Si sedettero. Avevano molte cose da dirsi.
«Avrei voluto venire da te subito, il primo mese, ma non ho avuto un attimo di requie. Venivo a Makrat solo il tempo necessario alle riunioni del Consiglio e poi dovevo scappare, perché nella Terra del Vento la situazione è insostenibile.»
Nihal quasi desiderava non sapere altro. Preferiva non sapere com’era ridotta la terra vivace in cui aveva vissuto.
Sennar invece le raccontò tutto. «Il primo giorno non volevo crederci: non riuscivo a capire come quel posto desolato potesse essere la Terra del Vento.
È stato molto brutto: volevo andare via, ma Dagon mi ha fatto coraggio. È stato come diventare di nuovo bambino: guerra, desolazione, la morte sempre al fianco, disperazione. Mi sembrava di essere tornato indietro di anni, e mi sentivo indifeso e sperduto come allora. Ma la cosa peggiore era ricordare com’era quel posto. L’aria fresca del mattino, la vita che brulicava nelle torri… Quei tramonti, ti ricordi?»
A Nihal sembrò di essere trascinata indietro nel tempo. «Erano magici. Si alzava il vento, il sole si tuffava nell’erba, la pianura si tingeva di rosso e…» La voce le morì in gola.
Sennar riprese con tono grave. «Non c’è più niente, Nihal. Tutto è avvolto dal fumo e dalla caligine. Ovunque avvampano incendi. Il sole quasi non si vede.
C’è un’atmosfera irreale. Spesso, dopo gli scontri, si vedono spuntare esseri delle razze più disparate. Si aggirano tra le macerie come fantasmi. Hanno perso tutto e vagano in cerca di salvezza. O forse della morte, chissà. E poi, il silenzio… Quando non si combatte tutto è avvolto dal silenzio. Ti ricordi che a Salazar non si riusciva mai a stare in pace? Il chiasso delle botteghe, il vocio della gente che parlava dei fatti suoi, la musica che usciva dalle taverne… Ora non si sente nessun suono che ricordi la vita.»
Il mago prese fiato.
«Il paese è spaccato a metà: da un lato c’è il nostro esercito, dall’altro la zona sotto il controllo del Tiranno. Di preciso non sappiamo cosa succeda lì, ma alcuni fortunati sono riusciti a superare il fronte senza essere uccisi. I loro racconti sono stati terribili. Pare che tutta la popolazione sia ridotta in schiavitù e lavori per sfamare l’esercito del Tiranno. Quel maledetto sta abbattendo la Foresta: con il legname costruisce armi e fa coltivare la terra diboscata dagli schiavi. Lavorano giorno e notte: quando non ce la fanno più spariscono e non se ne sa più niente. La zona è governata da un certo Dola, un despota che gode nel vedere la sofferenza della gente. Comanda anche l’esercito: è un guerriero imbattibile. Spesso combatte in prima linea, in groppa a un drago nero. Si dice che il Tiranno gli abbia dato il dono dell’immortalità: niente riesce a colpirlo, eppure è sempre in prima fila a decimare le nostre legioni. Il suo esercito è potente. Ci sono fammin, uomini, gnomi: combattono senza remore… sembrano avere in spregio anche la propria vita. Se finora abbiamo resistito è stato grazie all’abnegazione dei Cavalieri di Drago. Purtroppo, però, in questi sei mesi non siamo riusciti a riconquistare un solo brandello di terra.»
Quando Nihal parlò le tremava la voce: «Dimmi di Salazar…».
«Salazar non esiste più, semplicemente. Dopo il primo attaccò Dola ci ha rinchiuso i nemici che aveva catturato e l’ha fatta incendiare. Ha lasciato che bruciasse per giorni. Raccontano che prima dell’incendio abbia fatto mettere in fila i prigionieri. Ha chiesto loro di prostrarsi ai suoi piedi e di implorare pietà, perché avrebbe salvato la vita solo a chi si fosse sottomesso. Chi non ha obbedito subito è stato spedito nella torre. Degli altri una decina sono stati giustiziati comunque. A caso, pescati nel mucchio. Questo è Dola.»
Sennar guardò lo spicchio di cielo dalla feritoia.
«Ho creduto a lungo che il Tiranno volesse il potere. Pensavo che volesse regnare su tutto il Mondo Emerso. Ma dopo quello che ho visto ho capito che il potere non c’entra niente. Lui vuole la distruzione fine a se stessa.»
Le mani di Nihal erano serrate al punto che le nocche erano bianche. Il mago le prese tra le sue e le strinse con tenerezza.
«So cosa provi.»
Sennar le raccontò anche di sé e del suo ruolo nella Terra del Vento.
«Lavoravo a stretto contatto con l’esercito. Pensa che il mio diretto interlocutore era Fen! Con lui e con Dagon abbiamo pianificato molti attacchi per conquistare terreno, per indebolire il nemico. Tutto inutile, purtroppo. Ho dovuto usare spesso la magia: incantesimi collettivi sulle truppe, soprattutto, o sulle armi. È stato molto faticoso. Ci si svegliava all’alba e si finiva a notte fonda. E a volte di notte dovevamo spostarci o organizzare una difesa improvvisa. Non credere che non ti abbia pensato, Nihal. Ogni volta che arrivavo a Makrat speravo di riuscire a trovare il tempo di venire da te, ma poi il Consiglio, le riunioni, i maghi… e la guerra, che mi trascinava di nuovo nel suo turbine… e i miei occhi erano pieni solo di morte…»
Nihal lo ascoltava in silenzio. In compagnia di Sennar si sentiva come quattro anni prima, nel bosco. Non era più sola. I fantasmi che l’avevano ossessionata per tutto quel tempo sembravano essersi dileguati. Gli parlò dei giorni tutti uguali, dell’odio di Raven, dell’amicizia di Parsel, delle nuove armi che aveva imparato a usare.
Ma soprattutto dei sogni che continuavano a perseguitarla.
«Capisci, Sennar? È gente che è morta, che è vissuta, che è esistita davvero! Come posso ignorare il loro lamento?»
Sennar aveva sperato che il tempo l’avrebbe liberata dalle sue ossessioni, ma vedeva che Nihal non aveva ancora trovato il suo posto nel mondo.
A un certo punto sentirono bussare.
Dalla porta fece capolino un viso sorridente. Quando Laio vide che nella stanza di Nihal c’era un ragazzo restò di sasso. «Ah, hai visite, me ne vado.»
Sennar non fu meno stupito: aveva messo in conto che Nihal si facesse delle amicizie, ma l’arrivo di quel tipo lo incupì ugualmente. Che voleva?
«No, no, vieni. Lui è il famoso Sennar.»
Nihal si alzò e lo fece entrare. «E lui è Laio, mio compagno d’armi!»
Laio e Sennar si strinsero la mano con circospezione.
La mente del mago galoppava a briglia sciolta. Come si permetteva quel ragazzino di entrare nella stanza di Nihal senza preavviso? Erano in rapporti così stretti? Lei aveva detto che erano amici: amici quanto? Più lo guardava e meno gli piaceva.
Nella stanza ci fu un attimo di gelo. Improvvisamente Nihal provò qualcosa di strano: un senso di disagio, che però sembrava non appartenere a lei, ma a qualcun altro. Era come quando si ascolta il suono della propria voce: sappiamo che ci appartiene, eppure ci sembra estranea. Rimase interdetta.
«Sentite, perché non usciamo un po’? È o non è il mio giorno di riposo mensile?»
Andarono in giro per tutto il pomeriggio, nel frastuono di Makrat.
Nihal detestava tutta quella confusione e si sentì forestiera come il primo giorno. Sennar continuò a fare il sostenuto e a Laio parve d’essere di troppo.
Fu uno spiacevole pomeriggio.
Per Sennar giunse l’ora di andarsene. Lui e Nihal rimasero soli di fronte al grosso portone dell’Accademia.
«Così per un po’ resterai qui…» esordì Nihal.
«Sì. D’ora in poi cercherò di capire come si muove un consigliere in zona di pace. Ti potrò venire a trovare più spesso…»
«Be’, allora ci vediamo.»
Nihal detestava i saluti lunghi. Gli diede un bacio sulla guancia e fece per entrare, ma Sennar, in un impeto di coraggio, la fermò.
«Senti ma… in fin dei conti… chi sarebbe questo Laio?»
Nihal lo guardò stupita, poi scoppiò a ridere. «Cos’è, hai paura di essere sostituito? Laio è un ragazzino. E mi adora. Mi ha fatto sentire meno sola, e non gli interessa niente se io sia umana o mezzelfo. È una gran cosa, sai?»
«Sì, no, certo… Insomma, ero solo curioso. Tutto qui.»
Nihal rise ancora scuotendo la testa. Si salutarono contenti.