesso di immaginare la piacevole possibilità che io ed Edward fuggissimo assieme in qualche località esotica.

Mike interruppe le mie fantasie. «Com’è andato il compleanno?».

«Bah, per fortuna è finito», borbottai.

Lui mi guardò di sottecchi come se fossi pazza.

Il lavoro mi pesava. Desideravo stare con Edward e pregavo che il peggio, qualunque esso fosse, potesse passare prima che ci rivedessimo. Non è niente, mi ripetevo in continuazione. Tutto tornerà alla normalità.

Quando più tardi imboccai la strada di casa mia e vidi l’auto argentata di Edward mi sentii sopraffatta dal sollievo, che mi lasciò però disorientata e con un fondo di preoccupazione.

Sfrecciai verso la porta d’ingresso, facendomi sentire ancora prima di entrare.

«Papà? Edward?».

Dal salotto giunse l’inconfondibile sigla dei programmi sportivi della ESPN.

«Siamo qui», rispose Charlie.

Appesi l’impermeabile all’attaccapanni e girai svelta l’angolo.

Edward era sulla poltrona, Charlie sul divano. Entrambi tenevano gli occhi fissi sullo schermo. Tipico di mio padre, ma non di Edward.

«Ciao», dissi a mezza voce.

«Ciao, Bella», rispose mio padre senza perdere di vista lo schermo. «Ci sono degli avanzi di pizza. Dovrebbero essere ancora sul tavolo».

«Grazie».

Aspettai in corridoio da dove potevo tener d’occhio il salotto, finché... Edward si voltò a guardarmi accennando un sorriso: «Ti raggiungo subito», disse. Poi tornò con gli occhi al televisore.

Restai immobile e sbalordita per un minuto intero. Nessuno dei due sembrò accorgersene. Sentivo qualcosa, forse il panico, crescere dentro. Scappai in cucina. La pizza non mi attirava. Mi sedetti, rannicchiandomi con le ginocchia strette al petto. C’era qualcosa che non andava, era peggio di quanto pensassi. La TV non smetteva di irradiare chiacchiere e battute maschili.

Cercai di controllarmi, di ragionare. Qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere? Trasalii. Era la domanda più sbagliata che potessi farmi. Riuscivo a malapena a respirare.

Okay, riprovai, qual è la cosa peggiore che potrei sopportare? Neanche quella domanda mi piaceva granché. Ma ripensai alle possibilità su cui avevo meditato durante la giornata.

Restare lontana dalla famiglia di Edward. Tranne che da Alice, ovviamente. Però, se Jasper fosse stato costretto ad allontanarsi, avrei passato meno tempo anche con lei. Annuii, tra me e me: potevo farcela.

Altra possibilità: andarcene. Forse Edward non voleva aspettare la fine dell’anno scolastico, forse dovevamo farlo subito.

Davanti a me, sul tavolo, i regali di Charlie e Renée erano dove li avevo lasciati, con la macchina fotografica, che non ero riuscita a usare a casa Cullen, accanto all’album. Sfiorai la bella copertina dell’album regalatomi da mia madre e sospirai ripensando a lei. Malgrado mi fossi lasciata da tempo alle spalle la vita con lei, non mi era facile accettare l’idea di una separazione ancor più netta. Charlie, poi, sarebbe rimasto solo, abbandonato. Avrei fatto tanto male a entrambi...

Ma saremmo tornati, no? Saremmo venuti a trovarli, vero?

Non potevo essere sicura della risposta.

Posai la guancia sul ginocchio e fissai quei pegni dell’amore dei miei genitori. Sapevo che la strada che avevo scelto sarebbe stata difficile. E, dopotutto, stavo pensando al peggio che potesse accadere, la situazione più drastica tra quelle che sarei riuscita a superare...

Sfiorai di nuovo l’album e sollevai la copertina. C’erano già gli angoli di metallo per fissare la prima foto. Non era un’idea tanto cattiva fermare qualche momento della mia vita. Sentii lo strano impulso di iniziare subito. Forse non mi restava molto tempo da passare a Forks.

Giocherellai con la cinghia della macchina fotografica, ripensando al mio primo scatto. Sarebbe somigliato almeno vagamente all’originale? Ne dubitavo. Lui, comunque, non temeva che la foto venisse vuota. Sorrisi ripensando alla sua risata spensierata, la sera prima. Ma il sorriso si spense subito. Tante cose erano cambiate all’improvviso. Avevo le vertigini, come sull’orlo di un precipizio.

Non volevo pensarci più. Afferrai la macchina fotografica e salii le scale.

Nei diciassette anni trascorsi dal giorno in cui mia madre se n’era andata, la mia stanza non era cambiata granché. Le pareti erano ancora azzurre, alle finestre c’erano le stesse tende di pizzo ingiallite. Al posto del lettino c’era un letto vero, su cui però stava scomposta una trapunta che lei stessa avrebbe riconosciuto: un regalo della nonna.

Senza pensarci, scattai una foto della mia stanza. Non avevo più granché da fare per quella giornata, fuori era ormai buio, e la sensazione di pochi minuti prima era sempre più forte, tanto da trasformarsi in una spinta irrefrenabile: avrei fissato tutto ciò che potevo, prima di andarmene da Forks.

Tutto stava per cambiare. Lo sentivo. Non era una prospettiva piacevole, non nel momento in cui la mia vita sembrava perfetta.

Scesi le scale con calma, la macchina fotografica in mano, cercando di ignorare le farfalline nello stomaco, mentre pensavo allo strano senso di distanza che non volevo rivedere negli occhi di Edward. Gli sarebbe passata. Forse era preoccupato di sconvolgermi se mi avesse chiesto di fuggire. Volevo lasciarlo meditare senza immischiarmi. E farmi trovare pronta.

Preparai la macchina, appoggiata all’angolo del salotto, senza farmi vedere. Pensavo che non sarei mai riuscita a cogliere Edward di sorpresa, ma lui non alzò gli occhi. Sentii un brivido passeggero e un fremito glaciale mi sfiorò lo stomaco. Feci finta di nulla e scattai la foto.

A quel punto, si voltarono entrambi. Charlie aggrottò le sopracciglia. Il viso di Edward era privo di espressione.

«Cosa fai, Bella?», si lamentò Charlie.

«E dai». Mi sforzai di sorridere e mi sedetti a terra, di fronte al divano su cui era allungato mio padre. «Sai bene che la mamma chiamerà al più presto per chiedermi se sto usando i miei regali. Devo mettermi al lavoro se non voglio deluderla».

«Ma perché fotografi proprio me?», borbottò.

«Perché sei un bell’uomo», risposi scherzosa. «E perché, dato che hai comprato la macchina fotografica, sei obbligato a essere uno dei miei soggetti».

Mormorò qualcosa di incomprensibile.

«Dai, Edward», dissi con indifferenza ammirevole. «Fanne una a me e papà».

Gli lanciai la macchina fotografica, evitando con cura il suo sguardo, e m’inginocchiai accanto al bracciolo su cui Charlie poggiava la testa. Papà sospirò.