«Non fa per te» disse Sennar con un sorriso furbo.
«Come, scusa?»
«Cosa credi, che non mi sia accorto di come guardavi Fen? Uno sguardo, te lo giuro, davvero impudico» aggiunse ironico.
Nihal arrossì. «Ma… ma che cavolo dici? E come ti permetti, poi? Io stavo guardando il drago!»
«E dai, di’ la verità al tuo cordiale nemico…»
«Io non guardavo Fen!» ribatté Nihal risentita. «È che lui è un Cavaliere di Drago… e io voglio essere una guerriera… e poi il suo drago è bellissimo… e la sua armatura… le armi…» Quella patetica giustificazione morì in un balbettio.
«Guarda che non è mica uno scandalo se ti piace: è alto, imponente, forte. Ed è cavaliere, come a dire un eroe, no? Certo che non ti si può neppure prendere un po’ in giro!»
Nihal non si degnò di rispondere. Strinse le briglie del suo cavallo e cercò di pensare ad altro. Ma se chiudeva gli occhi continuava a rivedere Fen, e il suo cuore accelerava i battiti.
Dopo qualche minuto di silenzio, Nihal tolse il broncio e chiese a Sennar: «Tuo padre era scudiero di un cavaliere: che cosa sai dell’Ordine?».
«Il cavaliere che mio padre serviva cavalcava un Drago Azzurro: è un animale diverso, più piccolo, simile a un grosso serpente. Fen appartiene all’Ordine dei Cavalieri della Terra del Sole, un ordine antichissimo. I loro draghi vengono allevati solo nella Terra del Sole, ma un tempo non era così: i draghi venivano da diverse Terre e i cavalieri non erano soggetti ad alcun potentato. Erano legati solo al proprio drago e all’Ordine e vivevano per lo più come mercenari, mettendo le loro capacità al servizio del miglior offerente. Durante la guerra dei Duecento Anni quasi ogni esercito contava tra le proprie file un Cavaliere di Drago.»
Nihal ascoltava con attenzione.
«Quando si stabilì la pace, l’Ordine sembrò disperdersi. Alcuni cavalieri rimasero nella Terra del Sole per fondarvi l’Accademia, mentre altri abbandonarono il Mondo Emerso, varcando le correnti del Saar o attraversando il Grande Deserto. Da quando poi è iniziata la guerra con il Tiranno e tutte le Terre libere hanno unito i loro eserciti in un’unica grande armata, i Cavalieri di Drago sono impegnati più che altro come generali e comandanti di quelle truppe. Oggi sono al servizio del Consiglio dei Maghi. Questo è tutto quel che so. Comunque, posso darti un consiglio? Se fossi in te non penserei troppo a Fen…»
Ma quelle ultime parole di Sennar furono gettate al vento.
Nihal era di nuovo persa nello sguardo del Cavaliere di Drago.
7
Nella Terra dell’Acqua.
Lo stupore crebbe a poco a poco. Parecchie leghe all’interno della Terra dell’Acqua non sembrava esserci alcuna reale mutazione nel territorio: ancora steppe, forse più verdi di quelle che circondavano Salazar, ma pur sempre il solito, sconfinato, piatto oceano d’erba.
Poi, dal nulla, iniziarono a spuntare ruscelli. Sembravano emergere dalla terra come sangue che sgorghi lento da una ferita. Dapprima non furono altro che rigagnoli, larghi quanto un braccio e poco profondi, ma ben presto presero ad allargarsi in corsi d’acqua più copiosi fino a confluire in fiumi veri e propri.
L’acqua divenne padrona assoluta del paesaggio: c’erano fiumi ovunque, e polle limpide, e ancora piccoli ruscelli che rigavano la terra come lacrime. I corsi d’acqua sembravano di cristallo: pesci multicolori facevano la gimcana tra i giunchi e lunghe alghe si piegavano al soffio lieve delle correnti. Il colore dell’erba era di un’intensità accecante. Quel luogo era il regno del verde e dell’acqua: una terra pura, lavata da mille fiumi e adorna di migliaia di alberi.
Nihal si guardava intorno a occhi sgranati. Le tornò alla mente la visione che aveva avuto nella radura: forse era quella la Terra dove gli spiriti della natura manifestavano tutto il loro potere, il luogo dove le foreste si estendevano all’infinito.
«Chiudi la bocca, Nihal» scherzò Sennar, ma anche lui era colpito da tutto quello splendore.
Lentamente comparvero anche i primi villaggi: sorgevano su isolette create dalle anse dei vari corsi d’acqua, e spesso si protendevano con palafitte fin sui fiumi. Sembrava che in quella Terra gli uomini avessero trovato il modo più simbiotico per convivere con una natura lussureggiante.
Sennar e Nihal passavano di meraviglia in meraviglia, ma il meglio doveva ancora arrivare. Dopo mezza mattinata di trotto i due viaggiatori giunsero infine dinanzi al palazzo più straordinario che avessero mai visto.
Era una sorta di castello piuttosto massiccio, fatto di pietroni squadrati, che si sviluppava interamente sul ciglio di un’immensa cascata. L’acqua scorreva sui suoi contrafforti, separandosi in migliaia di rivoli che si gettavano con furia verso l’abisso e precipitavano per una sessantina di braccia, per poi finire in un lago di un blu profondissimo. L’ingresso principale si apriva proprio sulla parte centrale della cascata. Lì, davanti al castello, li attendevano Fen e Soana.
I visitatori vennero accolti da alcuni paggi, che dettero loro il benvenuto e li scortarono nelle loro stanze, tutte contigue e affacciate a strapiombo sulla cascata.
La vista che si godeva dalla finestra era da mozzare il fiato: affacciandosi Nihal non capì se quello che vedeva fossero le acque del lago o piuttosto il cielo che, per un qualche capriccio degli dèi, avesse deciso di capovolgersi e scendere in terra.
Rimase lì, incantata, finché Soana non bussò alla sua porta: era arrivato il momento di conoscere i regnanti della Terra dell’Acqua.
Soana condusse Sennar e Nihal nel cuore del palazzo reale: una sala perfettamente circolare, sormontata da un tetto semisferico di cristallo sul quale scorreva l’acqua della cascata.
Sembrava di stare in un altro mondo. Sennar e Nihal, naso all’insù, non si stancavano di guardare il movimento dell’acqua che deformava e ridisegnava i contorni di quel che c’era fuori, tanto che quando Galla e Astrea fecero il loro ingresso furono quasi presi alla sprovvista.
Nihal non aveva mai visto una ninfa dell’acqua. Astrea camminava come trasportata da una brezza leggera e sembrava non toccare terra: era scalza e il suo corpo sottile era avvolto da una veste impalpabile. Aveva capelli trasparenti, simili ad acqua pura, che si dissolvevano lunghissimi nell’aria circostante dopo avervi descritto ampie volute. Era evidente che il suo mondo non era quello degli uomini. La regina della Terra dell’Acqua era una diretta emanazione della natura, una sua figlia prediletta.
Galla la teneva per mano. Il re era un semplice umano: una certa delicatezza nei tratti lo faceva sembrare molto giovane, ma al braccio della ninfa sembrava uno dei soliti, grevi abitanti della terraferma.
Da sempre nella Terra dell’Acqua vivevano entrambi i popoli. Per lungo tempo si erano sopportati a vicenda, cercando di avere meno contatti possibili: gli uomini abitavano in graziosi borghi nelle radure o su palafitte, le ninfe appartate nei loro boschi.
Il matrimonio di Astrea e di Galla, però, fu il primo matrimonio misto della regione e inaugurò una nuova era.
Galla faceva parte della famiglia reale. Nonostante la coabitazione i due popoli non avevano un’organizzazione comune: la Terra dell’Acqua era governata dagli uomini, che sedevano nel Consiglio dei Re, mentre le ninfe avevano una loro regina, a malapena riconosciuta dagli umani. Finché il giovane Galla non ebbe il cattivo gusto d’innamorarsi di Astrea.
L’unione fu osteggiata da ambo le parti. I genitori di Galla lamentavano che non si era mai visto un uomo sposare una di quelle creature diaboliche. Astrea, poi, non era né regina né principessa. Era una plebea qualunque, dedita a scorrazzare mezzo nuda per i boschi.
Le ninfe, dal canto loro, vietarono ad Astrea ulteriori contatti con quell’uomo: era un umano, ovvero un essere rozzo, incapace di vivere in armonia con gli spiriti primigeni.
Ma Galla e Astrea non si diedero per vinti: continuarono a vedersi nonostante i divieti, non smisero di sognare una vita insieme e infransero tutte le regole non scritte sulla convivenza tra ninfe e uomini.