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Be’, se proprio vogliamo dirla tutta, ti avevo già vista nell’arena con quei dieci tizi. Oh, sei stata straordinaria! Hai combattuto in un modo… Nessuno combatte come te! Ti giuro, io ero come… ipnotizzato, ecco. E poi che spada! Ma di che cosa è fatta? Sembra impossibile che non si rompa! Ah, che sbadato, non mi sono neppure presentato: io sono Laio, della Terra della Notte.»

Il ragazzino tese la mano e Nihal gliela strinse senza avere il tempo di aprire bocca.

Laio continuò a parlare per tutto il pranzo, riempiendola di complimenti, raccontandole della sua vita e facendo di tanto in tanto qualche domanda a cui Nihal riusciva giusto a rispondere con un sì o con un no. Il suo entusiasmo era quello di un bambino e Nihal ne rimase travolta.

Le disse di avere quindici anni e di essere nell’Accademia da un anno e mezzo. Poi le raccontò della sua terra d’origine. Lui non l’aveva praticamente mai vista, dato che la sua famiglia l’aveva lasciata quando aveva un paio di anni, ma conosceva la sua strana storia.

Durante la guerra dei Duecento Anni un mago aveva avuto un’idea che sulle prime era sembrata geniale: con un incantesimo aveva evocato la notte eterna sulla sua terra, in modo tale da mettere in difficoltà gli eserciti nemici, dando al contempo agli abitanti della regione la capacità di vedere al buio. Poi però il mago era morto prematuramente, e alla fine della guerra nessuno era stato in grado di sciogliere l’incantesimo.

«Perché non era un incantesimo normale, capisci? Era un sigillo! Sai cos’è un sigillo? Be’, è un sortilegio irrevocabile, una roba eterna. No, scusa, non proprio eterna. Cioè, eterna se il mago muore. Perché solo il mago che aveva evocato il sigillo può spezzarlo. Ecco, adesso si capisce.»

Il ragazzino concluse quel profluvio di parole con un sospiro soddisfatto. Fu allora che Nihal iniziò a ridere. Prima timidamente, poi sempre più forte. La sua risata contagiò anche Laio e in breve avevano entrambi le lacrime agli occhi.

La loro amicizia iniziò così.

Laio non la abbandonava un attimo. Nihal non sapeva se essere contenta di tanta venerazione e non faceva niente per incoraggiarla, ma non poteva negare che le faceva piacere. Era il primo allievo che non la temeva, non la odiava e neppure la disprezzava. Il loro legame non aveva niente a che vedere con l’amicizia profonda che la legava a Sennar. Però, pur con tutta la sua ingenuità e la sua esagerata ammirazione, Laio le scaldava il cuore.

Sempre più spesso, di sera, la raggiungeva nel suo bugigattolo per chiacchierare. Nihal venne così a sapere che Laio era entrato in Accademia per volere del padre, un grande generale che sperava di farne un valoroso guerriero.

Lui però aveva tutt’altre aspirazioni. «Viaggiare, capisci? Girare il Mondo Emerso in lungo e in largo, scoprire territori inesplorati, nuove terre. Ecco cosa mi piacerebbe. Se fosse per me… ti giuro, lascerei le armi anche domani!»

Nihal non capiva come si potesse essere costretti a fare qualcosa contro il proprio volere.

«Se non ti piace combattere, smetti. Quella del guerriero non è una bella vita, Laio. Non ha senso farla senza esserne convinti.»

Lui scrollava le spalle. «E cos’altro posso fare? Mio padre non riuscirebbe mai ad accettare un figlio viaggiatore. Anzi “vagabondo”, come direbbe lui.

Ha sempre voluto che diventassi un guerriero. Quindi io farò il guerriero.»

Era una realtà nuova per Nihaclass="underline" aveva sempre preso da sola le sue decisioni, aveva scelto da sé la strada da intraprendere, ed era convinta che fosse così per tutti. Ora scopriva invece che c’erano persone la cui strada era già stata tracciata da altri, che non potevano scegliere cosa fare della propria vita.

Quando protestava, Laio rispondeva semplicemente: «Abbiamo tutti un destino. Per qualcuno coincide con quello che ha sempre sognato, per altri no. È così. Che ci vuoi fare?».

Dopo quei discorsi, quando Laio se ne tornava a dormire in camerata, Nihal finiva spesso per chiedersi quale fosse il suo, di destino.

Anche il suo giovane amico, naturalmente, voleva sapere qualcosa di lei. La prima volta che le fece qualche domanda sul suo passato, Nihal lo mise di peso fuori dalla stanza e si trincerò dietro un silenzio che durò alcuni giorni.

Ci volle tempo prima che Nihal raccontasse a Laio delle suo origini e di Livon. Lo fece con indicibile fatica: il dolore per la morte del padre e per lo sterminio del suo popolo erano ancora vivi e lei si sentiva colpevole come il primo giorno.

Nihal gli parlò anche di Sennar, di quanto fosse legata a quel giovane mago, di quanto le mancasse. E in un momento di confidenza gli rivelò anche che era innamorata da tempo di un uomo straordinario, che però non la considerava nemmeno lontanamente.

Laio accolse la notizia con perplessità. «Contenta tu… A me l’amore non interessa. Le femmine frignano, fanno le ritrose… Non ci trovo niente di interessante, insomma.»

«Io sono una femmina, nel caso tu non te ne fossi accorto.»

«Sì, ma sei un guerriero. È un’altra cosa.»

A quell’uscita, Nihal non seppe se sentirsi lusingata nel suo animo guerriero o offesa nella sua femminilità.

Erano passati sette mesi dall’ingresso di Nihal in Accademia quando Sennar cercò di andare a trovare l’amica.

Nihal era totalmente ignara degli sforzi che il mago stava facendo per riuscire a vederla. Il Supremo Generale si ostinava a negargli il permesso e Sennar, dopo una serie di attese infinite e udienze infruttuose, si era deciso a chiedere aiuto al suo maestro.

Dagon aveva sempre preferito tenere ben distinti il potere politico e quello militare, ma era affezionato a Sennar e sapeva quanto fosse importante per lui rivedere Nihal.

Il Membro Anziano del Consiglio dei Maghi si presentò a Raven una mattina, accompagnato dal suo allievo. «Mi hanno detto che da quando è entrata in Accademia non è mai uscita: non credi sia ora di farle vedere la luce?»

Il Supremo Generale restò sulle sue, sdegnato per quell’intrusione nella sua giurisdizione.

«Raven, quella ragazza è molto importante: è l’unica sopravvissuta del popolo dei mezzelfi, e Reis vide qualcosa di grande nel suo destino. È come un’arma. E tu hai cura delle tue armi. O no?»

L’udienza fu lunga, ma Dagon era paziente.

Dopo qualche ora di contrattazione, Raven si arrese e aprì le porte dell’Accademia, maledicendo per l’ennesima volta quella ragazzina che l’aveva sempre vinta.

Quando Sennar la vide andargli incontro quasi non la riconobbe: dimagrita, infagottata nella divisa degli allievi, Nihal avanzava decisa nel piazzale dell’Accademia, nel suo passo la cadenza militaresca.

Non può essere lei si disse. Voleva a tutti i costi che la sua amica fosse tornata quella di un tempo, che avesse finalmente superato il suo dolore. Quando gli fu abbastanza vicina le sorrise commosso e fece per abbracciarla. Nihal si tirò indietro, sottraendosi alla stretta.

«Che cosa vuoi?»

Sennar rimase spiazzato. «Come, che cosa voglio? Sono venuto a trovarti…»

«Avevi detto che saresti venuto ogni mese. Me lo avevi promesso.»

«Lo so, ma è stato più difficile del previsto, non ho…»

«Anche per me è stata dura, e questo è quanto. Non c’è altro da dirsi.»

Nihal si girò per andarsene ma Sennar l’afferrò per un braccio e la costrinse a fermarsi. Lei si liberò dalla stretta, poi esplose in un pianto rabbioso.

«Hai una vaga idea di che cosa siano stati per me questi mesi? Di quanto sia stata sola, di quanto mi sia sentita abbandonata? Ho pensato di tutto! Che fossi morto, che fossi partito per qualche posto irraggiungibile, che ti fossi dimenticato di me!»

Sennar la strinse al petto. «Perdonami.»

Lei si divincolò, ma le braccia del mago non la lasciarono.

«Perdonami. Ora sono qui.»

Solo allora Nihal si abbandonò all’abbraccio dell’amico. «Ti odio» gli disse sottovoce. «Mi sei mancato.»

Arrivati nello stanzino Sennar si sentì un verme per aver lasciato Nihal, la sua Nihal, in un posto tanto orribile.