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Non mi era concesso di andare a La Push e Jacob non veniva a trovarmi. Non rispondeva più neanche al telefono.

Lo chiamavo quasi sempre di sera, dopo che Edward era stato cacciato da casa mia—ci pensava Charlie, con il suo sorriso spietato, alle nove in punto—e prima che approfittasse del sonno di mio padre per intrufolarsi dalla finestra. Sceglievo di fare le mie vane telefonate in quel momento, perché avevo notato l’espressione strana di Edward ogni volta che nominavo Jacob. Uno sguardo infastidito e diffidente... forse anche arrabbiato. Probabilmente era colpa di certi pregiudizi contro i licantropi, che comunque sfoderava in maniera meno esplicita rispetto a quando Jacob se la prendeva con i “succhiasangue”.

Quindi di Jacob non parlavo granché.

Con Edward accanto era difficile pensare a ciò che mi rendeva infelice, compreso il mio ex migliore amico, che in quel momento probabilmente soffriva a causa mia. Non potevo pensare a Jake senza provare un certo rimorso.

Di nuovo vivevo una favola. Il principe era tornato, l’incantesimo malvagio spezzato. Restava soltanto da sistemare il personaggio irrisolto. Dov’era il suo “felici e contenti”?

Le settimane passarono senza che Jake rispondesse mai alle mie chiamate. Stava diventando una preoccupazione costante. Come un rubinetto che perde, nascosto da qualche parte nei miei pensieri, impossibile da riparare o ignorare. Plic, plic, plic. Jacob, Jacob, Jacob.

Perciò, benché non parlassi spesso di lui, a volte la frustrazione e l’ansia avevano la meglio.

«Ma che maleducato!», sbottai un sabato pomeriggio, dopo che Edward era venuto a prendermi al lavoro. Arrabbiarmi era molto più facile che sentirmi in colpa. «È un’offesa bella e buona!».

Avevo cambiato tattica, confidando in un risultato diverso. Avevo chiamato Jake dal negozio e mi ero ritrovata a parlare con Billy per l’ennesima volta.

«Billy ha detto che lui non vuole parlare con me», dissi esasperata, lo sguardo fisso sulla pioggia che colava dal finestrino. «Che era in casa ma non gli andava di fare tre scalini per prendere la cornetta del telefono! Di solito Billy risponde che Jacob non c’è, che è impegnato, dorme o qualcosa del genere. Voglio dire, non che io non sappia che sia una bugia, ma perlomeno è una risposta educata. A questo punto, penso che anche Billy mi odi. Non è giusto!».

«Non è colpa tua, Bella», disse Edward tranquillo. «Non è te che odiano».

«A me pare di sì», mormorai incrociando le braccia. Era un semplice gesto di testardaggine. Non sentivo più la voragine nel petto, anzi, ricordavo a malapena la sensazione di vuoto.

«Jacob sa che siamo tornati e di sicuro si è accertato che sto di nuovo con te», disse Edward. «Non oserà avvicinarsi. La sua ostilità ha radici troppo profonde».

«Che stupidaggine. Lui sa che non siete... come gli altri vampiri».

«Ha altre buone ragioni per mantenersi a distanza».

Lanciai un’occhiata assente al di là del parabrezza e rividi Jacob, sul suo viso la maschera amara che odiavo.

«Bella, noi siamo ciò che siamo», disse calmo Edward. «Io so controllare me stesso, ma dubito che lui ne sia capace. È molto giovane. Probabilmente un nostro incontro sfocerebbe in rissa e non so se saprei fermarmi prima di uc...», s’interruppe e riprese svelto, «prima di fargli del male. Non ti farebbe affatto piacere e non voglio che accada».

Ripensai a Jacob nella cucina di casa mia, rievocai le sue parole e la voce rauca. Non sono sicuro di sapermi controllare abbastanza... non saresti affatto contenta se uccidessi la tua amica. Eppure quella volta era riuscito a controllarsi...

«Edward Cullen», sussurrai. «Stavi per dire “ucciderlo”? Rispondi».

Distolse lo sguardo da me e fissò la pioggia. Di fronte a noi, il semaforo di cui non mi ero accorta diventò verde, ed Edward inserì la marcia, molto lentamente. Non era il suo solito stile di guida.

«Cercherei... con tutte le mie forze... di non farlo», dichiarò, infine.

Restai a fissarlo a bocca aperta, ma lui guardava dritto di fronte a sé. Ci fermammo poco più avanti, allo stop.

Improvvisamente, ripensai al destino di Paride dopo il ritorno di Romeo. Le didascalie parlavano chiaro. Si battono. Paride muore.

Ridicolo. Impossibile.

«Be’», dissi, e respirai a fondo, scuotendo la testa per scrollarmi quei pensieri di dosso. «È impossibile che succeda qualcosa del genere... quindi, inutile preoccuparsi. Inoltre, Charlie starà già controllando l’ora. Meglio che ti sbrighi a portarmi a casa, prima che il ritardo mi procuri altri guai».

Mi voltai verso di lui e abbozzai un sorriso.

Ogni volta che lo guardavo in faccia, quella faccia bella da non credere, il cuore, di nuovo presente, accelerava il suo passo altrimenti tranquillo. Riconobbi l’espressione sul suo viso impassibile come una statua.

«Sei già nei guai, Bella», sussurrò attraverso le labbra ferme.

Mi avvicinai a lui, aggrappandomi al suo braccio per capire cosa stesse fissando. Non sapevo cosa aspettarmi: forse Victoria, in mezzo alla strada con i capelli fiammeggianti scompigliati dal vento, oppure una schiera di lunghe tonache nere... o un branco di licantropi infuriati. Ma non vedevo nulla di tutto ciò.

«Cosa? Cosa c’è?».

Fece un respiro profondo. «Charlie...».

«Mio padre?», strillai.

Mi guardò, con un’espressione abbastanza serena da calmarmi un po’.

«Charlie... probabilmente non ti ucciderà, ma ci sta pensando seriamente», disse. Innestò la prima, imboccò la strada di casa mia, ma le passò davanti e parcheggiò a poca distanza dal bosco.

«Che ho fatto?», esclamai.

Edward lanciò un’occhiata verso la casa. Seguii il suo sguardo e finalmente mi accorsi di cosa fosse parcheggiato sul vialetto, accanto all’auto della polizia. Rossa, lucida, brillante, non passava inosservata. La mia moto faceva bella mostra di sé.

Secondo Edward, mio padre era pronto a uccidermi. Perciò, probabilmente, era venuto a sapere che la motocicletta era mia. Il responsabile del tradimento poteva essere soltanto uno.

«No! Perché? Perché Jacob mi ha fatto una cosa del genere?». Mi ero fidata di lui e l’avevo messo al corrente di ogni mio segreto. L’avevo considerato il mio porto sicuro, la persona su cui avrei sempre potuto contare. Certo, i nostri rapporti ormai erano tesi, ma immaginavo che le fondamenta su cui si basavano non avrebbero mai ceduto.

Cos’avevo fatto per meritarmelo? A Charlie sarebbero saltati i nervi. O peggio ancora, si sarebbe sentito umiliato e abbattuto. Non aveva già abbastanza problemi a cui pensare? Non avrei mai potuto immaginare che Jake potesse comportarsi in maniera tanto bieca, sfacciata e cattiva. Le lacrime iniziarono a sgorgare dai miei occhi, ma a scatenarle non fu la tristezza. Mi sentivo tradita. Ed era la rabbia a farmi sobbalzare il cuore.

«È ancora qui?», sibilai.

«Sì. Ci sta aspettando laggiù», disse Edward indicando il sentiero diritto che divideva il confine buio della foresta.

Saltai giù dall’auto e mi lanciai verso gli alberi con i pugni già stretti e pronti a colpire.

Perché Edward era sempre più veloce di me?

Mi afferrò per la vita prima che raggiungessi il sentiero.

«Lasciami andare! Voglio ucciderlo! Traditore!». Urlai l’insulto verso gli alberi.

«Ti farai sentire da Charlie», avvertì Edward. «E una volta tornata in casa, murerà la porta».

Guardai davanti a me, ma l’unico dettaglio che riuscivo a cogliere era la moto rossa scintillante. La testa mi pulsava.

«Concedimi soltanto un round con Jacob, poi affronterò Charlie». Cercai inutilmente di divincolarmi.

«Jacob Black vuole vedere me. Per questo è ancora qui».

A quel punto restai impietrita: non ero io a dover combattere. Mi caddero le braccia. Si battono. Paride muore.