«Non ho tutta la forza che mi attribuisci», mi rispose. «Non m’importa più di capire cosa è giusto e cosa sbagliato; sarei tornato comunque. Prima che Rosalie mi desse la notizia, avevo già rinunciato a vivere alla giornata. Una settimana era un’eternità, un’ora una sofferenza. Era soltanto questione di tempo, molto poco tempo, e mi sarei ripresentato alla tua finestra per implorarti di accettarmi di nuovo. Se non ti dispiace, vorrei provarci ora».
Feci una smorfia. «Non scherzare, per favore».
«Dico sul serio», insistette, guardandomi torvo. «Vuoi, per cortesia, sforzarti di ascoltare ciò che dico? Mi lasci spiegare quanto sei importante per me?».
Restò in silenzio e studiò la mia espressione per assicurarsi che fossi attenta.
«Prima di te, Bella, la mia vita era una notte senza luna. Molto buia, ma con qualche stella: punti di luce e razionalità... Poi hai attraversato il cielo come una meteora. All’improvviso, tutto ha preso fuoco: c’era luce, c’era bellezza. Quando sei sparita, la meteora è scomparsa dietro l’orizzonte e il buio è tornato. Non era cambiato nulla, ma i miei occhi erano rimasti accecati. Non vedevo più le stelle. Niente aveva più senso».
Desideravo credergli. Ma stava descrivendo la mia vita senza di lui, non il contrario.
«Gli occhi si abitueranno», mormorai.
«Questo è il problema: non ci riescono».
«E le tue distrazioni?».
Rise, ma senza la minima traccia di buonumore. «Faceva parte della bugia, amore mio. Non sono mai riuscito a cancellare... l’agonia. Il mio cuore non batteva da quasi novant’anni, ma stavolta è andata diversamente. Non lo sentivo più, al suo posto c’era un vuoto. Come se ti fossi portata via tutto ciò che avevo dentro».
«Curioso», borbottai.
Inarcò una delle sopracciglia perfette. «Curioso?».
«Volevo dire “strano”... pensavo fosse successo soltanto a me. Anch’io ho perso parecchi pezzi. Ho passato chissà quanto tempo senza respirare davvero». Riempii con gioia i polmoni. «Anche il mio cuore. Sparito nel nulla».
Chiuse gli occhi e posò di nuovo la testa sul mio petto. Io gli sfiorai i capelli con la guancia e ne sentii la consistenza sulla pelle, assieme al suo profumo delizioso.
«Non ti sei distratto nemmeno con la caccia?», chiesi curiosa e desiderosa di distrarmi a mia volta. Correvo il rischio di iniziare a sperare. Non mi restava molto. Il mio cuore pulsava e cantava.
«No», sospirò, «quella non è mai stata una distrazione, ma un dovere».
«In che senso?».
«Ecco, benché non considerassi affatto pericolosa Victoria, non intendevo fargliela passare liscia... Te l’ho detto, sono stato un vero incapace. L’ho inseguita fino al Texas, ma poi mi sono lasciato ingannare da una pista falsa che portava in Brasile. In realtà, lei era tornata qui», disse contrariato. «E io stavo in un altro continente! E nel frattempo, peggio del mio incubo peggiore...».
«Eri sulle tracce di Victoria?». Soffocai il grido in gola, alzando di due ottave il poco di voce che mi restava.
Il ronfo lontano di Charlie s’interruppe, ma riprese subito a ritmo regolare.
«Non le ho seguite bene», rispose Edward, che studiava la mia espressione sbalordita con uno sguardo confuso. «Ma stavolta farò di meglio. Presto la smetterà di insozzare l’aria con il suo respiro».
«Questo è... fuori discussione», dissi d’un fiato. Era una pazzia. Anche se avesse chiesto rinforzi a Emmett o Jasper. Anche se Emmett e Jasper lo avessero aiutato. Peggio ancora di quell’altra visione: Jacob Black a poca distanza dalla sagoma feroce e felina di Victoria. Non potevo tollerare di aggiungere anche Edward, benché fosse molto più resistente del mio migliore amico mezzo umano.
«È troppo tardi per lei. L’altra volta ho perso un’occasione, ma ora basta, non dopo che...».
Lo interruppi un’altra volta, cercando di apparire calma. «Ricorda che hai appena promesso di non andartene», dissi combattendo contro le mie stesse parole, per non lasciarle conficcare nel cuore. «Non credo che ciò sia davvero compatibile con una battuta di caccia in piena regola, sbaglio?».
Si fece scuro in volto. Dal suo petto sorse un ringhio soffocato. «Manterrò la promessa, Bella. Ma Victoria», e il ringhio si fece più pronunciato, «morirà. Presto».
«Non lasciamoci prendere dalla fretta», lo incalzai, cercando di nascondere il panico. «Forse non tornerà. Probabilmente il branco di Jake le ha messo paura. Non c’è motivo di andare a cercarla. E poi, ora come ora ho problemi più urgenti».
Edward mi fissò torvo, ma annuì. «Hai ragione. I licantropi sono un problema».
Sbuffai. «Non mi riferisco a Jacob. Ho problemi ben peggiori di un gruppetto di lupi adolescenti pronti a cacciarsi nei pasticci».
Mi guardò come per dire qualcosa, ma poi ci ripensò. Strinse i denti e ricominciò a parlare. «Davvero?», chiese. «E quale sarebbe il problema più urgente? Cos’è che rende tanto trascurabile ai tuoi occhi la prospettiva del ritorno di Victoria?».
«Parliamo del secondo in ordine di urgenza?».
«D’accordo», rispose sospettoso.
Restai in silenzio. Non ero sicura di riuscire a pronunciare quel nome. «C’è qualcun altro che verrà a cercarmi», gli ricordai in un tenue sussurro.
Lui sospirò, ma la reazione non fu decisa come immaginavo dopo averlo sentito parlare in quel modo di Victoria.
«I Volturi sono soltanto secondi?».
«Non mi sembri così sconvolto».
«Be’, abbiamo un sacco di tempo per pensarci. La loro percezione del tempo è molto particolare, diversissima dalla tua, e anche dalla mia. Un loro anno pesa quanto un tuo giorno. Non mi sorprenderei se si rifacessero vivi per il tuo trentesimo compleanno», aggiunse scherzando.
Annegai nel terrore.
Trent’anni.
Perciò, in fin dei conti, le sue promesse non valevano niente. Se dava per scontato che sarei arrivata ai trenta, non poteva avere intenzione di restare con me a lungo. Ferita da tale certezza, capii di avere iniziato a sperare senza potermelo concedere.
«Non devi avere paura», disse, ansioso, mentre guardava le lacrime gonfiarmi gli occhi. «Non permetterò che ti facciano del male».
«Finché ci sei». Non che m’importasse granché di cosa sarebbe accaduto dopo.
Prese la mia testa tra le mani d’acciaio e la strinse, mentre i suoi occhi fondi come la notte attirarono i miei con la forza gravitazionale di un buco nero. «Non ti lascerò mai più».
«Ma hai detto trentesimo», sussurrai. Le lacrime iniziarono a sgorgare. «Perciò... vuoi restare e lasciare che io invecchi? Va bene».
Il suo sguardo si ammorbidì, ma le labbra si fecero rigide. «Proprio così. Quali alternative ho? Non posso fare a meno di te, ma non distruggerò la tua anima».
«Ma sei davvero...». Cercai di non perdere il controllo della voce, ma la domanda era troppo difficile. Ricordai la sua espressione quando Aro lo aveva quasi implorato di considerare la possibilità di rendermi immortale: uno sguardo amareggiato. Si ostinava a volermi conservare umana per via della mia anima o perché non era sicuro di volermi accanto così a lungo?
«Sì?», chiese, in attesa della mia domanda.
Ne feci un’altra. Soltanto un po’ meno dura.
«E quando sarò tanto vecchia che tutti mi scambieranno per tua madre? O tua nonna?». L’amarezza mi svuotava la voce: rivedevo il volto di mia nonna riflesso dallo specchio.
La sua espressione si era rilassata. Asciugò con le labbra le lacrime che mi rigavano il viso. «Per me non significa nulla», disse, respirando sulla mia pelle. «Ai miei occhi resterai la cosa più bella di tutte. Ovviamente...», ebbe un leggero fremito, «se tu diventassi troppo grande, se tu desiderassi qualcosa di più... lo capirei, Bella. Prometto che non ti sarò mai di intralcio se deciderai di lasciarmi».
I suoi occhi erano di onice liquida, totalmente sinceri. Parlava come se la sua testardaggine fosse il risultato di lunghe meditazioni.