Выбрать главу

I ragazzini con le asce avevano palesemente la peggio. Si iniziarono a sentire gli “ahi!" di chi prendeva una botta troppo forte.

«Ritirata!» gridò il capo dei fammin. Quelli che erano ancora tutti interi si misero a correre verso le scale.

«Inseguiamoli!» urlò Nihal, e fece per lanciarsi dietro i fuggitivi.

Uno dei suoi la prese per un braccio. «Giù per le botteghe no, Nihal! Se mio padre mi pesca un’altra volta là sotto a combinare guai mi ammazza di botte.»

Nihal si svincolò. «Non combineremo niente, li seguiamo e poi tagliamo per i campi centrali.»

«Sì, dalla padella nella brace…» mormorò tra sé il ragazzino, ma non poté far altro che seguire il suo capitano.

Tutti si precipitarono giù per le scale, e poi via come scalmanati, armi in pugno, verso il piano delle botteghe. Molti negozi si affacciavano sulla strada con nient’altro che la porta d’ingresso e una piccola vetrina che mostrava la mercanzia, ma altri, specie quelli che vendevano ortaggi e frutta, occupavano parte del corridoio con bancarelle e ceste. Nella foga della corsa i ragazzetti urtarono proprio contro uno di quei banchi travolgendo una serie di ignari avventori.

«Dannati scavezzacollo!» urlò il fruttivendolo fuori di sé. «Nihal! Stavolta tuo padre mi sente!»

Ma Nihal continuava a rincorrere i fuggitivi. Mentre scorrazzava con la spada in pugno si sentiva viva e forte. Alcuni dei suoi avevano già catturato i fammin. Restava da acchiappare il loro capo.

«A lui ci penso io!» urlò al suo esercito, quindi chiese uno sforzo supplementare alle gambe. Accelerò e si mise alle calcagna del suo nemico. Il ragazzino poteva quasi sentire il suo fiato sul collo. Si gettò per le scale ma cadde rovinosamente due piani più in basso. Si rialzò dolorante, controllò di essere al piano giusto, quindi si buttò fuori dalla finestra.

Nihal si sporse: erano scesi così tanto che sotto di loro c’erano solo le stalle. Ai piedi della finestra, nel bel mezzo di uno degli orti del giardino centrale della torre, c’era la sua preda accovacciata. Saltò giù senza paura, atterrò in piedi e si lanciò con la spada puntata verso l’avversario, che aveva già le mani alzate.

«Mi arrendo» disse con il fiatone.

Nihal lo raggiunse. «Complimenti, Barod. Sei diventato rapido!»

«Sì, come no. Con te alle costole…»

«Ti sei fatto male?»

Barod si guardò le ginocchia sbucciate. «Io non salto agile come te. Comunque la prossima volta lo fai fare a qualcun altro il capo dei fammin, io mi sono stufato: m’hai fatto più lividi tu…»

La risata di Nihal venne bruscamente interrotta da una voce infuriata.

«Ancora tu! Sono arcistufo, dannazione!»

«Oh-oh! Baar!» fece Nihal preoccupata. Aiutò Barod a tirarsi su e iniziarono a correre tra i cespi d’insalata.

«È inutile che scappate, tanto so chi siete!» continuava a urlare la voce.

Raggiunto il confine dell’orto Nihal si rivolse all’amico: «Senti, vai a casa. A lui ci penso io».

Barod non se lo fece ripetere due volte.

Nihal invece preparò la sua migliore faccia di bronzo e aspettò l’arrivo del contadino, un vecchietto sdentato la cui ira era così straripante da schizzar fuori da ogni ruga.

«Avevo già detto a tuo padre che se ti ripescavo qua dentro mi avrebbe dovuto ripagare i danni! Oggi tre cespi d’insalata da buttare, ieri le zucchine… Per non parlare di tutte le mele che mi hai rubato!»

Nihal mise su un’aria contrita. «Stavolta sono innocente, Baar! È che il mio amico è caduto da quella finestra lassù, vedi? Io sono solo scesa per aiutarlo.»

«È una vita che i tuoi amici cascano nel mio orto e tu vieni ad aiutarli! Se avete i piedi di ricotta state lontani dalle finestre!»

Nihal annuì con aria dispiaciuta. «Hai ragione, scusami. Non succederà mai più.»

Poi guardò Baar con espressione così angelica che il contadino ci cascò con tutte le scarpe. «E va bene, sparisci. Ma di’ a Livon che gli costerà un’altra limatina ai miei falcetti.»

«Come no?»

La ragazzina schioccò un bacio all’aria e se la diede a gambe più in fretta che poteva.

Livon viveva ai piani delle botteghe, subito sopra le stalle e l’ingresso di Salazar, una pesante porta di legno a due battenti con grosse borchie di ferro ai lati e ampi cardini, alta più di dieci braccia. Il legno consunto presentava ancora tracce di bassorilievi scolpiti in un lontano passato. Le figure però erano assai confuse e, a parte qualche cavaliere e qualche drago, non si riusciva a distinguere altro.

Come per molti commercianti, anche per Livon casa e bottega coincidevano: così si risparmiavano tempo e denaro su eventuali pigioni. L’unico inconveniente era un po’ di confusione, accentuata dall’assenza di una presenza femminile degna di quel nome. Inoltre faceva l’armaiolo: la casa era stracolma di attrezzi, armi, blocchi di metallo e pezzi di carbone.

Nihal spalancò la porta. «Sono tornata!» gridò a gran voce. «E sono anche affamata!»

Le sue parole furono inghiottite dal frastuono. In un angolo Livon batteva una grosso martello su un pezzo di metallo arroventato, mentre migliaia di scintille sfuggivano all’acciaio e si gettavano a cascata sul pavimento. Era un omone, coperto di fuliggine, una zazzera di capelli corvini sulla testa. Solo gli occhi rilucevano su un volto che sembrava un pezzo di carbone.

«Vecchio!» urlò Nihal con quanto fiato aveva nei polmoni.

«Ah, sei tu…» disse Livon tergendosi il sudore dalla fronte. «Visto che non arrivavi mi ero messo a finire un lavoro per domani.»

«Vuoi dire che non hai preparato niente?»

«Non s’era stabilito che una volta a settimana toccava a te cucinare?»

«Sì, però… sono così stanca!»

«Aspetta, aspetta. Non mi dire niente. Scommetto che sei stata come al solito a giocare con quegli scalmanati.»

Silenzio.

«E come al solito al piano delle case abbandonate.»

Ancora silenzio.

«E magari siete finiti per l’ennesima volta nel campo di Baar…»

Il silenzio si fece colpevole. Nihal aprì la dispensa e prese una mela.

«Comunque non ti preoccupare. Mangio questa» disse saltellando e mettendosi fuori dalla portata di Livon.

«Accidenti, Nihal! Quante volte ti ho detto di non giocare negli orti centrali?

Qui è tutto un via vai di gente che viene a lamentarsi e a chiedere riparazioni gratis!»

Nihal si sedette con aria compunta. «È che quando si combatte…»

Livon sbuffò spazientito e si mise a tagliare un po’ di verdure prese dalla dispensa. «Non venirmi a parlare di queste sciocchezze! Se vuoi giocare, gioca. Ma non dare fastidio a nessuno!»

Nihal alzò gli occhi al cielo: sempre le stesse storie… «Non farmi la lagna, Vecchio…»

L’uomo le lanciò un’occhiataccia. «Ma chiamarmi papà, di tanto in tanto?»

Nihal sfoderò un sorrisetto malizioso. «E dai, papà! Tanto lo so che sei contento che io sia brava con la spada…»

Livon le mise davanti con malagrazia un piatto di verdure crude.

«È il pranzo?»

«Questo è ciò che mangiano le signorine che si ostinano a fare i maschiacci. Se avessi rispettato i patti e avessi cucinato tu avremmo mangiato qualcosa di caldo.»

Si sedette e iniziò a mangiare anche lui. Per un po’ ruminò pensieroso, poi riprese: «Comunque no che non sono contento!».

Nihal ridacchiò fra sé. Livon resistette ancora per qualche istante, poi si mise a ridere.

«E va bene! Hai ragione. Io ti adoro così come sei, ma gli altri… hai già tredici anni… insomma, le donne devono sposarsi, prima o poi!»

«E chi l’ha detto? Io a chiudermi in casa a fare la calza non ci penso nemmeno. Io voglio essere un guerriero!»

«Non esistono guerrieri donne» disse Livon, ma la sua voce tradiva un malcelato orgoglio.

«Vorrà dire che sarò la prima.»

Livon sorrise e con una mano scompigliò i capelli della figlia.