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Un ultimo minuto di agonia e la voce di Aro ruppe il silenzio.

«Ah, ah, ah», rise, la testa ancora china in avanti. Lentamente si rialzò, lo sguardo acceso di entusiasmo. «È stato davvero affascinante!».

Alice abbozzò un sorriso. «Sono lieta che ti sia piaciuto».

«Che gran cosa vedere ciò che hai visto... soprattutto gli eventi che non si sono ancora compiuti!». Scosse la testa sbalordito.

«Ma che si compiranno», precisò lei, calma.

«Sì, sì, ormai è tutto scritto. Non c’è alcun problema, ne sono sicuro».

Caius sembrava deluso almeno quanto Felix e Jane.

«Aro!», esclamò, nervoso.

«Caius, mio caro», rispose sorridendo, «non essere impaziente. Pensa alle opportunità! Non si sono uniti a noi oggi, ma ci resta una speranza per il futuro. Immagina quanta gioia potrebbe portare la giovane Alice, da sola, alla nostra piccola famiglia... e poi, sono davvero curiosissimo di scoprire cosa diventerà Bella!».

Sembrava convinto. Non si rendeva conto di quanto fossero relative le visioni di Alice? Lei stessa poteva essere decisa a trasformarmi, in quel momento, ma nel giro di un giorno avrebbe potuto cambiare idea. Un milione di piccole decisioni, sue e di tanti altri—di Edward, per esempio—potevano deviare la strada e, con essa, il futuro.

E importava davvero che Alice fosse disposta a trasformarmi? Cosa importava che anch’io diventassi un vampiro, se Edward si opponeva con tanta forza? E se avesse preferito morire pur di non avermi vicina per sempre, come un fastidio immortale? Terrorizzata com’ero, mi sentii scivolare, annegare nella depressione...

«Perciò, ora siamo liberi di andarcene?», chiese Edward, più tranquillo.

«Sì, sì», rispose Aro gentile. «Ma vi prego, tornate a trovarci. È stato davvero incantevole!».

«E noi ricambieremo la visita», promise Caius, gli occhi sbarrati come lo sguardo pesante di un rettile, «per assicurarci che abbiate rispettato le decisioni. Fossi in voi, non attenderei troppo. Non diamo mai una seconda opportunità».

Edward serrò le mascelle, ma annuì.

Caius fece un sorriso e tornò accanto a Marcus, che era rimasto immobile, disinteressato.

Felix ruggì.

«Ah, Felix», disse Aro, sorridente e divertito. «Heidi sta per arrivare. Abbi pazienza».

«Mmm». C’era un velo di nervosismo nella voce di Edward. «Se è così, forse è meglio che ce ne andiamo subito».

«Sì», rispose Aro. «Buona idea. Non si sa mai. Se non vi dispiace, però, vi prego di aspettare giù finché non cala la sera».

«Certo», disse Edward, mentre trasalivo al pensiero che dovessimo attendere ancora.

«Un’ultima cosa», aggiunse Aro e fece un cenno della mano a Felix. Quello gli si avvicinò e si lasciò sfilare dalle spalle la mantella grigia. Aro la lanciò a Edward. «Prendila. Sei un po’ troppo appariscente».

Edward la indossò lasciando il cappuccio sulle spalle.

Aro sospirò. «Ti sta bene».

Edward soffocò un ghigno e si guardò alle spalle. «Grazie, Aro. Aspetteremo al piano di sotto».

«Arrivederci, miei giovani amici», disse Aro e il suo sguardo si illuminò.

«Andiamo», esortò Edward.

Demetri ci indicò di seguirlo e fece strada verso l’anticamera da cui eravamo entrati; evidentemente, non c’era altra uscita.

Edward mi strinse al suo fianco con uno strattone. Accanto a me Alice, che mi proteggeva con un’espressione rigida sul volto.

«Non siamo stati abbastanza veloci», mormorò.

La guardai impaurita, ma tutto sommato sembrava soltanto seccata. Fu a quel punto che sentii le voci confuse, chiassose e sguaiate che provenivano dall’anticamera.

«Ehi, che posto curioso», tuonò la voce rauca di un uomo.

«Molto medievale», aggiunse una voce femminile stridula e fastidiosa.

Una comitiva numerosa sbucò dalla porticina ed entrò nella stanza di pietra. Demetri ci fece segno di lasciarli passare. Ci toccò stringerci contro le pareti fredde.

La coppia in testa al gruppo, americani a giudicare dall’accento, lanciava sguardi di apprezzamento.

«Benvenuti, ospiti! Benvenuti a Volterra!». Era la voce melodiosa di Aro che proveniva dallo stanzone della torretta.

Gli altri, quaranta e più, entrarono nel locale, in fila dietro i primi due. Alcuni studiavano l’ambiente, da veri turisti. Altri si azzardavano a scattare fotografie. Altri ancora sembravano confusi, come se il motivo per cui erano giunti a visitare quel luogo non avesse più senso. In particolare notai una donnetta scura, che portava un rosario al collo e teneva la croce stretta tra le dita. Camminava più lenta degli altri, con cui si scontrava di tanto in tanto facendo domande in una lingua sconosciuta. Nessuno la capiva e nella sua voce iniziò ad affiorare il panico.

Edward mi strinse al petto per impedirmi di vedere, ma era troppo tardi. Ormai avevo capito.

Quando vide il primo spiraglio, mi spinse in fretta verso la porta. Sapevo di avere un’espressione terrorizzata e le lacrime iniziarono a gonfiarmi gli occhi.

Il corridoio con le decorazioni dorate era vuoto e silenzioso, con l’eccezione di una donna bellissima e statuaria. Guardò verso di noi, verso di me in particolare, con curiosità.

«Bentornata, Heidi», salutò Demetri alle nostre spalle.

Heidi sorrise distratta. Mi ricordava Rosalie, non perché le somigliasse, ma per il tipo di bellezza, eccezionale, indimenticabile. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.

I suoi abiti accentuavano il suo fascino. Una minigonna cortissima mostrava gambe straordinariamente lunghe, avvolte in calze scure. Portava una giacchetta di lattex rossa aderentissima, a maniche lunghe e collo alto. La chioma era di uno splendente color mogano e gli occhi avevano una stranissima sfumatura viola, forse una combinazione di iride rossa e lenti a contatto blu.

«Demetri», rispose con voce vellutata, mentre con lo sguardo osservava me e la mantella grigia di Edward.

«Bel bottino», si complimentò Demetri, e all’improvviso capii perché fosse vestita in maniera tanto appariscente... Era allo stesso tempo esca e pescatrice.

«Grazie». Sfoderò un sorriso sbalorditivo. «Tu non vieni?».

«Tra un minuto. Tienine qualcuno da parte».

Heidi annuì e varcò la soglia, a testa bassa, lanciandomi un ultimo sguardo incuriosito.

Edward accelerò il passo e per seguirlo fui costretta a correre. Ma prima che fossimo al di là della porta decorata in fondo al corridoio iniziarono le urla.

22

Volo

Demetri ci lasciò nell’accogliente e opulenta sala d’attesa in cui ritrovammo la donna di nome Gianna, seduta alla scrivania lucida. Gli altoparlanti nascosti irradiavano musica allegra e innocua.

«Aspettate che faccia buio», disse il nostro custode.

Edward annuì e Demetri scappò via.

Gianna non sembrava affatto sorpresa dalla conversazione, ma fissava la mantella grigia di Edward con sguardo curioso e scaltro.

«Stai bene?», chiese Edward in un sussurro che la donna non poteva cogliere. La sua voce era ruvida, per quanto possa essere ruvido il velluto, e angosciata. Probabilmente sentiva ancora la pressione addosso.

«Falla sedere prima che crolli», disse Alice. «È a pezzi».

Soltanto in quel momento mi accorsi che stavo tremando fortissimo, tanto che mi battevano i denti e la stanza sembrava traballare e annebbiarsi. Per un terribile istante mi chiesi se fosse una sensazione simile a quella che provava Jacob prima di trasformarsi in lupo.

Udii un suono insensato, un controcanto strano e strappato alla musica allegra in sottofondo. Distratta dal mio tremore, non riuscivo a capire da dove venisse.

«Sssh, Bella, sssh», disse Edward e mi fece accomodare sul divano più distante dalla donna incuriosita alla scrivania.

«Penso sia una crisi isterica. Prova con uno schiaffo», suggerì Alice.

Edward le lanciò un’occhiata convulsa.

A quel punto capii. Il rumore proveniva da me. Erano i singhiozzi che mi perforavano il petto. Ecco perché tremavo.