Quando giunsi a casa, ero meno nervosa, ma tutt’altro che tranquilla. L’auto di Charlie era parcheggiata nel vialetto. Non mi ero resa conto di quanto fosse tardi. Il sole tramontava.
«Bella?», chiese Charlie sentendomi sbattere la porta e girare in fretta la chiave nella serratura.
«Sì, sono io». Mi mancava la voce.
«Dove sei stata?», tuonò spuntando dalla porta della cucina, infuriato.
Non sapevo cosa dire. Probabilmente aveva chiamato a casa degli Stanley. Meglio essere sinceri.
«A fare trekking», confessai.
M’inchiodò con lo sguardo. «Non dovevi andare da Jessica?».
«Non avevo voglia di matematica, oggi».
Charlie incrociò le braccia. «Mi sembrava di averti chiesto di stare lontana dalla foresta».
«Sì, lo so. Stai tranquillo, non lo farò più». Tremavo.
Sembrava che Charlie non mi avesse mai guardata prima. Ricordai di aver passato parecchio tempo in mezzo al fango della foresta, probabilmente avevo un aspetto terribile.
«Cos’è successo?», chiese Charlie.
Optai di nuovo per la verità, quantomeno quella parziale. Ero troppo sconvolta per fingere di aver passato una giornata tranquilla alla scoperta di flora e fauna.
«Ho visto l’orso». Cercai di dirlo senza scompormi, ma la mia voce era acuta e tremante. «Però non è un orso: è una specie di lupo. Ce ne sono cinque. Uno grosso e nero, uno grigio, uno fulvo...».
Charlie spalancò gli occhi, terrorizzato. Si avvicinò subito e mi strinse le spalle.
«Stai bene?».
Con un debole cenno della testa risposi di sì.
«Raccontami cos’è successo».
«Non mi hanno notata. Ma dopo che se ne sono andati, sono scappata, e inciampata un sacco di volte».
Lasciò le mie spalle e mi abbracciò. Per alcuni interminabili istanti rimase in silenzio.
«Lupi», mormorò.
«Cosa?».
«Secondo i ranger, quelle erano tracce di orso... i lupi non sono così grossi...».
«Papà, erano enormi».
«Quanti hai detto di averne visti?».
«Cinque».
Charlie scosse la testa e aggrottò le sopracciglia, angosciato. Alla fine parlò, con un tono che non ammetteva repliche. «Basta escursioni».
«Va bene, te lo prometto».
Charlie chiamò la stazione di polizia per riferire dell’accaduto. Restai vaga nella descrizione del luogo di avvistamento e dissi di avere incrociato i lupi sul sentiero diretto a nord. Non volevo far scoprire a mio padre che mi ero addentrata così tanto nella foresta ignorando il suo avvertimento, e soprattutto era meglio evitare che qualcuno si aggirasse nella zona in cui Laurent mi cercava. Soltanto a pensarci mi veniva la nausea.
«Mangi qualcosa?», chiese Charlie dopo aver riattaccato.
Risposi di no, anche se morivo di fame. Non toccavo cibo dal mattino.
«Sono soltanto stanca», risposi. Mi diressi verso le scale.
«Ehi», disse Charlie, improvvisamente sospettoso. «Jacob era fuori con i suoi amici, oggi?».
«Così ha detto Billy», risposi, confusa dalla sua domanda.
Studiò la mia espressione per un po’ e parve soddisfatto di ciò che vide.
«Ah».
«Perché?», chiesi. Sembrava dare per scontato che al mattino gli avessi raccontato una bugia. E non riguardava il ripasso di matematica con Jessica.
«Be’, quando sono andato a prendere Harry ho visto Jacob davanti al supermercato di La Push, assieme agli amici. L’ho salutato, ma... insomma, forse non si è accorto di me. Probabilmente era occupato a discutere con loro. Sembrava strano, arrabbiato per chissà quale motivo. E... diverso. Cresce a una velocità impressionante. Ogni volta che lo vedo sembra più grosso».
«Billy mi ha detto che Jake e i suoi amici volevano andare al cinema a Port Angeles. Può darsi che avessero appuntamento con qualcuno dove li hai visti».
«Ah». Charlie annuì e tornò in cucina.
Rimasi in corridoio e pensai a Jacob che discuteva con gli amici. Chissà, forse aveva avuto il coraggio di parlare a Embry di Sam e tutto il resto. Forse era il motivo per cui mi aveva mollata così, quel giorno. Se era servito a chiarire con Embry, ero contenta per lui.
Mi fermai a controllare di nuovo la serratura prima di salire in camera. Che cosa sciocca. Che differenza faceva, di fronte a uno dei mostri che avevo visto quel pomeriggio? Il pomello della porta, da solo, avrebbe soltanto ostacolato i lupi, privi di pollice opponibile. Ma se fosse arrivato Laurent...
Oppure... Victoria.
Sotto le coperte, tremavo troppo per riuscire a dormire. Mi raggomitolai stretta sotto la trapunta e ripensai a quella situazione orribile.
Non potevo fare niente. Né prendere precauzioni. Non c’erano posti in cui nascondermi. Né qualcuno che potesse aiutarmi.
Mi resi conto, e il mio stomaco confermò con un sussulto di nausea, che era perfino peggio di così. Perché ne era coinvolto anche Charlie. Mio padre, che dormiva nella stanza di fianco alla mia, era a un filo di distanza dal bersaglio, cioè da me. Seguendo la mia scia sarebbero arrivati là, che fossi in casa o no...
Tremavo sconvolta e battevo i denti.
Per calmarmi, immaginai l’impossibile: che i grandi lupi avessero raggiunto Laurent nel bosco e avessero massacrato quella creatura immortale come avrebbero fatto con un qualsiasi essere umano. Malgrado l’assurdità dell’idea, mi sentii rincuorata. Se i lupi l’avessero preso, non avrebbe potuto riferire a Victoria che ero sola e indifesa. Non vedendolo tornare, avrebbe potuto pensare che c’erano ancora i Cullen a proteggermi. Se solo i lupi fossero stati in grado di vincere una simile battaglia...
I miei vampiri buoni non sarebbero tornati mai più; mi consolavo al pensiero che anche l’altra razza potesse sparire.
Chiusi gli occhi e attesi di perdere conoscenza... quasi non vedevo l’ora che iniziasse l’incubo. Sempre meglio del volto pallido e bellissimo che mi sorrideva ogni volta che abbassavo le palpebre.
Nella mia fantasia, gli occhi di Victoria erano neri di sete, accesi di impazienza, e un sorriso di piacere scopriva i denti scintillanti. I capelli rossi ardevano come il fuoco, dardeggiavano e ne circondavano disordinati il viso selvaggio.
Nella mia testa sentivo l’eco delle parole di Laurent. Se sapessi cos’aveva in programma per te...
Mi tappai la bocca con un pugno per soffocare le urla.
11
Setta
Aprire gli occhi alla luce del mattino e comprendere che ero scampata a un’altra notte era sempre una sorpresa. E dopo questa, il cuore iniziava a battere e mi sudavano le mani; il respiro si tranquillizzava soltanto dopo che mi alzavo dal letto e mi accertavo che anche Charlie fosse sopravvissuto.
Era preoccupato, lo sapevo; d’altra parte, mi vedeva sobbalzare a ogni rumore forte, o sbiancare all’improvviso per ragioni che non capiva. A giudicare dalle domande che mi rivolgeva di tanto in tanto, attribuiva il cambiamento all’assenza prolungata di Jacob.
Il terrore, di solito il mio primo pensiero, mi distrasse dal fatto che un’altra settimana era passata e Jacob non mi aveva ancora chiamata. Una cosa che mi irritava quando riuscivo a concentrarmi sulla normalità della vita quotidiana, ammesso che la mia vita fosse mai stata normale.
Mi mancava immensamente. La solitudine mi pesava già prima di perdere la testa per la paura. Ora più che mai, desideravo ardentemente la sua risata spensierata e il suo sorriso contagioso. Avevo bisogno dell’atmosfera serena e accogliente della sua officina casalinga, del calore della sua mano tra le mie dita fredde.
Il lunedì avevo quasi sperato che mi chiamasse. Se aveva fatto progressi con Embry, perché non aggiornarmi? Desideravo credere che ad assorbirlo completamente fosse la preoccupazione per il suo amico, non la decisione di rinunciare a me.