Nihal annusò perplessa.
«Assaggia, ti dico. È buonissimo, e poi aiuta a riprendersi dalle grandi fatiche.»
Nihal ne portò un po’ alle labbra: effettivamente era squisito.
«È ambrosia, la resina del Padre della Foresta, l’albero più grande di questo bosco. Mica male, vero?»
Nihal ne bevve a sazietà, tra le chiacchiere di Phos e degli altri folletti. Quando alla fine si accoccolò sull’erba, con l’idea di guardare le stelle, si addormentò all’istante.
Quella notte il suo sonno fu del tutto privo di sogni.
Il mattino seguente si svegliò perfettamente riposata. Phos era accanto a lei, solo.
«Oggi vai via?»
Nihal si stropicciò gli occhi. «Credo di sì. Dovrebbe arrivare Soana a prendermi.»
«Ora siamo amici, vero?»
«Certo che lo siamo!»
«Ho una cosa per te. Un pegno d’amicizia.»
Il folletto le porse una gemma: era bianca, ma al suo interno brillavano migliaia di pagliuzze di tutti i colori dell’arcobaleno. Nihal se la girò e rigirò tra le mani guardandola con ammirazione.
«È una Lacrima» spiegò Phos. «Si trova ai piedi del Padre della Foresta: quando l’ambrosia si secca forma queste pietre. È una specie di catalizzatore naturale, che potenzia e aumenta la durata delle magie. Ho pensato che fosse un bel regalo da farti, per quando sarai maga. E poi è un segno di riconoscimento: di alberi come il Padre della Foresta ce ne sono in ogni bosco, quindi le Lacrime sono il simbolo del nostro popolo. Dovunque andrai, i folletti ti riconosceranno come amica.»
«Grazie, Phos. È… è bellissima.»
Nihal era commossa. Avrebbe voluto ricambiare quel dono, ma non aveva nulla di altrettanto significativo. Poi vide la sua spada, ancora appoggiata al trono di roccia. «Io non ho oggetti così preziosi da darti» disse al folletto. «Però la cosa che mi sta più a cuore è la mia spada. La farò fondere da mio padre e ti porterò uno spadino adatto alle tue dimensioni.»
Phos sbatté le ali con entusiasmo. «Vedrai, imparerò a tirare di spada e diventerò il più forte folletto spadaccino del Mondo Emerso.»
Risero insieme, poi Phos drizzò le orecchie.
«Sta arrivando Soana. Meglio che non mi veda. Non sarebbe contenta di sapere che ti ho aiutata.»
Le sorrise un’ultima volta e si dileguò veloce come un lampo.
Soana giunse poco dopo, accompagnata da Sennar. Era ancora più bella del solito. Per l’occasione indossava una sontuosa tunica viola con rune e simboli magici ricamati in nero e oro. «Come è andata?» le chiese.
Nihal pregustava già il trionfo. «Bene. Sono entrata in comunione con la natura. È stata un’esperienza fantastica.»
Soana sorrise misteriosa e fece un cenno a Sennar. «Vedremo.»
Il giovane mago estrasse dalla sua sacca sei pietre, le dispose a terra secondo un ordine preciso e si concentrò: all’improvviso si formarono sei scie luminose a congiungere le pietre a coppie, formando una stella. Quindi pose la sua mano al centro e il fuoco divampò alto.
Solo allora Soana si fece avanti. Chiuse gli occhi e allargò le braccia, tenendo le palme delle mani rivolte verso il cielo. «Per l’aria e l’acqua, per il mare e il sole, per i giorni e le notti, per il fuoco e la terra, invoco te, spirito supremo, perché l’animo del mio discepolo sia temprato dalle lingue del tuo fuoco.»
La fiamma si fece più vivida.
Soana aprì gli occhi e guardò intensamente la sua aspirante allieva.
«Metti la mano nel fuoco, Nihal.»
Nihal credette di non aver capito. «Scusa?»
«Ho detto di mettere la mano nel fuoco» ripeté Soana, seria. Nihal si sentì morire. «Come, la mano nel…»
«Nihal. Obbedisci.»
Lo sguardo di Soana non ammetteva repliche, ma a Nihal tremavano le gambe e il suo braccio si rifiutava di muoversi. Toccò a lei chiudere gli occhi e pregare disperatamente che la natura l’avesse accettata davvero. Tutto è uno e uno è tutto, la fiamma non brucia perché è parte di me e io sono parte di lei, si ripeteva mentre tendeva la mano. Quando sentì avvicinarsi il calore, il coraggio le venne meno. Aveva la bocca secca e il cuore le batteva all’impazzata. Tutto è uno e uno è tutto. Tutto è uno e uno è tutto… Adesso, o mai più! Nihal trattenne il fiato e le lacrime e immerse la mano nel fuoco.
Nessun dolore. Neppure il calore che aveva sentito poco prima.
Quando ebbe il coraggio di riaprire gli occhi rimase incantata: la sua mano era circondata da lingue di fiamma che la avvolgevano come un guanto.
Poi Soana batté una volta le mani, il fuoco scomparve, la fiamma si dissolse e tutto tornò come prima.
Nihal si guardò stupefatta la mano: era rosea e fresca.
«È un miracolo…» sussurrò, come parlando a se stessa.
«No, Nihal. È un fuoco magico. Se tu mi avessi mentito, la tua mano ora sarebbe cenere.»
Soana le cinse le spalle con un braccio. «Sei stata davvero brava, mia allieva.»
E Nihal sentì d’aver vinto.
Iniziò il tempo dell’addestramento.
Per Nihal fu un periodo faticoso ma affascinante. Imparò ad apprezzare la magia a poco a poco. Ogni nuovo incantesimo la faceva sentire sempre più parte della vita che pulsa in ogni cosa e che aveva sentito nella radura.
Certo, la meditazione la annoiava e i mille esercizi preparatori, indispensabili all’apprendimento di un nuovo sortilegio, la snervavano. Ma al tempo stesso cominciava ad appassionarsi a quegli sforzi e sentiva scendere nel suo spirito una calma a cui non era abituata.
Non ci volle molto, tuttavia, perché fosse chiaro che il suo destino non era quello. Nihal imparava con facilità, ma le mancava la prepotenza della forza magica tipica dei grandi maghi, che in Sennar invece era ben evidente.
Dalla notte in cui le era venuto in soccorso nel bosco i loro rapporti erano migliorati. Per qualche tempo Nihal aveva continuato a fare la sostenuta e a lanciargli occhiate di fuoco, ma non era riuscita a mantenere quell’atteggiamento a lungo. Lentamente, quasi senza accorgersene, aveva finito per considerarlo il suo migliore amico.
Passavano tutto il tempo insieme, tanto che Nihal smise persino di frequentare la sua banda di Salazar: in quel ragazzo con i capelli rossi aveva trovato l’amico che le era sempre mancato.
Oltre all’addestramento di Soana, li univa il fatto di sentirsi diversi dagli altri: lui era un mago, e sotto il Tiranno i maghi godevano di una pessima reputazione, e lei una guerriera, ed era opinione comune che il destino delle femmine fosse chiudersi in casa a fare figli e compiacere il marito. Si sentivano ribelli, facevano quello che volevano e favoleggiavano delle loro eroiche imprese future. Perché per Nihal era diventata una certezza: si sarebbe unita alle truppe che combattevano il Tiranno.
Soana e Sennar le parlavano spesso del Tiranno: di come usurpasse con la forza i troni dei regni del Mondo Emerso e vi istituisse governi retti sul terrore; di come sulle Terre che conquistava scendessero la decadenza e la miseria; di come odiasse tutte le razze e volesse raccoglierle sotto il suo oscuro dominio.
Nell’ultimo periodo, poi, sempre più spesso giungevano nella fucina di Livon uomini sconosciuti che, in nome di un certo accordo tra il Tiranno e re Darnel, facevano man bassa di armi senza pagare. Il fabbro pareva temerli e quando arrivavano faceva nascondere Nihal, che era costretta ad assistere impotente alla scena di quei figuri che mettevano sottosopra il negozio e maltrattavano suo padre. In quelle occasioni la rabbia le ribolliva in corpo. E la mano correva subito alla spada.
Ne aveva una nuova: come promesso, dalla vecchia aveva fatto forgiare uno spadino di cui Phos era stato entusiasta.
A suo padre, invece, aveva dato la Lacrima.
«Vecchio, mi faresti una spada con incastonata questa?»
Livon non se l’era fatto ripetere due volte. Aveva avuto modo, nei giorni di assenza di sua figlia, di pensare al loro rapporto. Era evidente che Nihal iniziava a crescere, e non era giusto tarparle le ali solo perché lui desiderava tenerla con sé. Fino a quel momento aveva seguito il suo istinto, ma ricordava con chiarezza la smania di libertà che lo animava quando era giovane e che spesso lo portava ad opporsi a suo padre. Aveva capito che la cosa giusta da fare era lasciarla libera e limitarsi a osservare il suo volo da lontano, pronto a sostenerla in caso di difficoltà e a evitarle cadute rovinose.