Nihal portava un lungo mantello nero da cui spuntava solo la spada. Un cappuccio le copriva interamente il volto. Non meno cupo era l’abbigliamento che il mantello nascondeva: corsetto e pantaloni in pelle, anch’essi rigorosamente neri. Si sentiva un’anima vendicatrice. Aveva promesso a se stessa che fino a quando l’orrore del Tiranno non fosse cessato non avrebbe smesso quella sorta di lutto.
Il palazzo dell’Accademia era una costruzione squadrata che si allungava su un ampio piazzale. L’ingresso era costituito da un enorme portone a doppio battente.
A guardia, due giovani armati di alabarda.
«Siamo qui per conferire con il Supremo Generale dell’Ordine, il sommo Raven» fece Fen.
Nihal pensò che l’impresa cominciava davvero: quanto avrebbe dovuto mettere in gioco per ottenere quel che voleva?
Una delle due guardie andò a riferire. Tornò poco dopo. «Il Supremo Generale può ricevervi. Potete attendere nel salone dell’udienza.»
Il salone mise soggezione a Nihaclass="underline" abituata ai piccoli spazi di Salazar, in quell’immensa sala si sentiva piccola come un insetto. Era diviso in tre navate da due ordini di colonne: se lei avesse provato ad abbracciarne una probabilmente non sarebbe riuscita a cingerne neppure la metà. Tutto l’ambiente mirava a far sentire un nulla chi aspettava di essere ricevuto in udienza.
Dovettero attendere quasi un’ora. Nihal iniziava a innervosirsi. «Che tipo è il Supremo Generale?»
«Collerico, altezzoso, poco incline alla comprensione» tagliò corto Fen.
«Un buon inizio…» tentò di scherzare Nihal. Ma non ebbe modo di chiedere altro, perché il fantomatico Raven fece finalmente il suo ingresso.
Indossava un’armatura d’oro tempestata di brillanti. Come si fa a combattere dentro un aggeggio del genere? si chiese Nihal. Come se non fosse bastato, portava in braccio un cagnetto peloso, che vezzeggiava e carezzava di continuo.
Il Supremo Generale andò a sedersi su uno scanno in fondo al salone. «Mio buon Fen» esordì con voce affettata «è per me motivo d’orgoglio che un eroe, quale tu sei, venga a trovarmi. Ho saputo che sul fronte della Terra del Vento le cose vanno migliorando. Me ne compiaccio. La notizia della sua caduta ci aveva dato grosse preoccupazioni. È una fortuna che il nostro Ordine possa contare su
un cavaliere come te.»
Fen fece un rapido inchino. Era meglio arrivare subito al dunque. «Vi ringrazio, Generale. Mi sopravvalutate. Mi sono permesso di disturbarvi perché un mio giovane allievo mi ha chiesto di entrare a far parte dell’Ordine. Io trovo che sia molto promettente. Ecco perché ho avuto l’ardire di…»
Raven era evidentemente compiaciuto da tutta quella ossequiosità. «E hai fatto bene, mio caro Fen. Sai bene che nessuno può sperare di entrare nell’Accademia senza la mia autorizzazione. Ma se il giovane è così dotato come dici… Immagino che l’aspirante sia il ragazzo mascherato che ti sta accanto.»
Era giunto il momento di rivelarsi. Nihal fece un profondo respiro. Poi scoprì il capo. E aprì il mantello.
Espressioni contrastanti attraversarono in pochi istanti il volto del Supremo Generale: lo stupore di trovarsi davanti una ragazzetta pelle e ossa con i capelli blu e le orecchie a punta, il dubbio che quello che vedeva potesse essere illusione e infine una rabbia traboccante. Strinse convulsamente le mani sul cagnolino, che guaì preoccupato, quindi si rivolse a Fen. «È uno scherzo o cosa?» sibilò.
Il cavaliere si sforzò di apparire rispettoso ma risoluto. «Non è uno scherzo, Supremo Generale. Questa ragazza è una dei più abili spadaccini che io abbia mai incontrato.»
Raven si alzò in piedi, imbestialito. «Da te non mi sarei mai aspettato una simile sciocchezza, Fen! Condurmi qui una bambina spacciandomela per un guerriero! Hai dimenticato l’onore dell’Ordine?»
Fen ebbe la tentazione di scusarsi, prendere Nihal per un braccio e portarla via. Tutta quella situazione gli sembrava una follia, ma al tempo stesso voleva bene a quella ragazza ed era convinto del suo valore.
Fu Nihal a toglierlo d’imbarazzo. «È con me che dovete parlare.»
«E tu, chi ti ha dato il permesso di aprire bocca?»
«Sono io l’aspirante, è di me che si parla. Quindi è a me che dovete rivolgervi.»
Raven aveva il volto congestionato. Si girò verso il cavaliere. «Di’ qualcosa a questa intrigante! Non tollero la sua maleducazione!»
«Dovete credere a Fen quando dice che sono un abile spadaccino. Mettetemi alla prova.»
«Bambina, qui addestriamo i guerrieri che difendono le Terre libere. I tuoi passatempi valli a fare da un’altra parte.»
Nihal non si fece intimorire. Quello a cui mirava era troppo importante perché un generale borioso le impedisse di ottenerlo. Lo guardò negli occhi e rispose con voce sicura. «Non sono una bambina. Sono un guerriero e chiedo di essere messa alla prova. Siete solito impedire agli aspiranti di fare mostra della loro abilità?»
Raven si alzò e fece per andarsene.
Nihal alzò la voce. «Sono un mezzelfo, l’ultimo. Sono qui per combattere e vendicare il mio popolo. Non potete rifiutarmi una prova!»
Raven si voltò e la fulminò con lo sguardo. «Non mi interessa chi sei e da dove vieni. Non ci sono donne tra i Cavalieri di Drago. La discussione è conclusa.»
Il Supremo Generale si stava ancora allontanando quando nella sala risuonarono le ultime parole di Nihal. «Non me ne andrò fino a quando non mi metterete alla prova. Ve lo giuro!»
12
Dieci guerrieri.
Nihal fu inamovibile. A nulla valsero i tentativi di Fen di dissuaderla, di farla ragionare, di portarla via con sé.
«Ho preso una decisione» disse lei semplicemente.
Poi si sedette a gambe incrociate sul pavimento della sala, la spada sguainata davanti a sé, in attesa.
All’inizio la lasciarono fare: evidentemente Raven non la prendeva sul serio. Dopo dieci ore, però, arrivarono due guardie. Tentarono di portarla via di peso, ma Nihal non si fece spostare di un millimetro: un breve combattimento, ed ebbe ragione di entrambe.
Di tanto in tanto qualcuno provava ad allontanarla, ma la fine della storia era sempre la stessa: un colpo di spada e via, guardie disarmate.
Al quarto attaccò Nihal si spazientì. Con un balzo saltò sulla gamba di un’imponente statua che raffigurava un guerriero e si arrampicò agilmente fino alla grande testa: lassù nessuno poteva disturbarla.
Poco prima di mezzanotte comparve Raven. «Ancora lì, ragazzina? Vedremo che cosa farai quando avrai fame.»
«Vedrete voi di cosa sono capace quando ho preso una decisione!»
In effetti, però, quello dei viveri era un bel problema: lo stomaco aveva iniziato a brontolare già da un po’. Nihal si appoggiò con la schiena alla parete, raccolse le gambe stringendosele al petto e si assopì.
La svegliò uno strano rumore. Ritmico, insistente.
Si mise a scrutare nell’oscurità del salone, guardinga. Poi lo vide: un falchetto, comparso dal nulla, volteggiava tra le colonne delle navate.
Nihal si stropicciò gli occhi, ma il falchetto restò lì. Anzi, si diresse deciso verso di lei e quando le fu vicino le lasciò cadere in grembo un fagotto, sparendo subito dopo così come era comparso.
La ragazza aprì il pacchetto: pane, formaggio, frutta, una piccola fiasca d’acqua. E una pergamena.
Ciao, guerriera!
Quando mi hanno detto del tuo discorsetto al Supremo Generale non la smettevo più di ridere. Mi immaginavo la sua faccia. Comunque sappi che io sono con te: insisti e conquista!
Quel bietolone del tuo adorato Fen è rimasto molto impressionato dal tuo gesto: te lo dico perché so che sei così invaghita che ne sarai contenta. Soana non ha detto niente, ma si capiva che la cosa non le piaceva molto. Che ci vuoi fare, solo io ti capisco…