Lo guardai torva. Eravamo arrivati alle minacce, dunque? D’accordo, gli avrei risposto per le rime. Mi sedetti, avvolgendomi nella trapunta. «Sì! Perché non ci andrò».
«Aspetta un attimo, signorina...».
«Ascolta, papà, mi prendo tutta la responsabilità delle mie azioni e tu hai il diritto di mettermi in castigo fino a quando ti pare. Farò anche le pulizie, laverò i panni e i piatti finché non ti sembrerà che ho imparato la lezione. Penso sia tuo diritto anche cacciarmi via, ma non per questo andrò in Florida».
Arrossì all’istante. Prima di rispondere cercò di calmarsi.
«Potresti spiegarmi dove sei stata?».
Oh, merda. «C’è stata... un’emergenza».
Restò a fissarmi, in attesa della mia brillante spiegazione.
Sbuffai rumorosamente. «Non so cosa dirti, papà. Più che altro, è stato un malinteso. “Ho sentito dire, gira voce” eccetera e la cosa è diventata più grossa di com’era».
Mi guardava assolutamente scettico.
«Ecco, Alice ha detto a Rosalie che mi ero tuffata dallo scoglio...». Mi arrabattavo a cercare una storia che fosse il più vicina possibile alla verità, in modo che la mia incapacità di raccontare bugie credibili non rovinasse tutto, ma, prima che proseguissi, l’espressione di Charlie mi ricordò che lui non sapeva niente dello scoglio.
Mega errore. Come se non fossi già sulla graticola.
«Mi sa che non te ne ho parlato», farfugliai. «Niente di che. È capitato, durante una nuotata con Jake... Comunque, Rosalie l’ha detto a Edward e lui si è arrabbiato. A quanto pare, ha frainteso e capito che avevo cercato di suicidarmi, o qualcosa del genere. Non rispondeva più al telefono, perciò Alice mi ha trascinata a... Los Angeles, per spiegargli tutto di persona». Scrollai le spalle, sperando con tutte le mie forze che l’errore di nominare lo scoglio non lo avesse distratto dalla brillante spiegazione che avevo costruito.
Restò impietrito. «Hai davvero tentato il suicidio, Bella?».
«Ma no, certo che no. Mi stavo soltanto divertendo con Jake. Tuffi dagli scogli. I ragazzi di La Push ci vanno sempre. Te l’ho detto, niente di che».
Diventò paonazzo. Se prima era arrossito, ora ribolliva di rabbia. «E che c’entra Edward Cullen?», sbraitò. «In tutto questo tempo, ti ha lasciata a te stessa senza battere ciglio».
Lo interruppi. «Un’altra incomprensione».
Stava per esplodere. «Perciò, è tornato?».
«Non sono sicura dei loro piani. Penso di sì, comunque».
Scosse la testa, la vena sulla fronte pulsava. «Voglio che tu stia lontana da lui, Bella. Non mi fido. Ti crea soltanto problemi. Non permetterò che ti riduca ancora in quel modo».
«Va bene», risposi secca.
Charlie si dondolò sui talloni. «Ah». Per un secondo non seppe cosa dire e sospirò di sollievo e sorpresa. «Pensavo che fossi più testarda».
«Lo sono», dissi fissandolo negli occhi. «Volevo dire: “Va bene, me ne andrò”».
Mi guardò stralunato e impallidì. La mia decisione iniziò a vacillare quando ripensai alla sua salute. Non era tanto più giovane di Harry, in fondo...
«Papà, non voglio andarmene», dissi dolcemente. «Ti voglio bene. So che sei preoccupato, ma devi fidarti di me. E se vuoi che resti, dovrai andarci piano con Edward. Vuoi o no che io viva qui?».
«Non è giusto, Bella. Sai bene che non c’è niente che desideri di più al mondo».
«E allora sii gentile con Edward, perché staremo sempre insieme», dissi sicura di me. L’effetto della rivelazione era ancora forte.
«Non sotto questo tetto», urlò Charlie.
Feci un sospiro pesante. «Senti, non voglio darti altri ultimatum, stanotte... anzi, stamattina. Riflettici per qualche giorno, okay? Ma ricorda che se prendi me, ti tocca anche Edward».
«Bella...».
«Riflettici», ribadii. «E mentre ci pensi, potresti lasciarmi un po’ di privacy? Ho davvero bisogno di una doccia».
Il colorito di Charlie aveva una strana sfumatura purpurea, ma alla fine uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Lo sentii scendere le scale rumorosamente.
Mi tolsi la trapunta di dosso, ed Edward spuntò al mio fianco, sulla sedia a dondolo, come se avesse seguito l’intera conversazione da quel punto.
«Scusami», sussurrai.
«Mi meriterei di peggio», mormorò. «Non litigare con Charlie per colpa mia, ti prego».
«Non preoccuparti», bisbigliai mentre prendevo il set da bagno e un cambio di vestiti puliti. «Litigherò quel tanto che basta, senza esagerare. Oppure mi stai dicendo che mi ritroverei senza un tetto?». Strabuzzai gli occhi, fingendomi allarmata.
«Ti trasferiresti in una casa infestata dai vampiri?».
«Probabilmente è il posto più sicuro, per una come me. Inoltre...», gli sorrisi, «se Charlie mi caccia, la scadenza del diploma non sarà più valida, no?».
S’irrigidì. «Sei impaziente di essere dannata per l’eternità», mormorò.
«Non ci credi neanche tu, è inutile fingere».
«Ah, no?», disse irritato.
«No. Non ci credi».
Mi guardò torvo, pronto a ribattere, ma fui più veloce di lui.
«Se davvero fossi stato convinto di aver perso l’anima, quando ti ho ritrovato, a Volterra, avresti capito al volo cosa stava accadendo, anziché ritenerci morti entrambi. Invece no, hai detto: “Straordinario. Carlisle aveva ragione”», esclamai trionfante. «Dopotutto, dentro di te c’è un filo di speranza».
Per una volta fui io a lasciarlo senza parole.
«Perciò, questa speranza conserviamola entrambi, non è meglio?», suggerii. «Non che m’importi granché. Se ci sei tu, non ho bisogno del paradiso».
Si alzò lentamente e si avvicinò per prendermi il viso tra le mani, mentre mi guardava negli occhi. «Per sempre», giurò, ancora scosso.
«Non chiedo altro», dissi e in punta di piedi avvicinai le labbra alle sue.
Epilogo
Il patto
Quasi tutto tornò alla normalità—quella positiva, precedente la mia vita da zombie—prima di quanto credessi possibile. Lo staff dell’ospedale accolse Carlisle a braccia aperte, senza nemmeno preoccuparsi di nascondere la soddisfazione che Esme si fosse trovata così male a Los Angeles. A causa della verifica di matematica che avevo saltato mentre ero all’estero, Alice ed Edward erano molto più vicini al diploma di quanto lo fossi io. All’improvviso, l’università divenne la priorità massima (era il piano B, ammesso che Edward non fosse riuscito ad allontanarmi dall’opzione Carlisle, dopo il diploma). Mi ero lasciata sfuggire molte scadenze, ma ogni giorno Edward mi portava una sfilza di nuove domande di iscrizione. Lui era già entrato e uscito da Harvard, perciò poco gli interessava se, grazie ai miei indugi, fossimo finiti entrambi al Peninsula Community College, l’anno successivo.
Charlie non era contento di me, né di parlare con Edward. Ma, se non altro, Edward aveva il permesso, negli orari stabiliti, di entrare in casa mia. Ero io a non poter uscire, tranne che per andare a scuola e al lavoro, tanto che le pareti tristi e gialle delle aule erano diventate stranamente accoglienti. Il merito era soprattutto del mio compagno di banco.
Edward aveva ricominciato il programma dall’inizio e spesso frequentava le mie stesse lezioni. Lo stato in cui mi ero ridotta in autunno, durante il presunto trasloco dei Cullen a Los Angeles, aveva allontanato chiunque dal posto accanto a me. Persino Mike, di solito pronto a sfruttare ogni occasione, si era mantenuto a distanza di sicurezza. Tornato Edward, era quasi come se gli otto mesi precedenti si fossero trasformati in un incubo fastidioso.
Quasi. Non del tutto. Tanto per cominciare, ero agli arresti domiciliari. Inoltre, prima dell’autunno, Jacob Black non era ancora il mio amico. Perciò, ovviamente, all’epoca non ne avevo sentito la mancanza.