Uno degli altri, che non riconoscevo—Jared o Paul -, si portò davanti a Sam e parlò prima che Jacob potesse rispondere.
«Perché non rispetti le regole, Jacob?», strillò alzando le mani al cielo. «Cosa diavolo hai in mente? Lei è forse più importante di tutto il resto, della tribù? Dei morti assassinati?».
«Può esserci utile», disse Jacob, tranquillo.
«Utile!», urlò l’altro infuriato. Iniziarono a tremargli le braccia. «Ah, certo che sì! Scommetto che l’amichetta delle sanguisughe muore dalla voglia di aiutarci!».
«Sta’ attento a come parli!», rispose con foga Jacob, punto nel vivo dal sarcasmo dell’amico.
Il ragazzo fu preso da uno spasmo che gli scosse le spalle e la schiena.
«Paul! Rilassati!», ordinò Sam.
Paul scosse la testa avanti e indietro, non in segno di obbedienza, ma come nel tentativo di concentrarsi.
«Santo cielo, Paul», disse uno degli altri, forse Jared. «Datti una calmata».
Paul si voltò verso Jared, le labbra tese per l’irritazione. Poi mi guardò in cagnesco. Jacob fece un passo avanti per coprirmi.
E la situazione precipitò.
«Ma bravo, proteggila pure!», ruggì Paul, offeso. Un altro spasmo ne scosse il corpo. Gettò la testa all’indietro, mostrò i denti e si lasciò sfuggire un vero ringhio.
«Paul!», urlarono assieme Sam e Jacob.
Sembrava che Paul, in preda a tremore violento, stesse per cadere in avanti. Quando fu a mezz’aria, con un rumore di strappo violento, esplose.
Dalla sua pelle spuntò una pelliccia argentea, scura, che tratteggiò una sagoma cinque volte più grande di lui: massiccia, rannicchiata, pronta a saltare.
Il lupo scopriva i denti e dal suo petto colossale salì un altro ringhio. Mi fissava con gli occhi scuri e pieni di rabbia.
In quel preciso istante vidi Jacob attraversare la strada di corsa, dritto verso il mostro.
«Jacob!», urlai.
A metà corsa, anche lui fu preda di una forte convulsione. Si gettò in avanti, tuffandosi nel vuoto.
Un altro rumore di strappo secco e anche Jacob esplose. Scoppiò letteralmente dalla propria pelle; l’aria si riempì di brandelli di stoffa bianchi e neri. Successe talmente in fretta che con un battito di ciglia avrei potuto perdermi l’intera trasformazione. Prima c’era Jacob che si tuffava nell’aria e, un istante dopo, ecco il lupo gigante, dal pelo bronzeo—tanto enorme che non riuscii a spiegarmi dove fosse nascosta tutta quella massa—pronto a scagliarsi contro la bestia argentea rannicchiata.
Lo scontro tra lui e l’altro licantropo fu frontale. Il loro ringhio infuriato risuonò come un tuono tra gli alberi.
I resti dei vestiti di Jacob svolazzavano ancora nel punto in cui era balzato in aria.
«Jacob!», urlai di nuovo, azzardando un passo avanti.
«Resta dove sei. Bella», ordinò Sam. Era difficile sentire la sua voce, coperta dai ruggiti dei lupi che lottavano. Si davano morsi e strattoni, i denti affilati puntavano dritto alla gola. Jacob pareva avere la meglio: era più grosso dell’avversario e sembrava anche più forte. Prese a spallate il lupo grigio, costringendolo a rifugiarsi tra gli alberi.
«Portatela da Emily», urlò Sam agli altri due, che osservavano la battaglia con espressione rapita. Jacob era riuscito ad allontanare il lupo grigio dalla strada e i due stavano per sparire nella foresta, assieme al rumore ancora forte dei loro brontolii. Sam li inseguì, dopo essersi tolto le scarpe. Mentre si gettava tra gli alberi, anche lui iniziò a tremare dalla testa ai piedi.
Uno dei ragazzi scoppiò a ridere.
Mi voltai a guardarlo... sentivo gli occhi come ipnotizzati, quasi non riuscivo a chiuderli.
Il ragazzo rideva della mia espressione. «Certo, scene come questa non si vedono tutti i giorni», ghignò. Ricordavo vagamente quel volto, più magro degli altri... era Embry Call.
«Io le vedo», borbottò Jared, l’altro ragazzo, «almeno una volta al giorno».
«Oh, Paul non perde la pazienza sempre», ribatté Embry, ancora col sorriso. «Soltanto due giorni su tre».
Jared si fermò a raccogliere una cosa bianca da terra. La porse a Embry: era un groviglio moscio e sbrindellato.
«Completamente sbriciolata», disse Jared. «Billy ha detto che non avrebbe potuto permettersene un altro paio. Mi sa che a Jacob toccherà andare in giro scalzo».
«Questa è sopravvissuta», disse Embry mostrandogli l’altra scarpa da ginnastica bianca. «Dovrà imparare a camminare su un piede solo», aggiunse ridendo.
Jared raccolse vari brandelli di tessuto. «Per favore, prendi le scarpe di Sam. Il resto finirà nella spazzatura».
Embry afferrò le scarpe e scattò verso gli alberi dietro cui era sparito Sam. Tornò in pochi secondi e sottobraccio aveva un paio di jeans ormai inutilizzabili. Jared appallottolò i resti strappati dei vestiti di Jacob e Paul. All’improvviso, parve ricordarsi che c’ero anch’io. Mi scrutò per bene, dalla testa ai piedi.
«Non dirmi che stai per svenire, vomitare o cose del genere, eh?», chiese.
«Non credo», risposi d’un fiato.
«Non hai un bell’aspetto. Forse è meglio che resti un po’ seduta».
«Va bene», mormorai. Mi raggomitolai come al mio solito, nascondendo la testa fra le ginocchia.
«Jake avrebbe dovuto avvertirci», disse Embry.
«Non doveva coinvolgere la sua ragazza. Cosa credeva di fare?».
«Tanto va il lupo al lardo...», sospirò Embry. «Ne hai da imparare, Jake».
Alzai la testa per inchiodare con uno sguardo i ragazzi, che sembravano prendere tutto alla leggera. «Non siete preoccupati?», domandai.
Embry mi guardò, sorpreso. «Preoccupati? Perché?».
«Rischiano di farsi male!».
Embry e Jared sghignazzarono.
«Spero proprio che Paul lo azzanni», disse Jared. «Che gli dia una bella lezione».
Impallidii.
«Certo, come no», protestò Embry. «Ma l’hai visto, Jake? Nemmeno Sam sarebbe stato capace di trasformarsi al volo, così. Ha capito che Paul stava perdendo la testa e cosa gli ci è voluto per attaccarlo, mezzo secondo? Quel ragazzo ha talento».
«Paul combatte da più tempo. Dieci dollari che gli lascia un bel segno».
«Ci sto. Jake è un combattente nato, Paul non ha scampo».
Si strinsero la mano, con un sorriso.
Cercai di tranquillizzarmi al pensiero di quanto fossero rilassati, ma non riuscivo a cancellare l’immagine brutale della lotta. Avevo lo stomaco nauseato e vuoto, e la testa bruciava di preoccupazione.
«Andiamo a trovare Emily. Avrà senz’altro cucinato qualcosa». Embry guardò verso di me. «È un problema se ti chiediamo un passaggio?».
«Certo che no», risposi, con un filo di voce.
Jared mi guardò di sottecchi. «Forse è meglio che guidi tu, Embry. Secondo me rischia ancora di svenire».
«Buona idea. Dove sono le chiavi?», chiese Embry.
«Infilate».
Embry aprì la porta del passeggero. «Sali pure», disse allegro, sollevandomi da terra con una mano e cacciandomi sul sedile. Calcolò quanto spazio restasse. «A te tocca salire dietro», disse a Jared.
«Meglio così. Sono debole di stomaco, non voglio esserle accanto quando scoppierà».
«Secondo me non è una pappamolla. Se la fa con i vampiri».
«Cinque dollari?», chiese Jared.
«Andata. Mi sento quasi in colpa a spillarti soldi così».
Embry salì e accese il motore, mentre Jared saltava agile sul cassone. Chiusa la portiera, Embry borbottò: «Non vomitare, okay? Ho solo dieci dollari e se per caso Paul finisce per mordere Jacob...».
«Okay», sussurrai.
Embry ci riportò al villaggio.
«Ehi, ma come ha fatto Jake a evitare l’imposizione?».
«Evitare... cosa?».
«Ehm, il divieto. Hai presente, di chiudere il becco. Come ha fatto a raccontarti tutto?».
«Ah, be’», esclamai, e ripensai a Jacob la notte precedente, mentre cercava di soffocare la verità. «Non è stato lui. Merito del mio intuito».
Embry corrugò le labbra, sorpreso. «Ah. Mi sembra logico».
«Dove stiamo andando?», chiesi.