All’improvviso, sentii l’eco delle parole di Jacob, quel pomeriggio, e capii... Si è rifugiata in acqua, aveva detto. Per i succhiasangue è un vantaggio. Sono tornato a casa di corsa perché temevo che mi precedesse a nuoto.
La mia mano s’immobilizzò, restai dov’ero, pietrificata, e capii cosa fosse la strana chiazza arancione sul pelo dell’acqua.
La chioma di Victoria scompigliata dal vento, del colore del fuoco...
Era arrivata a un passo. Nel golfo, assieme a me e Jacob. E se non ci fosse stato anche Sam, se fossimo stati soltanto noi due? Non riuscivo a muovermi né a respirare.
La lampadina si accese, ma non erano state le mie dita a trovare l’interruttore.
Sorpresa dalla luce improvvisa, mi accorsi di una presenza che aspettava me.
17
Ospite
Innaturalmente statica e pallida, con i grandi occhi neri fissi sul mio volto, l’ospite mi attendeva immobile al centro del corridoio, bella da non credere.
All’istante mi tremarono le ginocchia, quasi caddi a terra. Poi corsi verso di lei. «Alice, oh, Alice!», gridai abbracciandola forte. Avevo dimenticato quanto fosse dura; fu come gettarsi di corsa contro una parete di cemento.
«Bella?». Nella sua voce c’era un curioso misto di sollievo e confusione.
Mi strinsi a lei, respirando a fondo per godermi il più possibile quel profumo meraviglioso. Non somigliava a nient’altro: non ai fiori, né agli agrumi, né al muschio. Non c’era fragranza al mondo capace di reggere il confronto. I miei ricordi non gli rendevano giustizia.
Non mi resi conto che i respiri si erano trasformati in qualcos’altro. Capii di essere scoppiata a piangere soltanto quando Alice mi trascinò sul divano e mi fece sedere in braccio a lei. Era come raggomitolarsi addosso a una roccia fredda, ma modellata a misura del mio corpo. Mi massaggiò la schiena con delicatezza, in attesa che riprendessi il controllo.
«Scusa...», farfugliai. «Sono soltanto... felicissima... di rivederti!».
«Tranquilla, Bella. Va tutto bene».
«Sì», risposi tra le lacrime. Per una volta sembrava fosse proprio così.
Alice sospirò. «Dimenticavo quanto fossi esuberante», disse, critica.
La guardai con gli occhi gonfi di lacrime. Il suo collo era rigido, cercava di starmi lontana, le labbra sigillate. Gli occhi erano neri come il carbone.
«Ah», sospirai e compresi il problema. Aveva sete. E io profumavo di buono. Era passato tanto tempo dall’ultima volta in cui avevo dovuto badare a certi particolari. «Scusa».
«È colpa mia. Non vado a caccia da troppo tempo. Non va bene che mi riduca ad avere così sete. Ma oggi ero di fretta». Con uno sguardo mi trafisse. «A proposito, potresti spiegarmi come mai sei ancora viva?».
Quelle parole arrestarono le lacrime e mi fecero rinsavire. Capii subito ciò che doveva essere accaduto e il perché della presenza di Alice.
Deglutii rumorosamente. «Mi hai vista cadere».
«No», ribatté torva. «Ti ho vista saltare».
Incerta, tentai di pensare a una scusa che non mi facesse passare per pazza.
Alice scosse la testa. «Gli ho detto che prima o poi sarebbe successo, ma non mi ha creduto. “Bella me l’ha promesso”». Lo imitò talmente bene da immobilizzarmi in una fitta di dolore. «“E non andare a sbirciare nel suo futuro”», aggiunse, imitandolo ancora. «“Abbiamo già fatto abbastanza danni”. Ma il fatto che io non sbirci non significa che non veda», proseguì. «Non ti stavo tenendo d’occhio, Bella, te lo giuro. Il fatto è che sono talmente in sintonia con te... Quando ti ho vista saltare, non ci ho pensato un attimo e sono salita sul primo aereo. Sapevo che era troppo tardi, ma non potevo restare impassibile. Poi sono venuta qui, pensando che in qualche modo avrei potuto dare una mano a Charlie, e a un certo punto, spunti fuori». Scosse di nuovo la testa, confusa. Nella sua voce c’era un velo di sofferenza. «Ti ho vista buttarti in acqua e ho aspettato a lungo senza vederti riaffiorare. Cos’è successo? E come hai potuto fare una cosa simile a Charlie? Non ti sei fermata a pensare alla conseguenze? E mio fratello? Hai la minima idea di cosa Edward...».
Le feci segno di tacere non appena pronunciò il suo nome. Il fraintendimento era chiaro, ma finora l’avevo lasciata parlare soltanto per sentire l’intonazione perfetta della sua voce. «Alice, non ho tentato il suicidio».
Mi guardò, dubbiosa. «Mi stai dicendo che non ti sei buttata da uno scoglio?».
«No, ma...». Feci una smorfia. «È stato soltanto per svagarmi un po’».
S’irrigidì.
«Ho visto certi amici di Jacob tuffarsi dalla scogliera», insistetti. «Mi sembrava una cosa... divertente, ed ero così annoiata...».
Mi lasciò parlare.
«Non ho pensato che la tempesta potesse influenzare le correnti. Anzi, non ho pensato affatto all’acqua».
Non se la beveva. Era sempre convinta che avessi tentato di suicidarmi. Decisi di cambiare discorso. «Ma se nell’acqua hai visto me, come hai fatto a non notare Jacob?».
Chinò la testa di lato, distratta.
Proseguii. «È vero, probabilmente sarei affogata se lui non si fosse tuffato a prendermi. Anzi, sicuramente. Per fortuna si è tuffato, mi ha tirata fuori e riportata sulla spiaggia, anche se quella parte temo di essermela persa. Mi ha afferrata meno di un minuto dopo il tuffo. Come mai non ci hai visti entrambi?».
Aggrottò le sopracciglia, perplessa. «Qualcuno ti ha tirata fuori?».
«Sì. È stato Jacob a salvarmi».
La guardai, curiosa, mentre una gamma di emozioni enigmatiche scorreva sul suo viso. Qualcosa la preoccupava: le sue visioni imperfette? Non ne ero certa. Poi si chinò ad annusarmi la spalla.
Restai impietrita.
«Non dire stupidaggini», mormorò senza smettere di annusare.
«Che fai?».
Ignorò la mia domanda. «Chi c’era là fuori con te, poco fa? Sembrava stessi discutendo».
«Jacob Black. È... il mio migliore amico, più o meno. Anzi, lo era...». Ripensai all’espressione furiosa e tradita di Jacob e mi chiesi cosa fosse lui per me, a quel punto.
Alice annuì, sembrava preoccupata.
«Che c’è?».
«Non so», rispose. «Non so che senso abbia».
«Be’, se non altro non sono morta».
Alzò gli occhi al cielo. «È stato un folle a pensare che potessi sopravvivere da sola. Sei una calamita che attira disgrazie e incidenti assurdi».
«Sono sopravvissuta», ribadii.
Stava pensando ad altro. «Ma dimmi, se la corrente era troppo forte per te, come ha fatto questo Jacob a cavarsela?».
«Jacob è... più forte».
Si accorse della mia voce traballante e alzò le sopracciglia.
Per un istante restai senza parole. Era un segreto, o no? E ammesso che lo fosse, a chi dovevo restare fedele? A Jacob o Alice?
Mantenere un segreto era troppo difficile. Se Jacob sapeva tutto, perché non parlarne anche con Alice?
«Be’, ecco, lui è una specie di... licantropo», confessai d’un colpo. «I Quileute si trasformano in lupi, in presenza dei vampiri. Conoscono Carlisle da un sacco di tempo. Tu vivevi già con lui?».
Alice restò a fissarmi a bocca aperta per qualche istante, poi si riprese con un rapido battito di ciglia. «Be’, questo di sicuro spiega l’odore», mormorò. «Ma allora, perché non l’ho visto?». Aggrottò le sopracciglia e corrugò la fronte di porcellana.
«L’odore?».
«Hai un odore tremendo», commentò distratta e torva. «Un licantropo? Ne sei sicura?».
«Eccome», confermai, e trasalii al pensiero di Paul e Jacob che litigavano sulla strada. «Immagino che tu non vivessi con Carlisle, l’ultima volta che ci sono stati i licantropi a Forks».
«No. Non l’avevo ancora trovato». Restò persa nei propri pensieri. All’improvviso strabuzzò gli occhi e si voltò a guardarmi, spaventata. «Il tuo migliore amico è un licantropo?».