«Questa è una proposta ragionevole, Bella», commentò Carlisle.
Pensai a come avrebbe reagito Charlie—dopo tutto ciò che la vita gli aveva inflitto nella settimana precedente, con la perdita di Harry, e ciò che gli avevo fatto passare io con la mia inspiegabile sparizione—se al risveglio avesse trovato il mio letto vuoto. Charlie non se lo meritava. Bisognava aspettare: il diploma non era così lontano...
«Ci penserò», risposi controvoglia.
Edward si rilassò. Non digrignava più i denti. «Forse è meglio che ti riporti a casa», aggiunse d’un tratto, preso dalla fretta di portarmi via. «Non vorrei che Charlie si svegliasse presto».
Guardai Carlisle. «Dopo il diploma?».
«Ti do la mia parola».
Presi un bel respiro, sorrisi e tornai a fissare il volto di Edward. «D’accordo, portami pure a casa».
Mi trascinò via prima che Carlisle potesse aggiungere altre promesse. Passammo dal retro e non riuscii a vedere quali danni avesse combinato in salotto.
Fu un viaggio tranquillo. Mi sentivo trionfante. Certo, morivo anche di paura, ma cercavo di non pensarci. Non serviva a niente preoccuparsi del dolore—quello fisico ed emotivo—perciò non ci badavo. Finché potevo.
Raggiunta casa mia, Edward non si fermò. Schizzò su per il muro, oltre la finestra, in mezzo secondo. Poi mi fece scendere dalle sue spalle e mi mise a letto.
Credevo di avere ben chiaro cosa stesse pensando, ma la sua espressione mi colse di sorpresa. Anziché infuriato, era meditabondo. Camminò in silenzio avanti e indietro per la stanza, mentre lo guardavo, sempre più sospettosa.
«Qualunque cosa tu stia macchinando, non funzionerà», dissi.
«Zitta. Sto pensando».
Con un lamento, mi lasciai cadere a letto coprendomi la testa con la trapunta.
Senza far rumore, mi fu subito accanto. Sollevò la coperta per guardarmi. Mi si sdraiò vicino. Con la mano mi spostò i capelli dalla guancia.
«Se non ti disturba, preferirei che non ti nascondessi il viso. Mi è mancato più di quanto potessi immaginare. Adesso... dimmi una cosa».
«Cosa?», chiesi, riluttante.
«Se tu potessi esaudire un desiderio, quale sceglieresti?».
Lo guardai, scettica. «Di stare con te».
Scosse la testa, impaziente. «Qualcosa che tu non abbia già».
Non capivo dove volesse arrivare, perciò riflettei per bene sulla risposta. Ciò che dissi era vero, magari impossibile.
«Vorrei... che non toccasse a Carlisle farlo. Vorrei che fossi tu a trasformarmi».
Restai in attesa della sua reazione, inquieta, nel timore che la furia che avevo visto esplodere a casa sua riaffiorasse. Con mia sorpresa, restò pensieroso.
«E cosa saresti disposta a dare, in cambio?».
Non credevo alle mie orecchie. Restai a bocca aperta di fronte alla sua compostezza e mi lasciai scappare la risposta senza nemmeno pensarci.
«Qualsiasi cosa».
Abbozzò un sorriso e increspò le labbra. «Cinque anni?».
Sul mio volto spuntò un’espressione a metà strada tra sofferenza e terrore.
«Hai detto qualsiasi cosa», ribadì.
«Sì, ma... sfrutteresti quel tempo per trovare una scappatoia. Devo battere il ferro finché è caldo. E poi, è troppo pericoloso restare umana, per me almeno. Quindi, qualsiasi altra possibilità va bene».
Si rabbuiò. «Tre anni?».
«No!».
«Allora per te non vale niente!».
Ripensai a quanto desiderassi che fosse lui a trasformarmi. Meglio fingere e non farglielo capire. Avrei avuto più margine di manovra. «Sei mesi?».
Alzò gli occhi al cielo. «Non sono abbastanza».
«Allora un anno», risposi. «È il mio massimo».
«Concedimene almeno due».
«Neanche per idea. Diciannove posso anche compierli. Ma ai venti non voglio nemmeno avvicinarmi. Non credere che possano restare una tua esclusiva».
Ci pensò su per un minuto. «Va bene. Lasciamo perdere i limiti temporali. Se vuoi che sia io a compiere il gesto... lo farò ma a una condizione».
Mi sentii mancare la voce. «Quale?».
Il suo sguardo era prudente. Parlò lentamente: «Prima sposami».
Restai a fissarlo, in attesa. «Okay. È uno scherzo».
Sospirò. «Così mi ferisci, Bella. Ti chiedo di sposarmi e la metti sul ridere».
«Edward, per favore, sii serio».
«Sono serio al cento per cento». Mi lanciò un’occhiata che non lasciava spazio alle battute.
«E dai», risposi con un velo di isteria nella mia voce. «Ho soltanto diciotto anni».
«Be’, io quasi centodieci. È ora che metta la testa a posto».
Guardai fuori dalla finestra buia, sforzandomi di non cedere al panico.
«A dire la verità, il matrimonio non è la mia massima priorità, sai? Renée e Charlie ne sono rimasti letteralmente dissanguati».
«Interessante metafora».
«Sai bene cosa intendo».
Riprese fiato. «Per favore, non dirmi che hai paura di assumerti un impegno tanto solenne». Sembrava incredulo e il perché era chiarissimo.
«Non è proprio così», ribattei. «Ho... paura di Renée. Ha idee molto precise a proposito del matrimonio prima dei trent’anni».
«Perché preferirebbe vederti dannata per l’eternità, piuttosto che sposata». Fece una risata cupa.
«Non ci scherzerei troppo».
«Bella, se pensi che sposarsi sia impegnativo quanto barattare la propria anima con una vita eterna da vampiro...», scosse il capo, «se non sei abbastanza coraggiosa da sposarmi, allora...».
«Be’», lo incalzai. «E se lo fossi? Se ti chiedessi di portarmi subito a Las Vegas? Diventerei un vampiro in tre giorni?».
Sorrise, scoprendo i denti splendenti al buio. «Come no», disse certo del mio bluff. «Prendo la macchina».
«Uffa», mormorai. «Ti lascio diciotto mesi».
«Niente affatto», rispose sorridendo. «Questa è la mia condizione».
«Va bene. Mi rivolgerò a Carlisle, dopo il diploma».
«Se proprio ci tieni». Si strinse nelle spalle e il suo sorriso divenne assolutamente angelico.
«Sei impossibile», dissi con un lamento. «Un mostro».
Sghignazzò. «Per questo non mi vuoi sposare?».
Mi lamentai di nuovo.
Si chinò verso di me. I suoi occhi fondi come la notte bruciavano come lava e frantumarono la mia concentrazione. «Bella, per favore», sussurrò.
Per un istante dimenticai di respirare. Quando mi ripresi, scossi la testa con forza per fare ordine nel mio annebbiamento improvviso.
«Sarebbe stato meglio se ti avessi regalato un anello?».
«No! Niente anelli!». Fu quasi un urlo.
«Ecco, ci sei riuscita», sussurrò.
«Ops».
«Charlie si sta svegliando. Meglio che me ne vada», disse Edward rassegnato.
Il mio cuore cessò dibattere.
Lui mi osservò per un momento. «Trovi infantile che mi nasconda nell’armadio?».
«No», sussurrai impaziente. «Per favore, resta».
Sorrise e scomparve.
Al buio, irrequieta, aspettavo che Charlie venisse a controllare. Edward sapeva quel che faceva ed ero pronta a scommettere che dietro la sua reazione stupita e offesa ci fosse ancora uno stratagemma. Certo, l’opzione Carlisle rimaneva ma, ora che sapevo di avere una possibilità di essere trasformata da Edward, lo desideravo più di ogni altra cosa. Però, che razza di imbroglione.
La porta si spalancò.
«Buongiorno, papà».
«Ah, ciao, Bella». Sembrava preso in contropiede. «Non pensavo fossi già sveglia».
«Eh, sì. Aspettavo che ti alzassi anche tu per fare la doccia». Feci per scendere dal letto.
«Aspetta», disse Charlie e accese la luce. Restai accecata per qualche istante e badai a non guardare verso l’armadio. «Prima, parliamo un po’».
Non riuscii a controllare la mia espressione infastidita. Mi ero dimenticata di chiedere un alibi ad Alice.
«Sei nei guai, lo sai, vero?».
«Sì, lo so».
«Negli ultimi tre giorni sono quasi impazzito. Torno a casa dal funerale di Harry e tu non ci sei. Jacob non ha saputo dirmi altro, se non che te n’eri andata con Alice Cullen e che temeva fossi in pericolo. Non mi hai lasciato un numero, non ti sei mai fatta viva. Non sapevo dove fossi, né quando—o se—saresti tornata. Riesci a renderti conto di come... come...». Non riuscì a terminare la frase. Riprese fiato e proseguì. «Hai un motivo valido per non costringermi a spedirti a Jacksonville seduta stante?».