Jacob dormiva ancora; si era accasciato sul pavimento e il suo respiro era profondo e regolare. La casa era più buia di prima, fuori dalle finestre era calata la notte. Ero intorpidita, ma anche calda e quasi asciutta. La gola mi bruciava a ogni respiro.
Prima o poi avrei dovuto alzarmi, almeno per bere. Ma il mio corpo desiderava restare lì, inerte, senza muoversi più.
Anziché spostarmi, continuai a pensare a Giulietta.
Chissà cos’avrebbe fatto se ad allontanare Romeo da lei non fosse stato il divieto dei genitori, ma un semplice calo di interesse. E se poi Rosalina gli si fosse concessa facendogli cambiare idea? Cosa sarebbe accaduto se fosse sparito, anziché sposare Giulietta?
In cuor mio sapevo come si sarebbe sentita.
Non sarebbe tornata alla sua vecchia vita, non del tutto. Di certo non si sarebbe lasciata il passato alle spalle. Anche se fosse sopravvissuta fino a diventare vecchia e grigia, le sarebbe bastato chiudere gli occhi per rivedere il volto di Romeo. Prima o poi se ne sarebbe fatta una ragione.
Chissà, forse alla fine avrebbe sposato Paride, tanto per placare i suoi e non creare scompiglio. No, probabilmente no. Del resto, di Paride si sapeva molto poco. Era soltanto un personaggio di contorno—un surrogato, una minaccia, una scadenza fissata per forzarle la mano.
E se Paride fosse stato qualcosa di più? Un amico? Il migliore amico di Giulietta? Se fosse stato l’unico a cui la giovane avesse svelato la devastante storia con Romeo? L’unica persona che la capisse davvero, che la facesse sentire quasi un essere umano? Se fosse stato paziente e gentile? Se si fosse preso cura di lei? Che ne sarebbe stato, se Giulietta avesse capito di non poter sopravvivere senza di lui? E se fosse stato davvero innamorato di lei, desideroso di farla felice?
E... se Giulietta si fosse innamorata di Paride? Non come di Romeo. Niente a che vedere, certo. Ma abbastanza per desiderare che anche lui fosse felice?
Nella stanza si udiva solo il suono del respiro lento e profondo di Jacob, come una ninna nanna mormorata a un bambino, come il cigolio sussurrato di una sedia a dondolo, come il ticchettio di un vecchio orologio quando non hai fretta di leggere l’ora... Era il suono della quiete.
Se Romeo se ne fosse andato per non tornare mai più, sarebbe importato qualcosa che Giulietta accettasse l’offerta di Paride? Forse sarebbe stato meglio per lei ricucire i brandelli di vita che si era lasciata alle spalle. Forse, così avrebbe raggiunto quel poco di felicità che le era ancora concessa.
Sospirai e grugnii, quando il fiato mi raschiò la gola. Forse stavo esagerando con le mie riflessioni. Era impossibile che Romeo cambiasse idea. Ecco perché la gente ricordava i loro nomi sempre uniti: Romeo e Giulietta. Ecco perché era una bella storia. Giulietta si accontenta di Paride non avrebbe mai sfondato.
Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dai pensieri, per allontanarmi dalla tragedia a cui non volevo più pensare. Cercai invece di concentrarmi sulla realtà: sul tuffo dallo scoglio che si era rivelato un errore irragionevole. Non solo, ma anche quello stupido numero da stuntman in motocicletta. E se mi fosse successo qualcosa di brutto? Come l’avrebbe presa Charlie? L’infarto di Harry aveva di colpo ricomposto tutto nell’ottica sensata che avevo rifiutato di considerare, perché -dovevo ammetterlo—mi avrebbe costretta a cambiare atteggiamento. Avrei saputo vivere così?
Forse. Non sarebbe stato facile; anzi, sarebbe stato un vero dramma rinunciare alle allucinazioni e vivere da persona adulta. Ma forse dovevo farlo. E forse avrei potuto. Se ci fosse stato Jacob.
Non potevo decidere lì per lì. Faceva troppo male. Meglio pensare ad altro.
Le immagini della mia acrobazia scapestrata si rincorrevano, mentre tentavo di evocare cose più piacevoli... l’aria che mi sfiorava durante la caduta, l’oscurità dell’acqua, la corrente impetuosa... il viso di Edward... lo contemplai a lungo. Le mani calde di Jacob che cercavano di ridarmi vita... il punzecchiare della pioggia che cadeva dalle nuvole violacee... la strana fiamma sopra le onde...
C’era qualcosa di familiare in quel lampo di colore sul pelo dell’acqua. Ovviamente, non era un vero fuoco.
I miei pensieri furono interrotti dal rumore di un’auto che sgommava nel fango, sulla strada di fronte a casa. La sentii frenare, le portiere si aprirono e chiusero. Considerai la possibilità di sedermi, ma decisi di non farlo.
La voce di Billy era riconoscibile, benché fosse di un tono più basso del normale, quasi un borbottio tenebroso.
La porta si aprì e la luce si accese. Sbattei le palpebre, momentaneamente accecata. Jake si svegliò di soprassalto, col fiato sospeso, e saltò in piedi.
«Scusate», bofonchiò Billy. «Vi abbiamo svegliati?».
Lo misi a fuoco pian piano e poi, non appena decifrai la sua espressione, i miei occhi si gonfiarono di lacrime.
«Oh, no, Billy!», singhiozzai.
Annuì lentamente, lo sguardo pieno di cordoglio. Jake si affrettò a raggiungere suo padre e lo prese per mano. Il dolore sul suo volto lo faceva somigliare a un bambino, una strana combinazione sul suo corpo da uomo.
A spingere Billy oltre la soglia c’era Sam. Sul suo viso angosciato non c’era traccia del solito contegno.
«Mi dispiace davvero», sussurrai.
Billy annuì. «Sarà dura per tutti».
«Dov’è Charlie?».
«Tuo padre è rimasto in ospedale con Sue. Ci sono ancora parecchie cose da... organizzare».
Restai senza parole.
«Meglio che li raggiunga», mormorò Sam uscendo in tutta fretta.
Billy si allontanò da Jacob e scomparve nella propria stanza, passando per la cucina.
Jake lo seguì dopo un minuto, dopodiché tornò a sedersi accanto a me sul pavimento. Teneva la testa tra le mani. Gli massaggiai una spalla; desideravo tanto poterlo consolare con una parola.
Dopo qualche istante, Jacob mi prese la mano e se la avvicinò al viso.
«Come stai? Va meglio? Probabilmente avrei dovuto portarti da un medico o qualcosa del genere». Sospirò.
«Non preoccuparti per me», gracchiai.
Inclinò la testa per guardarmi. Aveva gli occhi cerchiati di rosso. «Non hai una bella cera».
«Non mi sento tanto bene, in effetti».
«Vado a recuperare il pick-up e ti do un passaggio a casa. Meglio che al rientro Charlie ti trovi là».
«Giusto».
Restai inerte sul divano, in attesa del ritorno di Jacob. Billy, nell’altra stanza, taceva. Mi sentivo un’intrusa che sbirciava attraverso le crepe del muro un dolore privato che non mi apparteneva.
Jake non impiegò molto. Il rombo del pick-up spezzò il silenzio prima del previsto. Mi aiutò ad alzarmi dal divano senza parlare, incrociando le braccia sul petto per proteggermi dall’aria gelida. Occupò il posto di guida senza chiedermelo e mi fece accomodare al suo fianco, abbastanza vicina da potermi stringere con un braccio. Posai la testa sul suo petto.
«Come fai a tornare a casa?», chiesi.
«Non torno. Non abbiamo ancora preso la succhiasangue, ricordi?».
Il viaggio proseguì in silenzio. L’aria fredda mi aveva risvegliata. Ero vigile, il mio cervello girava a mille.
E se... Era davvero la scelta migliore?
Ormai non riuscivo a immaginare la mia vita senza Jacob. Rifiutavo anche soltanto di pensarlo. Non sapevo come, ma era diventato un elemento indispensabile alla mia sopravvivenza. E lasciare le cose com’erano... era forse una scelta crudele, come aveva puntualizzato Mike?
Ricordai di aver desiderato che Jacob fosse mio fratello. Mi resi conto che ciò che desideravo davvero era segnare un confine. Certi nostri abbracci non erano soltanto fraterni. Era una bella sensazione: di calore, conforto, familiarità e sicurezza. Ecco, Jacob era un porto sicuro.
Dovevo segnare un confine preciso. Era mio potere farlo.
Avrei dovuto spiegargli tutto, lo sapevo. L’unica maniera di essere leale era chiarire le cose per bene, fargli capire che non mi stavo accontentando, che lui andava anche troppo bene per me. Già sapeva che ero a pezzi, perciò non lo avrei sorpreso del tutto, ma dovevo far sì che cogliesse le dimensioni del mio dolore. Avrei dovuto anche ammettere la mia pazzia e raccontargli delle voci che sentivo. Perché potesse decidere, doveva essere messo al corrente di tutto.