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Dato che cercheranno di prenderti per fame, eccoti qualche vettovaglia per sopportare l’assedio.

Buon appetito e buonanotte dal tuo mago.

Seguiva, a mo’ di firma, il buffo disegnino di un mago. Nihal non poté fare a meno di sorridere e di essere grata al suo amico. E lo sarebbe stata ancora di più se avesse saputo che in quel momento Sennar aveva ben altro a cui pensare.

Il giorno stesso in cui Nihal si era recata all’Accademia, Soana si era presentata al Consiglio. La maggioranza dei membri aveva cercato di dissuaderla. Soana non si aspettava che la sua decisione venisse osteggiata, ma era stata irremovibile: aveva ripetuto che non si sentiva più in grado di sedere al suo posto e che la ricerca di Reis era molto importante. Poi aveva proposto come suo successore il suo allievo. Il consesso dei maghi aveva reagito con perplessità e Dagon, il Membro Anziano, aveva deciso di parlarne con lei in privato.

«Sennar è troppo giovane, Soana. La sua forza magica è notevole, non lo nego, ma deve maturare. Avrà tutto il tempo di diventare un mago straordinario e di servire il Consiglio al meglio. Sai bene come la fretta nell’accogliere un nuovo componente possa essere fatale.»

Ma Soana aveva insistito: «Lui può anche avere tempo, ma è il Mondo Emerso a non averne. È necessario mettere in campo tutte le forze di cui disponiamo, e Sennar è una carta vincente. L’altra è la giovane mezzelfo: per questo ti chiedo di accettare Sennar tra voi e di lasciarmi andare da Reis. Solo lei può sciogliere l’enigma legato alla vita di Nihal».

Dagon aveva riflettuto a lungo sulle parole della maga. «E sia. Farò esaminare il tuo allievo da tutti i membri del Consiglio, me compreso, e solo se tutti saranno d’accordo sulla sua idoneità verrà accettato. Per quel che ti riguarda, anche se a malincuore non posso che rimettermi alla tua volontà: ritieniti sollevata dai tuoi doveri.»

Sennar aveva iniziato i colloqui quel pomeriggio stesso. Era stato esaminato solo da due Consiglieri, ma a sera era ugualmente sfinito. Gli avevano posto domande sulla sua provenienza, sulle sue aspettative e motivazioni. La sua sapienza, accumulata in ore di studio solitario, era stata analizzata nei minimi particolari. Aveva dovuto provare la sua abilità di mago con incantesimi di ogni genere, al termine dei quali si era ritrovato stremato.

Era stato in quelle condizioni che Sennar aveva pensato alla sua amica e con le ultime forze, prima di crollare addormentato, aveva scritto la lettera e lanciato l’incantesimo sul falchetto.

I tre giorni successivi erano stati difficili sia per il mago sia per Nihal.

Sennar era stato interrogato senza sosta, mentre Nihal era rimasta appollaiata sulla testa della statua, provvedendo di tanto in tanto a difendersi dalle frecce che le guardie le lanciavano. Era indolenzita, ma continuava a resistere: era determinata a ottenere ciò che voleva. Non le interessava il prezzo da pagare.

A Makrat la voce si era sparsa in fretta: una ragazzina con i capelli blu e un paio di orecchie spropositate si era piazzata in cima a una statua nell’Accademia per ripicca contro Raven e nessuno riusciva a tirarla giù. Altrettanto in fretta una folla di curiosi aveva iniziato a radunarsi sul piazzale dell’Accademia chiedendo di poter vedere con i propri occhi quella bizzarria.

Il quarto giorno la situazione sembrò smuoversi. Verso mezzogiorno Raven in persona, in pompa magna e con il solito cagnolino in braccio, fece il suo ingresso nel salone facendosi largo tra la folla.

«Vista la tua perseveranza, ho deciso di accontentarti: domani mattina, nella piazza d’armi dell’Accademia, sosterrai la tua prova. Ora scendi. È un ordine.»

Nihal non fece una piega. «Quali sono le condizioni?»

«Dovrai battere dieci dei nostri più valenti allievi. Tutti e dieci, non uno di meno.»

Un mormorio percorse gli astanti: era un’impresa impossibile.

La reazione del mezzelfo fu inaspettata: scese agilmente dalla statua, si mise proprio di fronte a Raven e lo guardò fisso negli occhi. «Accetto. Ma voglio che voi giuriate davanti a tutti che se li batterò potrò diventare allieva dell’Accademia.»

Raven sorrise beffardo. «Hai la mia parola.»

Nihal trascorse il pomeriggio in solitudine, chiusa nella sua stanza della locanda. Stesa sul letto, la spada al fianco, guardava il soffitto. Di vagare per Makrat non aveva voglia. Sarebbe stata volentieri un po’ con Sennar, ma il mago era impegnato nei colloqui.

Pensò a lungo al giorno seguente. Pensò a Fen: avrebbe assistito alla prova e avrebbe finalmente smesso di considerarla una ragazzina.

Poi tirò fuori la pergamena. La guardò con tanta intensità che le sembrò di essere dentro la scena che vi era raffigurata. Avrebbe voluto con tutto il cuore trovare da qualche parte un altro mezzelfo per condividere con lui il peso dell’eredità lasciatale dal suo popolo. Avrebbe voluto sapere come vivevano i suoi simili, se amavano e soffrivano come lei.

Mai come in quel momento si era sentita sola. Era terribile sapere che del suo popolo non erano rimaste che quella pergamena sgualcita e lei, una ragazzina sperduta in una terra straniera.

I sogni la incitavano alla vendetta, alla guerra, ma soprattutto all’odio. E Nihal odiava: odiava il Tiranno che aveva sterminato la sua stirpe, odiava i fammin che le avevano strappato la sua famiglia, e odiava se stessa perché era sopravvissuta.

Sennar e Soana tornarono a sera. Nihal seppe da loro che Fen se ne era andato: la licenza era finita ed era dovuto tornare sui campi di battaglia. Si sentì abbattuta.

Sennar aveva un’aria stravolta, ma si consolava pensando che l’indomani, dopo l’esame di Dagon, quella tortura sarebbe finita.

«Combattere sarà duro, per carità. Ma anche la vita del mago è uno strazio» disse per scherzare, ma vide che la sua amica non era in vena.

Sennar intuiva quel che si agitava nel cuore di Nihal, e temeva per lei, ma sentiva che nessuno poteva aiutarla: tirarsi fuori dall’abisso era un compito che non poteva delegare a nessuno. Quando si salutarono la abbracciò.

«In bocca al lupo per domani.»

«Grazie. E grazie per tutto quello che hai fatto per me. Quante volte ancora mi vuoi salvare?» Nihal sorrise. «E comunque, in bocca al lupo anche a te.»

Gli era infinitamente riconoscente: perché la capiva, perché l’aiutava, perché c’era. Era il suo amico, ed era anche una delle poche cose che le fossero rimaste.

Quella notte Nihal dormì senza problemi. Si svegliò di buon’ora, riposata e sicura di sé. Prese il mantello e la spada e da sola andò all’Accademia.

Si meravigliò che parecchia gente cercasse di entrare. Le guardie lasciarono passare solo lei, ma un’ora dopo la folla che premeva sul portone d’ingresso era tale che Raven diede l’ordine di farla entrare.

Il Supremo Generale aveva scelto personalmente i dieci allievi guerrieri che si sarebbero battuti. Avevano concluso l’addestramento e sarebbero diventati cavalieri a tutti gli effetti entro breve: non aveva dubbi che avrebbero fatto un solo boccone di quella creaturina presuntuosa.

Nihal entrò nell’arena adibita alla gara. Era un enorme spiazzo circolare in terra battuta. Sul fondo giaceva una rastrelliera su cui erano disposte armi di vario tipo, mentre tutto intorno iniziavano ad ammassarsi gli spettatori: in prima fila c’erano i cavalieri nelle loro sfolgoranti armature, circondati da una turba di ragazzetti tutti vestiti con una sorta di saio marrone. Seguiva la folla di gente comune, spinta dalla curiosità e dall’ammirazione per quella strana ragazza. Poi vide entrare gli sfidanti. Erano alti e robusti, più grandi dei ragazzi in tunica: Raven li aveva scelti tutti superiori a lei fisicamente.

Il Supremo Generale si fece attendere. Quando si presentò sul piccolo palco adibito per l’occasione, rispose alle acclamazioni della folla con un sorriso accondiscendente. Pregustava già il proprio trionfo. Si rivolse a Nihal, che aveva guadagnato il centro del campo.

«Come promesso, ragazza, ho deciso di darti la possibilità di dimostrare ciò che sai fare, perché non si possa dire che ho negato a qualcuno l’opportunità di entrare all’Accademia. Spero che tu ti renda conto della concessione che ti sto facendo.»