Salutò Nihal con una strizzatina d’occhio, poi si sottopose a una cerimonia assurdamente pomposa.
Aprì le danze uno dei cortigiani, insignito per quell’occasione del ruolo di ciambellano, con un lungo e inutile discorso sull’importanza di quell’evento.
Poi fu la volta dei Consiglieri: a uno a uno si alzarono e fecero la loro orazione, elencando le motivazioni che li avevano spinti a reputare Sennar degno della loro carica.
Al terzo consigliere gli astanti boccheggiavano già per la noia. Sembrava non finire mai: discorsi, salamelecchi, altri discorsi, attestazioni di stima, ancora discorsi.
Nihal, annoiata, si guardava intorno scrutando gli invitati.
La sua attenzione fu attirata da una ragazzina.
Doveva avere qualche anno meno di lei. Sembrava una bambina capitata per errore nei panni di una donna: bellissima, seria, piena di dignità. Sedeva su una specie di trono e Nihal pensò che fosse la figlia del re, che però non riusciva a scorgere da nessuna parte.
Lo stupore fu massimo quando, nel momento cruciale della cerimonia, la vide alzarsi, andare verso Sennar e fermarsi davanti a lui con un medaglione in mano.
«Io, Sulana, regnante della Terra del Sole, ti fregio del contrassegno dei servitori della libertà e della pace nel Mondo Emerso perché mai, da oggi, tu dimentichi per cosa operi.»
Così disse la ragazzina.
Poi ci fu un applauso. Sennar si inchinò, baciò la mano della regina e lei tornò al suo scanno con incedere lento e grazioso.
Sicché la regnante di quella terra era una bambina.
Nihal era sconcertata.
Un suo vicino, una sorta di damerino incipriato, notò il dubbio che le si era dipinto sul viso. «Stupita della giovane età della regina?»
«In effetti… credevo che ci fosse un re, o qualcosa del genere…»
Il cortigiano sospirò e assunse un’espressione patetica. «Un re ce l’avevamo, ma è morto in battaglia. Ah, che re! Combattivo ma attento alla pace, forte ma diplomatico… Ah, che perdita!»
Quel tipo era smorfioso in maniera irritante, ma Nihal era troppo curiosa. «E non c’era nessuno che potesse prendere la reggenza?»
«Oh, certo! Per un po’ fu il fratello del re a gestire il potere, ma il giorno del suo quattordicesimo compleanno, davanti a tutti i dignitari di corte riuniti in udienza davanti al reggente, Sulana dichiarò di voler salire al trono. Lo zio cercò di dissuaderla, ma lei non desistette: lo accusò di affamare il popolo e di speculare sulla guerra.»
«Ed era vero?»
Il cortigiano si chinò e le parlò in un sussurro, come se le stesse rivelando un segreto: «A dire il vero, sì».
Poi riprese il suo contegno affettato. «La regina disse che si sentiva pronta. Suo padre le era apparso in sogno e le aveva detto di prendere il potere per il bene della Terra del Sole. E in effetti, va detto, la regina governa in modo esemplare.»
Nihal era ammirata: una ragazza tanto saggia e matura da regnare su una terra intera!
«E voi? Sembrereste un guerriero. E di qualche razza sconosciuta, per di più!»
«Sì, sì, è una lunga storia. Vi prego di scusarmi, ma devo andare incontro a una persona…»
Nihal sgattaiolò via rapida come la folgore. Si avvicinò a Sennar, finalmente consigliere, e lo abbracciò sorridendo.
«Complimenti, mago da strapazzo! Il tuo sogno si è realizzato, alla fine!»
«Be’, sì. Anche se purtroppo niente è come nei sogni.»
«In che senso?»
«Il Consiglio non è proprio come l’avevo immaginato, sai? Anche lì c’è chi pensa solo al potere, o ai propri interessi. Non tutti, certo. Ma a volte la ristrettezza di vedute di alcuni Consiglieri mi avvilisce… Comunque per il momento non ci voglio pensare. Ora mi aspetta il fronte della Terra del Vento. Là c’è da rimboccarsi le maniche. Le beghe diplomatiche le affronterò a tempo debito.»
Nihal non capì esattamente cosa intendesse il suo amico. Per lei i Consiglieri erano tutti eroi dediti alla salvezza del Mondo Emerso, ma le parole di Sennar le lasciarono un vago senso di inquietudine.
La settimana seguente Nihal seppe che lei e Laio sarebbero partiti a giorni per la Terra del Vento. Sospettò quasi che Sennar ci avesse masso lo zampino e avesse fatto pressione perché lei fosse spedita nel suo territorio. La cosa non le dispiacque: c’era la probabilità di combattere sotto il comando di Fen, e questo la esaltava.
Si misero in cammino una mattina di fine estate.
Li caricarono tutti su un grosso carro in legno, coperto da un ampio telone sorretto da sostegni in ferro, in modo che non dovessero soffrire le avversità del tempo.
Il carro si accodò a una carovana di vettovagliamenti e soldati diretti al fronte e il viaggio ebbe inizio.
Attraversarono terre e paesi. Al loro passaggio la gente usciva incuriosita dalle case e i bambini li salutavano. I loro sguardi erano ignari, come se quel carro non fosse un segnale della guerra imminente ma una semplice bizzarria.
Ai villaggi si sostituirono i boschi della Terra del Mare, poi i verdissimi campi della Terra dell’Acqua. Nihal stringeva la spada e pensava a Livon.
Lo ricordava nella fucina, quando ancora le sembrava un gigante, nero di fuliggine e circondato dalle scintille del metallo battuto. Ripensava alle sue sere di bambina, quando le raccontava storie di guerra. E ricordava i loro combattimenti, grazie ai quali aveva iniziato ad amare la spada. Infine rivide la scena della sua morte e, in viaggio verso le incognite e i rischi della battaglia, si aggrappò alla sua rabbia.
Dai dolci panorami della Terra dell’Acqua si passò alla steppa.
Per un istante Nihal credette che la sua Terra fosse lì ad attenderla, esattamente com’era quando lei l’aveva lasciata più di un anno prima, ma le parole di Sennar le ronzavano nel cervello: Il primo giorno non volevo crederci: non riuscivo a capire come quel posto desolato potesse essere la Terra del Vento. Ma la cosa peggiore era ricordare com’era…
Ben presto ne capì davvero il senso.
Prima fu il vuoto e il silenzio. Leghe e leghe di pianura deserta, coperta di erba gialla, come bruciata dal sole. La luce era poca anche a mezzogiorno e filtrava a stento attraverso coltri spesse di fumo.
Poi iniziarono a comparire le prime rovine. Moncherini di torri annerite dalle fiamme, pezzi di muri abbattuti e, tra le rovine, occhi sperduti che scrutavano terrorizzati la carovana. Campi abbandonati in balia dei corvi, appezzamenti bruciati da cui si levavano tronchi carbonizzati.
Infine, i cadaveri. Contadini, per lo più, e bambini, e donne. A volte soldati. Attorno a quei corpi morti, i vivi frugavano saccheggiando tutto ciò che trovavano.
La piana che Nihal aveva ammirato tante volte dal tetto di Salazar ora era gravata da una cappa di morte.
Non appena la carovana aveva iniziato a inoltrarsi in territorio di guerra, gli aspiranti cavalieri a bordo del carro erano ammutoliti.
Anche Laio guardava fuori sempre più spaventato. Tutta quella distruzione gli era quasi incomprensibile.
«Era qui che abitavi?»
Nihal aveva annuito in silenzio.
Dopo molte leghe di viaggio giunsero in vista delle prime fortificazioni e degli accampamenti dell’esercito. Attorno a ciascuna di esse erano sorte piccole comunità di sopravvissuti. Bambini cenciosi smettevano di aggirarsi stanchi intorno alle tende per lanciarsi al seguito della carovana, chiedendo qualcosa da mangiare.
La prima volta i ragazzi nel carro avevano gettato loro parte delle scorte, ma un comandante li aveva ripresi duramente.
«Piantatela! Ce ne sono a migliaia da qui all’accampamento. E questa non è roba vostra. Se avete il cuore tenero, avete sbagliato mestiere.»
Fino a quel momento avevano dormito nel carro, fermandosi lungo la strada. Ma ora che si trovavano in territorio di guerra viaggiavano finché non incontravano un accampamento dove trascorrere la notte, per poi ripartire alle prime luci dell’alba.