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All’esterno risuonavano grida, risate sguaiate e suoni gutturali, inumani. I soldati erano entrati in città.

Nihal non sapeva cosa fare. Livon le sembrava impazzito. Decise che era ora di finirla: si gettò su di lui cercando di trascinarlo. «Vieni via, dannazione! Vieni via!»

Troppo tardi. La porta della bottega si spalancò con uno schianto.

Sulla soglia apparvero due esseri mostruosi: avevano lunghe zanne ricurve che dalla mascella salivano verso l’alto ed erano totalmente ricoperti di ispidi peli rossicci. Mani e piedi erano identici, con quattro dita armate di lunghi artigli. Il primo dei due stringeva un’ascia, il secondo una spada rozza ed enorme. Le loro voci sembrano venire direttamente dall’inferno.

«Guarda guarda che sorpresa. Un vecchio e un mezzelfo! Cosa ci fai ancora viva, bastardella?»

Nihal non ascoltava. Tutti i suoi sensi erano pronti all’attacco. Mise mano alla spada. Fece per lanciarsi contro i fammin, ma Livon la agguantò per un braccio e la sollevò di peso, gettandola lontano.

La ragazza cadde battendo la testa. Per un attimo credette di perdere i sensi. Era tutto buio. In sottofondo un clangore di lame. Quando riaprì gli occhi vide che Livon cercava di tenere testa a entrambi quegli esseri. Allora si alzò e corse verso di lui.

Livon la spinse con violenza. «Scappa, Nihal! Scappa!»

Fu un attimo. Un battito di ciglia. Uno dei due fammin trapassò Livon da parte a parte.

Nihal vide suo padre accasciarsi al suolo come un sacco vuoto.

Vide il sangue spandersi sul pavimento.

Vide quel demone strappare via la spada dal corpo di Livon.

Non sentì nulla. Semplicemente guardò la scena, con gli occhi sbarrati e le membra paralizzate.

Poi arrivò la disperazione, e subito dopo una rabbia animale, che non aveva mai provato prima. Con un urlo disumano si scagliò sull’assassino di suo padre. Bastò un solo fendente per staccargli di netto la testa.

Per un istante l’altro fammin rimase impietrito, ma si riprese in fretta, vibrando la sua ascia contro Nihal. La ragazza sentì la corrente d’aria causata dal colpo in arrivo. Scartò di lato e si mise al riparo dietro il tavolo da lavoro, ma il fammin avanzò verso di lei ringhiando e roteando l’arma. Il bancone di legno andò in pezzi in un’esplosione di schegge.

Il mostro ormai la sovrastava, ma Nihal ebbe la prontezza di agguantare il maglio che tante volte aveva visto usare da Livon. Si abbassò di scatto e lo vibrò contro le ginocchia del mostro. Cedettero di schianto. Solo allora lo colpì con violenza, trafiggendolo. La stoccata fu sufficiente a finirlo.

Poi Nihal sentì una strana sensazione al fianco sinistro. Un freddo metallico, e un calore umido giù lungo la coscia. Si guardò. Aveva una ferita profonda. Sanguinava copiosamente. Osservò Livon: giaceva a terra, gli occhi chiusi come se dormisse.

Sdraiarsi accanto a lui. Chiudere gli occhi. Riposarsi. L’idea si stava facendo strada nella sua mente confusa quando dalla strada un urlo acuto e straziante la riportò alla realtà: doveva andare via, doveva salvarsi.

Pensa, Nihal. Respira. Pensa. Una via di fuga. Tutto quello che ti serve è una via di fuga.

Il condotto! Era ancora una bambina quando, giocando, l’aveva scoperto. Passava esattamente dietro la bottega e anticamente veniva usato per la manutenzione delle mura: un cunicolo scuro e senz’aria costruito nell’intercapedine del muro di cinta.

Nihal prese dalla fucina un grosso mazzuolo. Sollevarlo le richiese uno sforzo immane, ma quando lo scagliò contro il muro, accompagnando il colpo con una spallata, la parete cedette facilmente: il condotto esisteva ancora. Ci si infilò a fatica e iniziò a scenderne i gradini.

Era buio. Nihal aveva lo sguardo appannato e il cuore lanciato al galoppo. Il sangue continuava a inzupparle la gamba, ogni passo le costava enorme fatica. Attraverso le mura udiva le grida dei soldati, le urla strazianti delle donne, il pianto dei bambini, il tonfo dei corpi che cadevano a terra, il sibilare delle asce.

Ben presto i gradini iniziarono a farsi sconnessi. Il dolore al fianco aumentò fino a diventare quasi insopportabile. Nihal iniziò a piangere. Le lacrime le sgorgavano dagli occhi, senza che lei riuscisse a trattenerle. La scala prese direzioni sconosciute. A mano a mano che scendeva il caldo aumentava.

Nihal non capiva più dov’era: a volte la scala saliva, a volte diventava una specie di stradina, a volte scendeva. Si sentiva soffocare, non aveva quasi più coscienza di se stessa. La tentazione di abbandonarsi al suolo e lasciarsi trovare era forte. Le sembrava che se avesse fatto un altro passo sarebbe morta. Ma continuò ad avanzare nell’oscurità trascinando la gamba sinistra.

Doveva andare avanti senza fermarsi e senza pensare. Livon era morto per salvarla. E lei doveva vivere.

Non sapeva per quanto aveva camminato. Ore? Pochi minuti? Quando sentì un refolo d’aria fresca sul viso accelerò il passo, istintivamente. Ancora minuti di marcia, o forse ore. Finché non la trovò.

Sul muro c’era una fenditura che dava all’esterno. verso la salvezza. Verso la libertà. Nihal si avvicinò e si sporse: sotto di lei scorreva un fiume di liquami. La ragazza chiamò a raccolta le sue ultime forze. Raspò con le mani tra un mattone e l’altro fino ad aprire un varco abbastanza grande. Poi prese una boccata d’aria fresca e, semplicemente, si lasciò cadere.

L’impatto con l’acqua fu sgradevole. Nihal aveva freddo e si sentiva debole. Non riusciva a coordinare i movimenti. Le sembrò di essere sul punto di affogare. Allora si abbandonò del tutto e fu la corrente a trascinarla per un tratto che le parve molto lungo. Di tanto in tanto si accorgeva di essere vicinissima alla riva, ma non aveva più risorse. Voleva solo galleggiare a occhi chiusi. Riposarsi. Dimenticare.

Improvvisamente si sentì afferrare per un braccio.

Ecco. È finita, si disse. Finalmente è finita.

Qualcuno la stava trasportando sull’argine, ma lei non riusciva a distinguerne il volto.

«Nihal!»

Una voce sembrò provenire da un luogo lontanissimo.

«Sono Sennar, Nihal!»

La ragazza socchiuse gli occhi. «Livon… Livon è morto» sussurrò.

Poi fu come nel suo sogno.

Scivolò all’indietro, e il buio l’avvolse.

COMBATTERE.

Quando entrò a far parte del Consiglio dei Maghi era poco più che un ragazzino. Nato nella Terra della Notte e dotato di una straordinaria potenza magica, sembrava un giovane saggio, dedito al bene e alla giustizia. Fu accolto all’unanimità. Solo quando fu nominato Capo del Consiglio per l’anno in corso rivelò la sua vera natura e iniziò a estromettere i Consiglieri dalle decisioni più importanti.

[…] venne cacciato con disonore, ma il giovane mago aveva progettato tutto alla perfezione. Guidò egli stesso un assalto alla sala del Consiglio, con gli uomini e le armi forniti dai re destituiti da Nammen, smaniosi di riappropriarsi [delle loro terre].

Solo alcuni maghi scamparono all’eccidio e si rifugiarono nella Terra del Sole, ma colui che sarebbe diventato il Tiranno non se ne curò: nel volgere di poche ore era diventato padrone di metà del Mondo Emerso. A poco a poco spodestò anche i regnanti che lo avevano sostenuto, finché non ebbe il controllo su quattro Terre: la Terra dei Giorni, quella del Fuoco, quella delle Rocce e quella della Notte. La guerra tra il Tiranno e le quattro Terre libere divenne permanente da quel momento.

Annali del Consiglio dei Maghi, frammento.

9

La verità.

Non riusciva a muovere nessun muscolo. Non capiva dov’era né cosa stesse accadendo. Sentiva indistintamente una specie di litania. Un senso di calore al fianco. Poi vide solo luce. Nient’altro.

Era l’alba quando Nihal si risvegliò. Una luce fioca filtrava dalla finestra vicino al suo giaciglio. Non riusciva a ricordare quasi nulla. Un lungo viaggio attraverso un percorso buio e stretto, la fuga da qualcosa.