Il trucco non funzionò del tutto: la spada del ragazzo si incastrò nella rastrelliera, ma quella di Nihal finì per conficcarsi nello scudo prontamente abbassato. Si trovavano in una posizione di stallo. Quando il suo avversario si accinse a estrarre l’arma, Nihal lo colpì con violenza con un calcio. Il ragazzo cadde rovinosamente a terra mentre lo scudo gli sfuggiva di mano, liberandosi dalla morsa del cristallo nero di Nihal. Anche la penultima spada venne conficcata nel terreno tra gli applausi entusiasti degli astanti.
Nihal si sentiva sfinita: non aveva più risorse fisiche, e anche quelle mentali iniziavano a vacillare. Non avrebbe mai immaginato che combattere potesse prostrarla tanto. Poi si rese conto del boato della folla: presa dalla foga del combattimento, non aveva fatto caso a ciò che la circondava. Ora, però, capì che quello che fino a quel momento le era sembrato un confuso vociare era un incitamento ritmato. Tutti i presenti scandivano il suo nome.
Lei era forte, imbattibile, nulla poteva ostacolare la sua volontà: questo le urlava la folla, e lei ci credette. Alzò in alto la spada e il pubblico si lasciò andare a un grido d’entusiasmo.
Mentre Nihal riguadagnava il centro dell’arena vide di sfuggita Sennar. Il suo amico era lì, non l’avrebbe mai abbandonata, tutto sarebbe andato bene. Gli sorrise e per un attimo le sembrò che il mago le rispondesse.
L’ultimo contendente avanzò con piglio deciso e Nihal sentì una fitta di paura. Non era certo il più impressionante dei nemici che aveva combattuto, ma lo sguardo di quel ragazzo era inquietante. I suoi occhi erano talmente chiari che l’iride sembrava inesistente, e il suo colore sfumava nel bianco della cornea.
Nonostante il dolore al polso Nihal strinse la presa sulla spada. L’avversario si fermò davanti a lei. Sembrava non avere armi. Poi mosse con rapidità un braccio e una lunga frusta nera si adagiò al suolo come un serpente. Nihal non aveva mai visto un’arma del genere. Si preparò allo scontro ma, quando la frusta le guizzò a un niente dal volto per poi ricadere inerte al suolo, impallidì.
«Posso farti a fette quando voglio, ragazzina.»
La frusta guizzò di nuovo a pochissima distanza. Nihal non riusciva a vederla arrivare. Giocava intorno al suo corpo, divertendosi a sfiorarla senza mai colpirla.
«Ricordati il mio nome: Thoren, della Terra del Fuoco. Perché sarò io a ridurti in brandelli.»
Il cerchio disegnato dalla frusta le si stringeva attorno, sempre più preciso e stretto.
Allora Nihal chiuse gli occhi.
Per un attimo fu il buio assoluto, ma presto il nulla si popolò dei sibili della frusta e il suo udito, non più ostacolato dalla vista, poté correrle in aiuto. Ora sentiva i colpi. Capiva da dove provenivano. Iniziò a pararli con precisione meccanica.
Il ragazzo mirava alle gambe, cercando di farle perdere l’equilibrio, ma lei parava e saltava, schivava e volteggiava evitando ogni colpo. La distanza però era troppa. Nihal era bloccata sulla difensiva, non aveva speranza di attaccare.
Poi la frusta iniziò a guizzare più vicino al corpo del suo nemico. A Nihal sembrò un miracolo. Si avvicinò sempre di più, tanto da sentirne l’odore. Odore di lotta, odore di guerra.
Le bastò un colpo per tagliare di netto la frusta del suo avversario. Ma il sorriso di trionfo le morì sulle labbra: attorno alla sua spada era avvolta una catena di ferro. Il ragazzo gettò a terra il moncherino di frusta. Poi le rivolse un ghigno gelido.
«Manchi di esperienza, ragazzina. E per questo morirai.»
Nihal si sentì perduta, ma non volle dare la soddisfazione della vittoria al suo rivale. «Parli troppo: in battaglia solo chi ha vinto può permettersi di perdere tempo in discorsi.»
«Io ho vinto.» Thoren estrasse una spada da un fodero che gli pendeva al fianco. «Vengo io a prenderti o vieni a morire da sola?»
Nihal iniziò a tirare la spada, ma la morsa della catena era forte.
«Ho capito: il pesciolino che ha abboccato non vuole collaborare…»
Thoren era più possente del previsto. Nihal puntò i piedi per non essere trascinata. Il polso le doleva da impazzire, non c’era nulla che potesse fare.
Dall’alto del suo scanno Raven si godeva ogni istante di quel drammatico tiro alla fune che portava Nihal alla morte.
«Risparmiala!», «Ha combattuto lealmente!», «Che sia ammessa all’Accademia!» urlava il pubblico.
Ma Thoren voleva il suo sangue. «Finiamola con questo stupido gioco.»
Nihal vide se stessa stesa a terra, morta. Gli occhi le si riempirono di lacrime e l’assalì una rabbia incontrollabile. Morire lì non aveva senso. Tutta la sua vita fino a quel giorno non avrebbe avuto senso, e con essa la vita di un intero popolo.
Il ragazzo impresse un tremendo strattone alla catena.
Fu allora che Nihal agì: sfruttò la potenza di quello strappo e si lanciò in avanti con la forza della disperazione. Thoren non fece in tempo a capire: il mezzelfo gli piombò addosso e la spada nera gli trapassò il braccio da parte a parte.
Entrambi caddero rovinosamente al suolo e una macchia di sangue si allargò sotto i loro corpi. Poi, lentamente, Nihal tentò di alzarsi. Doveva rimettersi in piedi o non avrebbe vinto.
Malsicura sulle gambe raggiunse il centro dell’arena, levò il volto imbrattato di polvere verso Raven e lo guardò con orgoglio.
Quella ragazza era assolutamente fuori dall’ordinario. Il sommo Raven, Supremo Generale, fu costretto a capitolare. «Hai accesso all’Accademia, ragazza.»
Il pubblico esplose in grida di giubilo.
«Ma aspetta a cantare vittoria. La vera sfida comincia ora.»
La gente circondò Nihal. Centinaia di mani iniziarono a toccarla, ad accarezzarla, a darle pacche amichevoli sulla schiena. Ma la ragazza non si reggeva più in piedi. Si accasciò al suolo come un sacco vuoto.
Quando Sennar la raggiunse, facendosi largo tra la selva di persone, Nihal gli si strinse contro e un sorriso illuminò il suo viso stanco.
13
L’Accademia dei Cavalieri.
Sennar portò Nihal in braccio fino alla locanda. La vegliò per tutto il tempo: il ricordo dei giorni in cui aveva rischiato di morire era ancora vivo e lui era preoccupatissimo.
Ma Nihal dormiva beatamente, sognando a tratti di essere un Cavaliere di Drago, a tratti il suo Fen.
Si svegliò il mattino seguente, quando un sole gagliardo andò a dirle buongiorno direttamente sul cuscino. Si stiracchiò, si mise a sedere e, dopo lungo tempo, si sentì quasi serena.
«Certo che essere tuoi amici è faticoso: tu rischi la vita un giorno sì e l’altro pure!»
Nihal sorrise all’amico. Poi una fitta all’addome la riportò alla realtà.
«Ce l’ho fatta?»
«Sì.»
«Sono nell’Accademia?»
«Ti ho detto di sì!»
«Sono stata ferita?»
«Niente di che. Hai un polso mezzo rotto e per poco non ti facevi bucare la pancia. Bazzecole. E ora a cuccia, guerriero. Devo continuare con la formula.»
Nihal lasciò che Sennar le alzasse la veste e le posasse le mani sull’addome e sul polso.
Non era la prima volta che il mago le praticava incantesimi di guarigione, ma il contatto con la pelle di lei aveva qualcosa di nuovo.
«Sennar! Ma cosa fai, diventi rosso?»
Il mago cambiò discorso. «Ho saputo in giro che il nostro Supremo Generale ha giocato sporco. Il tuo ultimo avversario non era un allievo ma un mercenario pagato da Raven. Comunque, per la cronaca, gli hai quasi staccato un braccio.»
Nihal restò impassibile. D’un tratto non desiderava altro che iniziare l’addestramento: ogni minuto le sembrava sprecato.
«Quando potrò entrare in Accademia?»
«Quando vorrai. Anche se non credo che Raven sia impaziente di vederti.»
Nihal sbuffò. «È un problema suo.»
Sennar terminò di medicarla, poi la guardò serio. «Senti, devo dirti una cosa…»
«Che c’è?»
«Be’, io… sono membro del Consiglio. Ecco.»