Per la prima volta ebbe la profonda consapevolezza di non essere umana. Era una straniera lì, nessun altro era come lei. Era l’Ultima, una cosa vecchia che apparteneva a un’epoca passata.
Che ci faceva là? I mezzelfi erano tutti morti, il suo posto non era fra i vivi. Non erano pensieri nuovi, ma ora erano legati a una sensazione che quella sera aveva provato sulla sua pelle: era una diversa.
Pianse a lungo, cercando di soffocare i singhiozzi e asciugandosi con rabbia le lacrime, che si strappava dal volto con il dorso della mano. Si assopì piangendo.
Prima dell’alba qualcuno cercò di forzare la porta. Nihal si svegliò di soprassalto, impaurita. «Chi è là?»
Dall’esterno giungeva la voce indistinta di Malerba: parlava di guardia, di turni. Nihal si ricordò della punizione e si accorse che il senso di umiliazione non era passato.
Si vestì in tutta fretta. La casacca era larga e la infagottava, facendola sembrare ancora più piccola. Prese la spada e il mantello e uscì.
Al vederla Malerba si illuminò e le mise una mano sul braccio. «Portone, lì aspettano…»
«Non toccarmi!» ringhiò la ragazza.
Al portone d’ingresso dell’Accademia Nihal trovò ad attenderla una guardia insonnolita.
«Ti è andata bene, mancano solo due ore all’alba» le disse, quindi sbadigliò.
Era quasi cortese, ma non appena la riconobbe alla luce della torcia non mancò di guardarla con astio.
Nihal prese in consegna la lancia del suo predecessore. Il freddo era pungente. Quei panni assurdi che le avevano dato non riscaldavano nemmeno un po’; se non fosse stato per il suo mantello sarebbe morta congelata. Rabbrividì. Gli occhi le si chiudevano. Non c’era che dire: un ottimo inizio.
Il resto della giornata non fu migliore.
Mangiò da sola come la sera precedente, quindi andò nella sala in cui si svolgeva l’addestramento. Molti ragazzi avevano già iniziato e notò che erano organizzati per gruppi. Si stava guardando intorno, cercando quale potesse essere il suo, quando un uomo le fece cenno di avvicinarsi.
«Tu devi essere la nuova allieva. Sono Parsel, il tuo maestro. Vieni.»
Nihal lo seguì fino a uno spiazzo dove erano radunati alcuni ragazzini, tutti approssimativamente della sua età.
«Questa è la nostra squadra più giovane. Qui si imparano i primi rudimenti della spada e le tecniche fondamentali.»
Nihal rimase incredula «Come i primi rudimenti? Io sono stata accettata all’Accademia perché ho sconfitto dieci dei migliori spadaccini di questo posto!»
«Davvero? Be’, a me è stato ordinato di insegnarti, perciò starai qui con noi.»
Nihal non voleva arrendersi. «Va bene, allora combattiamo! Così capirai qual è il mio livello e saprai dove mandarmi.»
Stava già per sguainare la spada, ma Parsel la bloccò. Iniziava a irritarsi. «Senti, ragazzina. Per me è già abbastanza esotico che una donna impari a maneggiare la spada, quindi ti consiglio di abbassare la cresta e di fare quel che ti dico.»
Nihal si arrese.
Dovette ascoltare per tutta la mattina cose che già sapeva ed esercitarsi come una novellina, disarmando puntualmente il ragazzetto di turno che si allenava con lei.
Pensò a come aveva immaginato la sua vita all’Accademia.
Paragonò i suoi sogni a quella realtà.
L’assalì la tristezza.
14
La recluta Nihal.
Quel giorno non fu che il primo di una lunga serie di giorni tristi, segnati dal grigio dell’inverno che calava sulla Terra del Sole e dalla solitudine.
La consuetudine non cambiò l’atteggiamento degli altri allievi nei confronti di Nihal. Era una donna, aveva un aspetto bizzarro e a poco a poco tutti cominciarono anche a temerla.
Più il tempo passava più Nihal mostrava le sue capacità, e la storia del modo in cui si era conquistata l’accesso all’Accademia si diffuse anche tra coloro che mai l’avevano sentita.
Iniziò a girare voce che fosse una specie di strega, discendente di una razza malvagia dedita alle stragi e alla guerra. Qualcuno insinuò addirittura che fosse una spia inviata dal Tiranno in persona per distruggere l’Accademia dalle fondamenta. Il risultato di quelle dicerie fu che tutti si tenevano alla larga da Nihaclass="underline" quando attraversava i corridoi i ragazzi si aprivano in due ali e accompagnavano il suo passaggio con mormorii ostili e sguardi di riprovazione.
Il timore nei suoi confronti fu acuito da un episodio.
Capitava spesso che, nottetempo, i ragazzi arrivassero fino alla sua porta, fuggendo non appena la sentivano muoversi.
Una sera, immersa nel consueto sonno agitato, Nihal non si accorse che qualcuno era riuscito a entrare. Mentre dormiva i volti supplichevoli che popolavano il suo incubo le si fecero tanto vicini che le sembrò di soffocare.
Poi si sentì toccare.
Chino su di lei c’era Malerba, con un orrido sorriso sul volto, intento a carezzarla biascicando un’incomprensibile litania.
Nihal strillò, agguantò la spada e gliela puntò alla gola.
Il servo scoppiò in lacrime implorando perdono, ma Nihal era furente. Lo afferrò e lo trascinò fuori, dove si era radunata una piccola folla di ragazzi assonnati. Alla vista di quella furia con la spada in mano, indietreggiarono tutti.
«Guardate bene, bastardi! Questo è quello che succede a chi cerca di farmi del male!»
Poi passò la lama sulla gola di Malerba, che strillava come un maiale. Gli fece solo un graffio, ma da quella sera il viavai davanti alla sua stanza cessò per sempre.
Le notti di Nihal non erano comunque tranquille.
La solitudine e l’astio da cui era circondata la fecero sprofondare sempre di più nei suoi incubi. Non passava notte in cui i volti dei mezzelfi non la perseguitassero. Si svegliava terrorizzata e la visione di quella stanza, anziché calmarla, l’agitava. Si sentiva chiusa in una bara. Allora si metteva seduta, le braccia intorno alle ginocchia, e guardava lo spicchio di cielo che si intravedeva dalla feritoia sforzandosi di scacciare l’angoscia.
Ma la notte successiva ricominciava tutto daccapo.
Il pensiero di vendicare suo padre e il suo popolo si fece sempre più ossessivo. Il dolore la indurì. All’inizio aveva sofferto per l’odio dei suoi compagni, ma finì per abituarcisi e, con il passare del tempo, ad amarlo. La paura degli altri allievi le piaceva.
Sennar non andò a trovarla il primo mese, né il secondo, né il terzo.
Nihal aveva un bisogno disperato di parlare con lui, di sentirsi dire ancora una volta che tutto andava bene, che la notte sarebbe passata. Ma ricevette solo un messaggio laconico, arrivatole con il falchetto che ormai aveva imparato a riconoscere: “Sono morto di stanchezza, non ho un attimo di pausa, ma sto bene. Non ti ho dimenticata”.
Nihal diventò un essere cupo e taciturno.
Si gettò anima e corpo nello studio.
Il suo modo di battersi si fece sempre più rabbioso e violento.
E lei sempre più abile, veloce, spietata.
Parsel, il maestro di spada, aveva capito le potenzialità di Nihal e soffriva a vederla sacrificata in mezzo a quei ragazzini che non sapevano neppure maneggiare un’arma.
Un giorno la prese in disparte. «Ho visto come ti muovi, come combatti. Sei brava, Nihal.»
Lei lo guardò sospettosa: non sapeva se fidarsi. Quel discorso poteva significare tutto e niente.
«Hai già avuto esperienze di guerra?»
Nihal gli raccontò delle lezioni di Livon e di Fen, dell’uccisione dei tre fammin, due a Salazar e uno ai confini della Terra del Vento.
«L’avevo immaginato. Allora non raccontavi frottole, il primo giorno!»
Il maestro le sorrise e Nihal, che manteneva sempre un atteggiamento fiero e composto, abbassò gli occhi.
Parsel era convinto che sarebbe stato più proficuo che si addestrasse nell’uso delle armi di cui era totalmente digiuna.
«Ho proposto a Raven di lasciarti iniziare con le altre tecniche di combattimento, ma per il momento la mia richiesta non ha dato risultati.»