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I licantropi avevano deciso di percorrere un’altra strada.

E io, quale dovevo scegliere?

13

Assassino

Chiunque, ma non Jacob, pensavo, scuotendo la testa, sull’autostrada che attraversava la foresta verso La Push.

Non ero ancora certa di aver preso la decisione migliore, frutto di un compromesso con me stessa.

Non potevo giustificare i gesti di Jacob e dei suoi amici, il branco. Ora capivo cosa intendesse la sera precedente, quando aveva sottolineato che forse non avrei voluto rivederlo. Se lo avessi chiamato, come aveva suggerito, mi sarei sentita una codarda. Dovevo parlargli faccia a faccia, era il minimo. Gli avrei detto chiaro e tondo che non potevo tollerare ciò che stava accadendo. Non potevo essere amica di un assassino senza batter ciglio e lasciare che l’elenco dei delitti si allungasse... Mi sarei sentita un mostro anch’io.

Ma non potevo non metterlo in guardia. Dovevo fare il possibile per proteggerlo.

Parcheggiai di fronte alla casa dei Black, con le labbra contratte in una linea dura e sottile. Il mio migliore amico era un licantropo e tanto bastava a complicare le cose. Era proprio necessario che fosse anche un mostro?

La casa era buia, le luci ancora spente, ma non m’importava di svegliarli. Bussai forte alla porta d’ingresso, piena di energia e di rabbia. Il suono riecheggiò tra le pareti.

«Avanti», disse Billy dopo un minuto mentre una lampadina si accendeva.

Girai la maniglia; la serratura era aperta. Billy era sulla soglia di una stanza vicina al cucinotto, con una vestaglia sulle spalle; non era ancora salito sulla sedia a rotelle. Quando mi riconobbe strabuzzò gli occhi e si fece immediatamente serio.

«Ehi, buongiorno, Bella. Come mai qui a quest’ora?».

«Ciao, Billy. Ho bisogno di parlare con Jake... dov’è?».

«Ehm... a dir la verità, non lo so». Mentì spudoratamente.

«Sai cosa fa Charlie, stamattina?», chiesi, stufa della sua recita.

«Dovrei saperlo?».

«Lui e metà degli uomini di Forks sono nel bosco, armati, a caccia di lupi giganti».

Dopo un fremito, l’espressione di Billy tornò neutra.

«Mi piacerebbe parlarne con Jake, se non ti dispiace», aggiunsi.

Per un istante arricciò le labbra spesse. «Scommetto che dorme ancora», rispose infine, indicando il piccolo corridoio che conduceva alla stanza del piano terra. «Torna sempre tardi, ultimamente. Ha bisogno di riposo. Forse è meglio che non lo svegli».

«Oggi tocca a me», mormorai dirigendomi a grandi passi in corridoio. Billy sospirò.

La microscopica stanza di Jacob era l’unica che si affacciava sul breve corridoio. Non mi preoccupai di bussare. Spalancai la porta che sbatté rumorosa contro la parete.

Jacob—vestito soltanto degli stessi pantaloni corti da ginnastica che gli avevo visto addosso in camera mia—era sdraiato sul letto a due piazze che occupava la stanza, lasciando liberi solo pochi centimetri di spazio ai bordi. Nemmeno in diagonale riusciva a starci... da una parte spuntavano i piedi, dall’altra la testa. Dormiva sodo, russava piano a bocca spalancata. Il colpo della porta non l’aveva smosso.

Sul volto c’era l’espressione pacifica di chi è ancora nel mondo dei sogni, senza un’ombra di cattiveria. Notavo soltanto ora le sue occhiaie. Malgrado la stazza assurda, aveva l’aria di un ragazzino stanchissimo. Provai compassione per lui.

Uscii dalla stanza e chiusi la porta in silenzio.

Billy mi osservò, curioso e guardingo, mentre tornavo verso l’ingresso.

«Meglio lasciarlo riposare».

Billy annuì e per un minuto restammo a guardarci negli occhi. Morivo dalla voglia di chiedergli che ruolo avesse nella faccenda. Cosa pensava della trasformazione di suo figlio? Sapevo che dal primo giorno era stato dalla parte di Sam, perciò supponevo che gli omicidi non lo preoccupassero. Come potesse giustificarli, non riuscivo a immaginarlo.

Nascoste nei suoi occhi leggevo altrettante domande per me, ma nemmeno lui osò aprire bocca.

«Senti», dissi spezzando quel silenzio plumbeo. «Vado a fare una passeggiata alla spiaggia. Quando si sveglia, digli che lo aspetto là, d’accordo?».

«Va bene, va bene», mi confermò Billy.

Chissà se lo avrebbe fatto. Be’, perlomeno ci avevo provato, no?

Scesi a First Beach e mi fermai nell’ampio parcheggio sterrato. Faceva ancora buio—erano i momenti cupi che precedono l’alba di un giorno nuvoloso—e, una volta spenti i fari, non si riusciva a vedere niente. Fui costretta ad aspettare che gli occhi si adattassero all’oscurità, prima di individuare il sentiero che attraversava il muro di erbacce alte. Il freddo era più intenso, rafforzato dal vento che soffiava sull’acqua nera, così affondai le mani nelle tasche del mio giubbotto. Se non altro, aveva smesso di piovere.

Mi avviai lungo la spiaggia, verso la scogliera che stava a nord. Non riuscivo a vedere St James né le altre isole, ma soltanto l’orizzonte sfocato dell’oceano. Camminavo tra le rocce, ben attenta a dove mettessi i piedi, per evitare di inciampare nei tronchi trascinati a riva dalla corrente.

Trovai ciò che cercavo ancora prima di sapere cosa cercassi. Si materializzò dall’oscurità a pochi metri di distanza: un tronco lungo, bianchissimo, trascinato nel bel mezzo delle rocce. Le radici puntavano in direzione dell’oceano, come centinaia di fragili tentacoli. Non potevo giurare che fosse lo stesso tronco su cui era avvenuta la prima conversazione tra me e Jacob—grazie alla quale la mia vita aveva imboccato sentieri e intrecci nuovi—ma il luogo sembrava proprio quello. Mi ci sedetti come tanto tempo prima e guardai verso il mare invisibile.

Vedere Jacob in quello stato, innocente e vulnerabile nel sonno, aveva esaurito la repulsione e dissolto la rabbia. Non potevo fare come Billy e chiudere un occhio di fronte a ciò che stava accadendo, ma neanche incolpare Jacob. Non è così che funziona se vuoi bene a qualcuno. Se davvero te ne importa, è impossibile essere razionali. Jacob era mio amico, che fosse un assassino o no. E io non sapevo come comportarmi.

Ripensando a lui, pacifico e addormentato, mi sentii in balia dell’esigenza di proteggerlo. Un desiderio totalmente irrazionale. Ma, per irrazionale che fosse, meditai sul ricordo del suo viso tranquillo, in cerca di una risposta, di un modo per soccorrerlo, mentre il cielo a poco a poco si faceva grigio.

«Ciao, Bella».

La voce di Jacob, spuntata dall’oscurità, mi fece sobbalzare. Era dimessa, quasi timida, ma non lo avevo sentito avvicinarsi sulle rocce, perciò riuscì a spaventarmi. Vedevo la sua sagoma stagliarsi alla luce dell’alba. Appariva enorme.

«Jake?».

Rimase a distanza di qualche metro, dondolando sui piedi, ansioso.

«Billy mi ha detto che sei passata. Non ci hai messo molto, eh? Sapevo che avresti capito».

«Sì, mi sono ricordata la storia giusta», sussurrai.

Per qualche istante restammo zitti e, malgrado il buio, percepii il suo sguardo in cerca del mio volto. Forse gli bastava quella poca luce per leggere la mia espressione perché, quando parlò di nuovo, la sua voce aveva una nota acida.

«Bastava una telefonata».

Annuii. «Lo so».

Iniziò a muoversi sulle rocce. Soltanto sforzandomi riuscivo a distinguere dal rumore delle onde quello soffice dei suoi passi. Tutt’altra cosa, in confronto alle maracas che avevo io al posto dei piedi.

«Perché sei venuta?», chiese senza smettere di muoversi, irrequieto.

«Pensavo che fosse meglio parlarti di persona».

Sbuffò. «Ah, certo che sì».

«Jacob, devi stare attento...».

«Ai ranger e ai cacciatori? Non preoccuparti. Sappiamo già tutto».