«Sabato volevamo fare una scampagnata, ma alla fine... abbiamo cambiato idea», disse Angela. Nella sua voce c’era un velo di incertezza che catturò la mia attenzione.
Ma non quella di Jess. «Peccato», disse pronta a lanciarsi nel proprio resoconto. Io, però, non ero stata l’unica a badare ad Angela.
«Cos’è successo?», chiese Lauren, incuriosita.
«Be’», attaccò Angela, più esitante del solito, ma riservata come sempre. «Siamo andati in macchina verso nord, quasi all’altezza delle sorgenti calde; c’è un sentiero lungo poco più di un chilometro che porta a un posto davvero bello. A metà strada, però... abbiamo visto una cosa».
«Una cosa? Che cosa?». Le sopracciglia chiare di Lauren si sollevarono. Persino Jess sembrava prestare attenzione.
«Non so», disse Angela. «Ci è sembrato un orso. Era nero, sì, ma sembrava... troppo grosso».
Lauren ridacchiò. «Ah no, anche tu!». Il suo sguardo si fece ironico, e decisi di non concederle il beneficio del dubbio. Ovviamente, il suo carattere non era cambiato assieme al taglio dei capelli. «Questa ha già cercato di vendermela anche Tyler, la settimana scorsa».
«Non ci sono orsi nella zona attorno al rifugio», ribadì Jessica, alleandosi con Lauren.
«Davvero», protestò Angela a bassa voce, lo sguardo fisso sul tavolo. «L’abbiamo visto davvero».
Lauren rise sotto i baffi. Mike parlava con Conner e non prestò attenzione alle ragazze.
«Invece ha ragione», sbottai impaziente. «Sabato in negozio è passato un escursionista che diceva di aver visto quell’orso, Angela. Grosso e nero, poco fuori città. Vero, Mike?».
Per un momento, tutti tacquero. Gli occhi dei presenti puntarono tutti verso di me, sconvolti. Katie, la ragazza nuova, restò a bocca aperta come se avesse appena assistito a un cataclisma. Nessuno osava muoversi.
«Mike?», farfugliai, mortificata. «Ricordi il tizio che parlava dell’orso?».
«C-certo», balbettò lui dopo un secondo. Non capivo il perché di quel suo sguardo strano. In negozio ci parlavamo, vero? Vero? Forse...
Mike si riprese. «Sì, è passato un tizio che diceva di aver avvistato un enorme orso nero all’inizio del sentiero, più grosso di un grizzly».
«Ah». Lauren, irrigidita, si voltò verso Jessica, e cambiò argomento.
«Hai avuto notizie dal college?», chiese.
Anche gli altri tornarono agli affari propri, esclusi Mike e Angela. Lei azzardò un sorriso, che ricambiai al volo.
«E allora, come hai passato il weekend, Bella?», chiese Mike, curioso ma anche diffidente.
Tutti, tranne Lauren, si voltarono in attesa della risposta.
«Venerdì sera io e Jessica siamo andate al cinema, a Port Angeles. Sabato e domenica li ho passati quasi tutti giù a La Push».
Gli sguardi sfrecciarono verso Jessica e poi su di me. Jess sembrava irritata. Forse non voleva far sapere a nessuno che eravamo uscite assieme, oppure ci teneva a raccontare la storia al posto mio.
«Che film avete visto?», chiese Mike abbozzando un sorriso.
«Binario morto, quello con gli zombie». Anch’io gli sorrisi. Forse sarei riuscita a riparare un po’ dei danni che avevo combinato nei miei mesi da morta vivente.
«Mi hanno detto che fa davvero paura. È vero?». Mike ci teneva a continuare la conversazione.
«Bella è dovuta uscire, tanto era sconvolta», precisò Jessica con un sorriso malizioso.
Annuii, e cercai fingere un po’ di imbarazzo. «Mi ha fatto davvero paura».
Mike mi bombardò di domande per tutto il pranzo. A poco a poco, anche gli altri ripresero a chiacchierare, senza smettere di tenermi d’occhio. Angela parlò soprattutto con Mike e me e, quando mi alzai per rimettere a posto il vassoio, mi seguì.
«Grazie», disse sottovoce, a distanza di sicurezza dal tavolo.
«Per cosa?».
«Per aver parlato, per avermi difesa».
«Scherzi?».
Mi guardò preoccupata, ma non era la solita occhiata alla sto-parlandocon-una-pazza-furiosa. «Stai bene?».
Ecco perché avevo scelto di uscire con Jessica, anziché con Angela che mi piaceva di più. Angela aveva troppo intuito.
«Non proprio», confessai. «Ma sto un po’ meglio».
«Mi fa piacere. Mi sei mancata».
A quel punto, Lauren e Jessica ci raggiunsero e sentii Lauren mormorare: «Alleluia. Bella è tornata».
Angela alzò gli occhi al cielo e mi rivolse un sorriso di incoraggiamento.
Sospirai. Era come ricominciare da capo.
«Che giorno è oggi?», chiesi all’improvviso.
«Il 19 gennaio».
«Mmm».
«Che c’è?», domandò Angela.
«Sono arrivata qui esattamente un anno fa».
«Non è cambiato molto», mormorò lei, lanciando un’occhiata a Lauren e Jessica.
«Lo so», risposi. «Stavo pensando la stessa cosa».
7
Ripetizione
Non sapevo neanche cosa cavolo ci facessi, laggiù.
Stavo forse cercando di tornare nel mio annebbiamento da zombie? Ero diventata masochista e mi piaceva la tortura? Avrei dovuto proseguire dritto fino a La Push. Mi sentivo molto, molto più sana in compagnia di Jacob. Questa, invece, era un’idea tutt’altro che sana.
Eppure, procedevo lentamente sul sentiero invaso dalla vegetazione, passando tra gli alberi inarcati come sotto un tunnel verde e vivo. Le mani mi tremavano ed ero costretta ad afferrare il volante con tutte le mie forze.
Sapevo che, in parte, la ragione di tutto ciò era l’incubo: da sveglia, la sensazione di vuoto che sentivo nel sonno si accaniva sui miei nervi come un cane che mastica l’osso. C’era qualcosa da cercare. Irraggiungibile e impraticabile, indifferente e distratto... ma era lontano, chissà dove. Dovevo crederci.
Il resto aveva a che fare con la strana sensazione di ripetizione che avevo provato a scuola e con la coincidenza delle date. L’idea che stessi ricominciando da capo, che il mio primo giorno sarebbe andato così, se davvero, quel pomeriggio lontano, fossi stata la presenza più bizzarra nella mensa.
Le parole correvano nella mia testa, inerti, come se le stessi leggendo anziché sentendo pronunciare:
Sarà come se non fossi mai esistito.
Avevo mentito a me stessa, dividendo in due parti la ragione del mio ritorno laggiù. Non volevo confessare il motivo più vero e importante. Perché era una pazzia.
In verità volevo sentire di nuovo la sua voce, com’era accaduto il venerdì precedente, quando avevo avuto quella incredibile allucinazione. Durante quei pochi istanti, quando la voce era sorta da chissà quale zona remota della mia memoria, l’avevo trovata perfetta, dolce come il miele; niente a che vedere con la pallida eco che conservavo nella mia testa, ed ero riuscita a ricordarla senza soffrire. Ma non per molto: il dolore era tornato e di sicuro non mi avrebbe abbandonata lungo quel tragitto folle. Eppure, i momenti preziosi in cui riuscivo a sentirlo erano un richiamo irresistibile. Dovevo trovare il modo di ripetere quell’esperienza... o forse era meglio considerarlo un episodio isolato.
Speravo che la chiave stesse nel déjà-vu. Perciò avevo deciso di visitare casa sua, dove non tornavo dal giorno della mia disgraziata festa di compleanno, tanti mesi prima.
La vegetazione densa, simile a quella di una giungla, grattava i finestrini del pick-up. Il sentiero tortuoso non finiva più. Iniziai a innervosirmi e ad accelerare. Da quanto guidavo? Non avrei già dovuto arrivare alla casa? La strada era talmente nascosta nella foresta da non sembrare nemmeno la stessa.
E se non l’avessi trovata? Sentii un brivido. E se non ne fosse rimasto alcun segno tangibile?
Ma poi, tra gli alberi, notai la breccia che cercavo, con i contorni che sembravano meno netti di un tempo. Da quelle parti la vegetazione non aspettava a riprendersi il terreno incustodito. Le alte felci erano penetrate nel giardino attorno alla casa, si erano addensate ai piedi dei cedri, persino sotto il grande portico. Il prato pareva allagato di onde sottili, alte e verdi.