Licia Troisi
Nihal della Terra del Vento
UNA BAMBINA.
[…] è il più piccolo e sperduto paese del Mondo Emerso. Posto a ovest, è chiuso da un lato dal Saar, il Grande Fiume, e dall’altro è minacciato dalla Grande Terra. Non vi è punto da cui non si veda l’altissima torre della Rocca, dimora del Tiranno. Essa incombe come un’oscura minaccia sulla vita di tutti gli abitanti della zona. Ricorda a ciascuno che non v’è luogo dove il Tiranno non possa giungere. Il regno tuttavia è ancora parzialmente libero.
La Terra del Vento è caratterizzata dalla particolare architettura delle sue città, costruite come immense torri, altamente organizzate e per lo più autosufficienti. Ogni parte degli agglomerati urbani è deputata a una precisa attività. Il nucleo di ogni singola torre è costituito da una vasta zona centrale aperta e coltivata. La città-torre di Salazar è l’ultimo avamposto della Terra del Vento prima della Foresta, l’imponente bosco che segna il confine con la Terra delle Rocce. […]
1
Salazar.
Il sole inondava la pianura. Era un autunno particolarmente clemente: l’erba era ancora d’un verde vivido e ondeggiava contro le mura della città come un mare in bonaccia.
Sul terrazzo in cima alla torre, Nihal si godeva il vento mattutino. Era il posto più elevato di tutta Salazar: da lì si godeva la vista migliore sulla piana, che si srotolava per leghe e leghe a perdita d’occhio. Su quella distesa sconfinata la città spiccava imponente con i suoi cinquanta piani di case, botteghe e stalle. Un’unica immensa torre che conteneva una piccola metropoli di quindicimila persone, stipate nelle sue milleduecento braccia d’altezza.
A Nihal piaceva starsene là sopra da sola, con la brezza a scompigliarle i lunghissimi capelli. Si sedeva sulle pietre a gambe incrociate, con gli occhi chiusi e la spada di legno appoggiata al fianco, come fanno i veri guerrieri. Quando stava lassù era come pacificata. Poteva concentrarsi solo su se stessa, sui suoi pensieri più nascosti, su quella vaga malinconia che certe volte l’abbracciava, sul mormorio lento che ogni tanto sentiva levarsi dal fondo della sua anima.
Ma quello non era uno di quei giorni. Era un giorno di battaglia, e Nihal guardava la pianura come un condottiero desideroso di battersi.
Erano una decina, ragazzetti dai dieci anni in su. Tutti maschi, e lei femmina. Tutti seduti, e lei in piedi tra loro. Il capo: una ragazzina smilza e slanciata, con vividi occhi viola, fluenti capelli di un blu lucido e spropositate orecchie a punta. Non si sarebbe detta forte, a guardarla, ma gli altri pendevano dalle sue labbra.
«Oggi si lotta per le case abbandonate. I fammin stanno tutti là a spadroneggiare. Non sanno di noi e non si aspettano il nostro arrivo: li coglieremo di sorpresa e li scacceremo con la forza delle nostre spade.»
I ragazzini ascoltavano con attenzione.
«Il piano?» chiese il più grassoccio.
«Scenderemo compatti fino al piano sopra le botteghe, poi taglieremo per i condotti di manutenzione dietro le mura; da lì sbucheremo direttamente nel loro nascondiglio. Li prenderemo alle spalle: se non ci facciamo sentire sarà un gioco da ragazzi. Io starò in testa al gruppo; dietro di me la squadra d’attacco.» Un paio di ragazzini annuirono sicuri. «Poi gli arcieri» e tre bimbetti con in mano le fionde fecero un cenno d’intesa «e per finire i fanti. Siete pronti?»
Un coro di sì risuonò entusiasta.
«Allora andiamo!»
Nihal levò in alto la spada e si gettò giù per la botola che conduceva dalla terrazza alla torre, seguita a ruota dal resto della banda.
I ragazzini marciarono compatti per i corridoi che percorrevano il cerchio interno di Salazar, fra gli sguardi divertiti - ma più spesso seccati - degli abitanti della città, che ben conoscevano le epiche battaglie di Nihal e dei suoi.
«Buongiorno, Generale.»
Nihal si voltò. A parlare era un essere alto pressappoco quanto lei, piuttosto tozzo, con il volto interamente coperto da una fitta barba. Uno gnomo. Si esibì in un buffo inchino.
Nihal fece fermare i suoi e si inchinò a sua volta. «Buongiorno a te.»
«Anche oggi a caccia di nemici?»
«Come sempre. Oggi dobbiamo scacciare i fammin dalla Torre.»
«Già, come sempre… Io però, se fossi in te, con i tempi che corrono quel nome non lo pronuncerei con tanta disinvoltura. Nemmeno per gioco.»
«Noi non abbiamo paura!» urlò un ragazzetto dal fondo.
Nihal sorrise spavalda. «Già, non abbiamo paura. E poi di che ti preoccupi? I fammin non stanno simpatici a nessuno, e comunque la Terra del Vento è ancora libera.»
Lo gnomo ridacchiò e le strizzò l’occhio. «Fa’ come vuoi, Generale. Buona battaglia.»
Attraversarono a uno a uno i vari livelli della torre, a passo ritmato, composti come veri soldati. Passarono davanti a case e botteghe, tra il caos di razze e lingue della gente di Salazar, girando in tondo per i corridoi di ogni piano, con il sole che a intervalli regolari li baciava dalle finestre aperte sull’orto centrale. Le torri della Terra del Vento, infatti, erano tutte dotate di un profondo pozzo centrale che aveva una duplice funzione: illuminare meglio gli ambienti della città e ospitare una piccola zona coltivata, occupata da parecchi orti e da qualche frutteto.
Poi Nihal entrò sicura in un vicolo laterale e aprì una porta vecchia e ammuffita. Dietro, l’oscurità più profonda.
«Eccoci.» La ragazzina assunse un’aria solenne. «Da qui in poi nessuna paura, come al solito. Il nostro alto compito non ci permette cedimenti.»
Gli altri annuirono seri, quindi entrarono strisciando nel cunicolo.
Non si vedeva nulla. Anche l’aria era spessa e densa, satura d’odore di chiuso. Dopo un po’ però gli occhi si abituarono all’oscurità e riuscirono a distinguere la scala di gradini umidi e sconnessi che si inabissava nel buio.
«Non sarà mica che oggi qualcuno passa di qua? Ho sentito dire che le mura occidentali hanno delle crepe da riparare…» fece un ragazzino.
«Sono già passati» rispose Nihal. «Un buon comandante prevede anche questo. Basta con le ciance, diamoci da fare!»
I loro passi risuonarono nella cavità ancora per un po’, mescolandosi alle voci al di là del muro. Poi, dopo l’ennesima svolta, silenzio.
«Ci siamo» bisbigliò Nihal col fiato mozzo. Era sempre così, appena prima dell’attacco: il cuore le batteva forte nel petto, il sangue le pulsava alle tempie.
Le piaceva quel misto di paura e desiderio di battersi. Le sue dita corsero sul muro fino a trovare una porta di legno. Appoggiò l’orecchio alla parete. I pietroni squadrati erano spessi, ma riusciva ugualmente a cogliere le voci dei ragazzini dall’altra parte.
«Sempre noi. Io mi sono stufato di fare il fammin.»
«Non dirlo a me! L’altra volta Nihal m’ha fatto nero.»
«A me ha spaccato un dente…»
«Quando il capo era Barod almeno si faceva a turno.»
«Sarà, ma io con Nihal mi diverto molto di più. Cavolo, quando combattiamo sembra vero! Mi sento come una cosa dentro… come essere soldati!»
«Comunque è lei la più forte, è giusto che comandi.»
Nihal staccò l’orecchio dal muro e sguainò silenziosa la sua arma. Un istante ancora d’attesa, poi con un calcio buttò giù la porta e lei e i suoi fecero irruzione urlando.
La stanza era ampia e piena di polvere, con grosse ragnatele a fare da tende alle finestre. Una casa di ricchi abbandonata, come tutte le abitazioni di quel piano. Seduti a terra c’erano sei ragazzini con in mano altrettante asce di legno. Nonostante fossero stati presi di sorpresa si alzarono di scatto e la battaglia ebbe inizio.
Nihal sembrava una furia: si gettava con violenza sui nemici, la spada che si muoveva di qua e di là come impazzita. Nella foga del combattimento i contendenti passarono di stanza in stanza, percorrendo tutta l’abitazione, fino al corridoio esterno.