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«Ah, ecco!» fece Phos, col tono di chi ha capito tutto. «Sei una di quelli di Soana.»

A quelle parole si levò un mormorio generale di approvazione.

«Allora sei amica. Brava umana, Soana. Ti confesso che quando ti abbiamo vista ci siamo spaventati. E poi ieri sera hai fatto un tale baccano!»

Phos si avvicinò all’orecchio di Nihal con una piroetta. «Molti di noi sono scampati alle persecuzioni del Tiranno e non si fidano più di nessuno.»

A Nihal quell’esserino iniziava a piacere: era buffo e la trattava come se la conoscesse da sempre. «Senti, non so tu, ma io sono affamata. Ho qualcosa da mangiare. Se volete tu e tuoi amici potete fare colazione con me.»

Phos e i suoi non si fecero pregare. La radura si riempì di vocine e risate; i folletti volavano ovunque e molti ringraziavano Nihal con mille moine. La ragazza fece accomodare Phos sul suo ginocchio.

«Così tu sei il capo di tutti i folletti.»

«Be’, non di tutti, ma di quelli della Foresta sì. Sai, la nostra è la comunità più numerosa del Mondo Emerso. È che ormai le foreste diminuiscono a vista d’occhio, così i nostri simili muoiono o sono costretti a scappare.»

«Perché, vivete solo nei boschi?»

«Scherzi? Noi siamo i boschi! Un folletto senza un bosco è come un pesce all’asciutto. Alcuni di noi hanno provato a vivere altrove, anche con gli umani, ma pian piano sono come… avvizziti, ecco. E alla fine sono morti, perché senza boschi da vedere e profumo di alberi da respirare non possiamo sopravvivere. Cosa c’è di più bello di un bosco? D’inverno giochi a nascondino tra i rami secchi e canti la ninna nanna agli animali che vanno in letargo. Con la bella stagione ti godi l’ombra delle foglie e fai il bagno con gli acquazzoni estivi.»

«A me sembra che la Foresta goda di ottima salute!» disse Nihal.

Gli occhi di Phos si fecero tristi e le sue orecchie si abbassarono come quelle di un cane bastonato. «È il Tiranno. Distrugge le foreste delle terre che conquista per fare le armi. E i suoi servi, quei maledetti fammin, ci odiano. Tanti di noi sono stati catturati e costretti a diventare i loro giullari. È una fine triste, sai? Noi siamo liberi come l’aria, tutto quello che vogliamo è un po’ di verde per vivere.»

«Come ti capisco! Anch’io voglio essere libera, volare di avventura in avventura…»

Nihal si tirò su di scatto. «Sai che ti dico? Io sono un guerriero – o meglio, lo diventerò – e combatterò contro il Tiranno! Diventerò il difensore di tutti i folletti, mi unirò a qualche esercito, vi libererò da questa schiavitù e voi tornerete a vivere nei boschi.»

Phos la guardò con disincanto. «Sarebbe bello, ma il mondo come lo conosciamo sta sparendo. Tutto quello che possiamo fare è rintanarci qui e difendere la nostra esistenza.»

A gambe incrociate sul ginocchio di Nihal, Phos guardava lontano, e nei suoi occhi si rispecchiava l’antica Foresta. La ragazza si sentiva stranamente vicina a quel popolo minacciato. Per un istante le sembrò che le sue voci interiori piangessero all’unisono con il cuore ferito del folletto.

«Forse hai ragione. Ma il male non può regnare per sempre. Nel futuro ci sarà di sicuro un posto per il tuo popolo.»

Phos le sorrise e un attimo dopo tornò a essere gioviale e allegro, come se quel discorso non fosse mai stato fatto. «Insomma, perché sei qui? Una prova, dicevi…»

«Soana ha detto che devo entrare in contatto con la natura e farmi accettare da lei.»

«In che senso entrare in contatto con la natura?»

«Be’, sentirla dentro, che ti scorre nel cuore… almeno, credo.»

«Tutto qui? Per noi folletti è naturale.»

«E come si fa?»

«Non è che si fa. La senti e basta.»

Nihal si buttò sull’erba, scoraggiata. «Accidenti. Soana dice che devo concentrarmi, ma io non ci riesco. Con tutti questi fruscii… insomma, ho paura.»

Phos iniziò a ridere a crepapelle. «Paura?»

«Ah, bene! Io ho un problema e tu ridi!»

Phos si ricompose. «E va bene. Mi sei simpatica e ci hai offerto la colazione: ti darò una mano. Pregheremo gli alberi e i prati di aiutarti. Tu, di tuo, devi solo… come hai detto? Ah, sì, concentrarti.»

Nihal non smetteva più di ringraziarlo.

Phos chiamò a raccolta i suoi. Quando l’adunata si sciolse i folletti si dileguarono e Phos fece a Nihal un gesto d’incoraggiamento.

Sulla radura scese il silenzio.

Nihal si avviò alla pietra e si sedette, pronta a concentrarsi: decise che stavolta niente e nessuno l’avrebbero distolta dal suo intento.

Fu meno facile del previsto. Nonostante l’aiuto dei folletti a Nihal sembrava di non sentire altro che i semplici rumori del bosco: il vento tra gli alberi, il frullio delle ali degli uccelli, l’acqua della polla che si increspava. Poi, lentamente, si accorse che in quei rumori c’era una musica nascosta. All’inizio pensò che fosse solo una sua impressione, una fantasia causata dalla fatica di stare ferma su quel masso. Poi però la musica si fece più insistente: i suoni della natura sembravano seguire una loro melodia. Il vento tra i rami era il basso e il tamburo. La brina notturna, che sciogliendosi cadeva nella polla, l’arpa. Il cinguettio degli uccelli era il canto. Persino l’erba partecipava: Nihal la sentiva crescere, e quel sussurro faceva da controcanto a tutto il resto.

Fu allora che Nihal sentì forte sotto di sé la sensazione della roccia, e poi della terra. Ne sentiva il pulsare ritmico, come di arterie invisibili che la irrorassero al ritmo dei battiti di un cuore che palpitava in ogni ramo.

La natura parlava con parole arcane che Nihal non capiva, eppure ne comprendeva il significato nascosto. Dicevano che tutto è uno e uno è tutto. Che ogni cosa inizia e finisce nella bellezza della natura. Che tutti gli esseri del mondo sono parte del grande corpo del creato.

Nihal si sentì pervasa da una luce immensa, da un tepore avvolgente. Sentì che il suo cuore non poteva contenere tutta quella bellezza sovrumana ed ebbe paura di perdersi. Ma fu come se braccia materne la stringessero, la confortassero, le insegnassero che nel fulgore della bellezza ognuno mantiene la propria identità pur facendo parte di un tutto indivisibile. E allora iniziò a viaggiare sulle ali del vento, a cavallo di nuvole multiformi.

Vide terre dove i boschi non finivano mai e tutto era d’un verde accecante. Poi le sembrò di essere erba, fiore, di stendere i suoi petali delicati al tocco dei raggi del sole. E poi fu albero, e sentì le sue fronde penetrare il cielo e tendere le foglie al soffio dei venti. Fu frutto e fu uccello, fu pesce e animale. E infine nuda terra, da cui ogni seme riceve vita e da cui ogni essere proviene.

In un attimo le sembrò di aver compreso il senso dell’esistenza.

Si sentì vecchia di mille anni e saggia.

Sentì di essere nata, vissuta e morta miliardi di volte in ciascuno degli esseri che avevano calcato il Mondo Emerso.

Sentì che la vita non sarebbe mai finita.

Nihal riaprì gli occhi e fu come tornare a terra all’improvviso.

Era notte fonda. Seduta immobile su quella roccia aveva viaggiato nel cuore della natura per un giorno intero. Si appoggiò esausta allo schienale di pietra e solo allora si accorse che i folletti faceva cerchio ai suoi piedi. Ciascuno di loro irradiava una tenue luce colorata. In mezzo a tutti stava Phos: steso a pancia in giù, il mento tra le mani, la guardava sorridente.

«Come è stato?»

«Meraviglioso» rispose Nihal con gli occhi e il cuore ancora pieni di stupore.

Alla cena aveva provveduto Phos.

«Tu stattene qui buona. Noi cerchiamo qualcosa da mettere sotto i denti» le aveva detto, e rapido era scomparso nel folto con un nutrito codazzo di suoi simili. Quando era riapparso portava con sé, avvolto in un panno tenuto per i quattro lembi da altrettanti folletti, un grosso mucchio delle migliori primizie dell’autunno.

Dopo che si furono abbuffati di frutta secca, Phos porse a Nihal una ciotola colma di un liquido denso e trasparente. «Assaggia.»