«Edward, no!», urlai, ma la mia voce si perse, coperta dal baccano delle campane.
Riuscivo a vederlo. Ma lui non poteva vedere me.
Era proprio Edward, niente allucinazioni stavolta. Mi resi conto che le mie illusioni erano tutte imperfette: nessuna mai gli aveva reso giustizia.
Edward, immobile come una statua a pochi metri dall’imbocco della via, teneva chiusi gli occhi cerchiati da occhiaie livide, le braccia rilassate sui fianchi, il palmo delle mani rivolto all’insù. La sua espressione era pacifica, come durante un sogno piacevole. Il suo petto marmoreo era nudo e ai suoi piedi era appallottolata una maglietta o una camicia bianca. La luce riflessa dal suolo della piazza brillava fioca sulla sua pelle.
Non avevo mai visto niente di più bello. Me ne rendevo conto anche mentre correvo e urlavo senza fiato. Le sue parole nella foresta non significavano più nulla. Poco importava che non mi volesse più. Non avrei desiderato altro che lui, per il resto dei miei giorni.
La campana suonò un’altra volta e lui fece un lungo passo avanti verso la luce.
«No!», gridai. «Edward, sono qui!».
Non mi badò. Sorrideva beato. Un altro passo lo avrebbe esposto direttamente alla luce del sole.
Mi gettai contro di lui con tanta forza da rischiare di rimbalzargli addosso, se non ci fossero state le sue braccia a stringermi e trattenermi. Il contraccolpo mi tolse il respiro e mi piegò la testa all’indietro.
All’ennesimo rintocco aprì piano gli occhi scuri.
Mi guardò, sorpreso ma composto.
«Straordinario», disse. La sua voce squisita era piena di meraviglia, quasi compiaciuta. «Carlisle aveva ragione».
«Edward», cercai di esclamare, ma avevo perso la voce. «Torna subito all’ombra! Muoviti!».
Sembrava perplesso. Mi sfiorò piano una guancia con le dita. Non si era nemmeno accorto del mio tentativo di riportarlo indietro. Era come spingere contro le mura di cinta. La campana suonava, ma lui non reagì.
Ci trovavamo entrambi in pericolo di morte. Eppure, in quell’istante, mi sentii bene. Intera. Finalmente sentivo il cuore pompare nel petto, il sangue scorrere caldo e veloce nelle vene. I miei polmoni si riempirono del dolce profumo della sua pelle. La voragine si era chiusa senza lasciare traccia. Mi sentivo perfetta, come se la ferita non si fosse mai spalancata.
«È incredibile, sono stati velocissimi. Non ho sentito niente... che bravi», mormorò chiudendo gli occhi e baciandomi i capelli. La sua voce era velluto e miele. «“La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza”», mormorò e riconobbi i versi pronunciati da Romeo sulla tomba di Giulietta. La campana suonò per l’ultima volta. «Hai lo stesso profumo di sempre», aggiunse. «Quindi, forse questo è davvero l’inferno. Non importa. Resisterò».
«Non sono morta», sbottai. «E nemmeno tu! Ti prego, Edward, dobbiamo muoverci. Ci prenderanno!».
Mi dibattevo tra le sue braccia, mentre lui s’accigliava, confuso. «Puoi ripetere?», disse, educato.
«Non siamo morti, non ancora! Ma dobbiamo andarcene prima che i Volturi...».
Sul suo viso apparve un lampo di lucidità. Senza lasciarmi il tempo di parlare, mi trascinò con forza lontano dal limite dell’ombra, mettendomi senza sforzo con le spalle al muro, mentre lui si voltava verso l’interno del vicolo. Aprì le braccia, come per farmi scudo. Sbirciai di fronte a lui e vidi due sagome uscire dalla penombra.
«Buongiorno, signori». La voce di Edward sembrava calma e gentile. «Non credo che oggi avrò bisogno dei vostri servigi. Vi prego soltanto, per piacere, di portare i miei ringraziamenti ai vostri padroni».
«Vogliamo continuare la conversazione in un luogo più consono?», sussurrò minacciosa una voce.
«Non credo sarà necessario». Edward era più teso. «Conosco le vostre istruzioni, Felix. Non ho infranto alcuna regola».
«Felix allude alla vicinanza del sole», disse l’altra ombra, più suadente. Entrambe le sagome erano nascoste sotto mantelle grigio fumo che toccavano terra e ondeggiavano al vento. «Cerchiamo un riparo migliore».
«Vi seguo», replicò secco Edward. «Bella, perché non torni in piazza a goderti la festa?».
«No, la ragazza viene con noi», sussurrò la prima ombra con un velo di malizia.
«Puoi scordartelo». Le buone maniere svanirono. La voce di Edward fu secca e tagliente. Il suo corpo teso si preparava allo scontro.
«No», bisbigliai.
«Sssh», mormorò, e lo sentii soltanto io.
«Felix», disse la seconda ombra in tono più ragionevole, frapponendosi ai due. «Non qui». Si rivolse a Edward. «Aro desidera soltanto conversare di nuovo con te, se infine hai deciso davvero di non sfidarci».
«Certamente», rispose Edward, «ma lasciate libera la ragazza».
«Mi dispiace, temo non sia possibile», ribatté l’ombra più cortese. «Dobbiamo obbedire alle regole».
«Allora temo che non potrò accettare l’invito di Aro, Demetri».
«D’accordo», commentò soddisfatto Felix. I miei occhi si stavano abituando al buio e mi accorsi di quanto Felix fosse grosso, alto e largo di spalle. Mi ricordava Emmett.
«Aro sarà molto deluso», sospirò Demetri.
«Sono certo che sopravviverà al dispiacere», ribatté Edward.
Felix e Demetri si avvicinarono all’imbocco del vicolo, allargandosi leggermente in modo da chiudere ogni sbocco a Edward e costringerlo a entrare nella via per evitare scandali. Al riparo delle mantelle la loro pelle non rischiava il contatto con il sole.
Edward non si mosse di un centimetro. Andava incontro a quel destino per proteggere me.
Poi si voltò di scatto, assieme a Demetri e Felix, verso il buio della stradina tortuosa, in risposta a un suono o a un movimento impercettibile per i miei sensi.
«Vogliamo darci un contegno?», chiese una voce cristallina. «Non ci si comporta così di fronte a delle signore».
Alice raggiunse leggera Edward, senza tradire alcuna emozione o nervosismo. Sembrava minuta e fragile. Lasciava penzolare le braccia snelle come una bambina.
Invece Demetri e Felix si raddrizzarono, con le mantelle sfiorate da un colpo di vento che attraversò il vicolo. L’espressione di Felix s’irrigidì. A quanto pareva, non gradivano gli scontri ad armi pari.
«Non siamo soli», disse Alice.
Demetri si guardò alle spalle. A pochi metri di distanza, verso la piazza, la famigliola ci stava osservando. La madre parlava nervosa con il marito, gli occhi fissi su noi cinque. Lo sguardo di Demetri la fece voltare. L’uomo raggiunse uno degli uomini in giacca rossa nella piazza e gli picchiettò sulla spalla.
Demetri scosse la testa: «Ti prego Edward, ragioniamo».
«D’accordo. Ce ne andiamo subito, pari e patta».
Demetri sospirò, nervoso. «Almeno lascia che ne parliamo in privato».
Sei uomini in rosso si unirono alla famiglia e ci fissarono nervosi. Sapevo quanto fosse protettivo Edward nei miei confronti ed ero sicura che fosse stato lui a metterli in allarme. Avrei voluto gridare loro di fuggire.
Edward strinse i denti con uno scatto. «No».
Felix sorrise.
«Piantatela».
Era una voce acuta, melodiosa, che veniva da dietro di noi.
Sbirciai oltre il braccio di Edward e scorsi una piccola sagoma scura venirci incontro. A giudicare dalle movenze, doveva essere un altro di loro. Ma chi?
Sulle prime pensai fosse un ragazzino. Il nuovo arrivato era minuto come Alice e portava i capelli corti, castano chiaro. Il corpo nascosto dalla mantella—più scura delle altre, quasi nera—era snello, androgino. Ma il viso era troppo bello per appartenere a un ragazzo. Al confronto delle sue labbra piene e degli occhi grandi, gli angeli del Botticelli sfiguravano. Malgrado le pupille di un rosso opaco.
Fui stupita dalla reazione per l’arrivo di una figura così poco appariscente. Felix e Demetri si calmarono all’istante e abbandonando la posizione di attacco tornarono a mescolarsi alla penombra.
Anche Edward ruppe la tensione con atteggiamento sottomesso.