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«Ciao», dissi per spezzare il suo silenzio.

Jake corrugò le labbra, senza avvicinarsi. Con lo sguardo perlustrò la facciata della casa.

Serrai le mascelle. «Non c’è. Cosa vuoi?».

Attese qualche istante. «Sei sola?».

«Sì», sospirai.

«Possiamo parlare per un minuto?».

«Certo che sì, Jacob. Entra pure».

Lanciò un’occhiata alle sue spalle, verso gli amici in auto. Notai un minuscolo cenno del capo da parte di Embry. Per chissà quale motivo, mi sentii profondamente seccata.

Di nuovo serrai le mascelle. «Coniglio», mormorai tra me.

Lo sguardo di Jake m’inchiodò, le sopracciglia nere e folte curve sugli occhi infossati. Alzò la testa e a passo di marcia—non c’è altro termine per descrivere il modo in cui si mosse—si avvicinò e mi scansò per entrare in casa.

Prima di chiudere la porta, lanciai un’occhiataccia a Jared ed Embry. I loro sguardi non mi piacevano. Davvero temevano che potessi fare del male al loro amico?

Jacob era in corridoio, alle mie spalle, e osservava le lenzuola in disordine che riempivano il salotto.

«Pigiama party?», chiese sarcastico.

«Sì», risposi con lo stesso livello di acidità. Non mi piaceva quando si comportava in quel modo. «È un problema?».

Arricciò di nuovo il naso, come di fronte a un odore sgradevole. «Dov’è la tua amica?».

«Aveva qualche commissione da fare. Senti, Jacob, cosa vuoi?».

Qualcosa, nella stanza, lo rese ancora più nervoso. Le sue lunghe braccia tremavano e non rispose. Entrò in cucina, invece, e la perlustrò tutta con rapide occhiate. Lo seguii. Camminava avanti e indietro, davanti al piano del cucinotto.

«Ehi», dissi sbarrandogli la strada. Lui si fermò e mi guardò negli occhi. «Qual è il problema?».

«Non mi va di dover restare qui».

Colpita in pieno. Trasalii e il suo sguardo si fece più cattivo.

«Allora mi dispiace che tu sia venuto», mormorai. «Perché non mi dici cosa vuoi, così puoi andartene?».

«Ho soltanto un paio di domande da farti. Non ci vorrà molto. Dobbiamo rientrare prima che inizi il funerale».

«D’accordo. Sbrighiamoci, allora». Probabilmente sfidarlo in quel modo era troppo, ma non volevo svelargli quanto mi facesse male. Non mi stavo comportando bene, lo sapevo. Dopotutto, ero stata io a preferirgli la succhiasangue. Ero stata io la prima a ferire.

Prese fiato e le sue dita tremanti si immobilizzarono all’istante. Sul suo volto comparve un’espressione serena.

«Qui con te c’è una Cullen», disse.

«Sì. Alice Cullen».

Annuì pensieroso. «Quanto ha intenzione di restare?».

«Quanto le pare». La mia ostilità era ancora evidente. «È mia ospite».

«Pensi di riuscire... per favore... a spiegarle di quell’altra—Victoria?».

Impallidii. «Gliene ho già parlato».

Jacob annuì. «Forse ricordi che in presenza dei Cullen noi siamo costretti a vigilare soltanto sulle nostre terre. Solo a La Push sarai al sicuro. Qui non posso più proteggerti».

«D’accordo», risposi con un filo di voce.

Gettò lo sguardo verso le finestre sul retro. Non aggiunse altro.

«Tutto qui?».

Rispose senza staccare gli occhi dai vetri. «Una cosa ancora».

Restai in attesa, ma lui non parlava. Cercai di incoraggiarlo. «Cosa?».

«Ora torneranno anche gli altri?», chiese, sereno e tranquillo. Ricordava le maniere posate di Sam. Jacob gli somigliava sempre di più... chissà perché, la cosa mi preoccupava.

Fu il mio turno di rispondere tacendo. Mi guardò in faccia, dritto negli occhi.

«Be’?», chiese, sforzandosi di nascondere la tensione dietro il viso sereno.

«No», risposi infine, mio malgrado. «Non torneranno».

Non si scompose. «Va bene. Non ho altro da dire».

Gli lanciai un’occhiataccia, sentivo rinascere il fastidio. «Be’, ora puoi scappare. Vai a dire a Sam che i brutti mostri non verranno a cercarvi».

«Va bene», ribadì calmo.

Non c’era altro da dire. Jacob uscì svelto dalla cucina. Restai in attesa del rumore della porta di casa, ma non sentii niente, a parte il ticchettio dell’orologio sopra il forno. Incredibile quanto lui fosse diventato silenzioso.

Che disastro. Era assurdo che in così poco tempo fossi riuscita a renderlo una specie di estraneo.

Dopo che Alice se ne fosse andata, mi avrebbe perdonato? E se non lo avesse fatto?

Mi afflosciai contro il piano della cucina, nascondendo la testa tra le mani. Com’era possibile che avessi creato quel disastro? Avevo avuto altra scelta? Nemmeno con il senno di poi riuscivo a pensare a una maniera, a una strada migliore e ideale.

«Bella?», chiese Jacob con voce tremante.

Scoprii il viso e lo vidi imbarazzato sulla soglia della cucina; non era ancora uscito. Solo quando notai le gocce brillare tra le mie dita capii di essere scoppiata a piangere.

L’espressione calma di Jacob era sparita; era ansioso e insicuro. Subito mi si avvicinò e abbassò la testa per avvicinare i suoi occhi ai miei.

«È successo di nuovo, vero?».

«Cosa?», chiesi con la voce rotta.

«Ho infranto la promessa. Scusami».

«Fa niente», mormorai. «Stavolta ho iniziato io».

Fece una smorfia. «Sapevo quanto fossi affezionata a loro. Non avrei dovuto lasciarmi sorprendere così».

Gli leggevo il disgusto negli occhi. Avrei desiderato spiegargli chi era in realtà Alice, difenderla dalle sue accuse, ma qualcosa mi diceva che non era il momento adatto.

Perciò, risposi con un semplice: «Mi dispiace».

«Non preoccupiamoci troppo, va bene? È soltanto in visita, no? Quando se ne andrà, tutto tornerà normale».

«Non posso essere amica di entrambi?», chiesi senza nascondere nemmeno un briciolo del dolore che provavo.

Jacob scosse la testa, lentamente. «No, temo di no».

Singhiozzai e fissai i suoi piedoni. «Ma tu aspetterai, vero? Sarai sempre mio amico, anche se voglio bene ad Alice?».

Evitai di guardarlo in faccia per non vedere la sua reazione e ci mise un bel po’ a rispondere. Forse avevo fatto bene a non alzare lo sguardo.

«Sì, sarò sempre tuo amico», disse torvo. «Non m’importa a chi vuoi bene».

«Promesso?».

«Promesso».

Mi sentii circondare dalle sue braccia e mi strinsi a lui, ancora in lacrime. «Che schifo di situazione».

«Già». Poi mi annusò i capelli e fece una smorfia nauseata.

«Basta!», esclamai. Alzai gli occhi e lo vidi storcere il naso. «Perché ce l’avete tutti con me? Io non puzzo!».

Abbozzò un sorriso. «Invece sì... puzzi come loro. Bleah. Troppo dolce. Nauseante. E... ghiacciato. Mi brucia il naso».

«Davvero?». Strano. Il profumo di Alice era meraviglioso. Per un essere umano, certo. «Ma perché anche Alice dice che puzzo, allora?».

Il sorriso scomparve. «Ehm... forse neanche il mio odore è buono, per lei. No?».

«Be’, a me sembra che entrambi abbiate un buon profumo». Posai di nuovo la testa sul suo petto. Una volta uscito, mi sarebbe mancato terribilmente. Che maledetto rompicapo. Desideravo che anche Alice restasse sempre con me. Mi sarei sentita morire se mi avesse abbandonata, ma com’era possibile restare senza Jake fino a chissà quando? Che casino, pensai.

«Mi mancherai», sussurrò Jacob, in accordo con i miei pensieri. «In ogni istante. Spero che se ne vada presto».

«Non deve essere per forza così, Jake».

Sospirò. «Invece sì, Bella. Tu... le vuoi bene. Perciò è meglio che non mi avvicini. Non sono sicuro di sapermi controllare abbastanza. Sam si infurierebbe se infrangessi il patto e...», il suo tono si fece sarcastico, «non saresti affatto contenta se uccidessi la tua amica».

A quelle parole, tentai di sciogliere l’abbraccio, ma lui strinse la presa e m’impedì di fuggire. «È inutile negare là verità. Così vanno le cose, Bells».