Allora fu travolta da un oceano di sensazioni: nostalgia, assenza, rimpianto. Rivoleva indietro l’infanzia, i giochi, l’innocenza, la pace. D’un tratto la sua vita le parve meravigliosa. Ebbe paura di morire, di perdere tutto quel che aveva avuto fino allora.
Prima di quella notte aveva guardato alla sua vita con tristezza: il dolore dell’ultimo anno, gli incubi, la condanna a essere l’ultima di un popolo intero.
Ma ora non voleva morire.
Ora guardava la luna piena, brillante quasi da ferire gli occhi, e pensava a come sarebbe stato bello rinunciare alla guerra e tornare a essere la ragazza che in realtà non era mai stata. Che c’era di male? Basta con le armi, la morte, i doveri. Sarebbe potuta andare a vivere nella Terra del Sole, e magari pensare all’amore, trovare un ragazzo con cui vivere, fare figli e morire di vecchiaia, felici di aver vissuto una vita piena.
Che cosa c’era di sbagliato? Nulla.
Eppure non poteva. Non poteva vivere in pace quando tutta la sua gente, uomini, donne, bambini, era stata spazzata via da un odio feroce e immotivato. Non poteva guardare la vita scorrerle sotto gli occhi quando nel Mondo Emerso continuavano a compiersi le peggiori crudeltà.
Poi tutto ridivenne reale: la torre riebbe il suo aspetto di rudere, l’ulivo tornò a essere un albero in mezzo alle erbacce.
Il sogno di una vita normale era finito.
Nihal seppe che quella notte sarebbe diventata un guerriero.
Si sciolse la lunga treccia blu, che per anni non aveva visto le forbici. Guardò quel fiume di capelli che le scendeva oltre i fianchi. Erano capelli da regina, quelli di cui cantano i menestrelli, in cui gli amanti annegano dolcemente.
Prese la spada.
Le ciocche caddero a terra una per volta, lentamente.
Quando ebbe finito, in testa aveva una zazzera corta e arruffata.
Gettò i capelli in fondo al giardino.
Laio si svegliò al secondo suono del corno e la vide in piedi di fronte alla sua branda. Rimase a bocca aperta.
«Nihal! Che cosa hai fatto?»
«I capelli lunghi sono scomodi in battaglia. Ora alzati, o non sarai pronto per la rivista.»
Poi Nihal si sedette in un angolo. Si sentiva stranamente serena: aveva preso la sua decisione, nulla poteva più smuoverla. Prese un lungo drappo di stoffa nera e si mise davanti lo scudo che avrebbe usato in battaglia. Anche se un po’ deformata, riusciva a scorgere la sua immagine riflessa: quando si guardò le venne un groppo in gola. Sciocchezze. Finiscila di fare la stupida.
Iniziò a fasciarsi strettamente la testa fino a quando non se ne riuscirono più a intravedere i dettagli. Di sicuro l’avrebbero notata, perché era mascherata e perché era una donna, ma nessuno avrebbe potuto riconoscere in lei un mezzelfo.
Il ragazzino era ancora seduto sulla branda e la osservava con gli occhi sgranati.
Nihal si guardò per un’ultima volta: i suoi occhi spiccavano sul nero della stoffa. Non si era mai accorta di quanto fossero belli. Insomma, Nihal! Basta con la vanità.
Quando le truppe si misero in marcia era ancora notte fonda.
Dovevano raggiungere l’accampamento stanziato sotto le mura della fortezza da espugnare. Per Nihal significava solo una cosa: andare da Fen.
Marciarono nel più assoluto silenzio e nel giro di un’ora furono in vista del campo: era ben più grande e organizzato di quello in cui avevano passato la notte. Al suo interno si respirava un’aria di efficienza mista a tensione. Fra i molti che giravano per l’accampamento preparandosi all’attacco, Nihal cercò Fen scrutando chiunque incrociasse.
Infine lo vide uscire da una tenda, l’armatura dorata e un’espressione seria sul volto. Sgattaiolò dalla fila cercando di non farsi vedere dal suo supervisore e gli si avvicinò. «Fen?»
Il cavaliere guardò sospettoso la figura mascherata che gli si parava davanti. Per un attimo Nihal aveva sperato che lui la riconoscesse anche così bardata. Aprì il mantello e gli mostrò il corpetto che la qualificava come recluta.
«Sono io…»
«Nihal!»
Il cavaliere le porse la mano e gliela tenne stretta a lungo. «È la tua prima battaglia, vero?»
La ragazza annuì. Si sentiva le ginocchia molli.
«Cerca di non rischiare più del dovuto, Nihal. Avrai mille occasioni per metterti in luce in futuro. Ti penserò, quando sarò in volo.»
A Nihal sembrava di sognare, ma l’urlo del suo supervisore la richiamò alla realtà. «Devo andare…»
Fen le lasciò la mano. «Buona fortuna.»
Le reclute si accodarono agli altri fanti di seconda linea.
Era un gruppo piuttosto eterogeneo: c’erano uomini, gnomi, perfino folletti che prestavano servizio come spie. Poi c’erano guerrieri di tutte le età: giovani di primo pelo, ma anche adulti e addirittura qualcuno che si avviava verso la vecchiaia.
Venne loro ripetuta la strategia: avrebbero atteso l’inizio dell’attacco e sarebbero entrati solo dopo l’azione della prima linea, introducendosi nel castello.
Nihal era concentrata. La sua testa andava lentamente svuotandosi. Aveva un unico pensiero: la battaglia. Non aveva più paura, non era emozionata né impaziente: pensava solo a quello che avrebbe dovuto fare.
Si appostarono.
Sotto la linea dell’orizzonte un debolissimo chiarore segnalò che l’alba stava per sorgere. Subito dopo gli arcieri Nihal intravide i cavalieri sui propri draghi, immobili in attesa del segnale.
La roccaforte non era che una torre meno malmessa delle altre; era stata fortificata con vari contrafforti che ne rendevano la sagoma tozza e minacciosa. Al suo interno tutto sembrava tacere: lo stesso silenzio teso accomunava i due schieramenti nemici.
Poi, all’unisono, gli arcieri scoccarono le loro frecce e i cavalieri si alzarono rapidi in volo.
Gli istanti che separarono l’inizio dell’attacco dal momento in cui le frecce e i cavalieri raggiunsero la fortezza sembrarono interminabili.
All’improvviso dalla roccaforte iniziarono a partire enormi proiettili di fuoco lanciati dalle catapulte e si abbatterono a pochi metri dalla prima linea. Poi uno stormo di esseri volanti si alzò dalle mura della torre.
«Maledetti uccellacci!» imprecò il vicino di Nihal.
«Che cosa sono?»
«Non lo sappiamo neanche noi. Li chiamiamo “uccelli di fuoco”. Non sono particolarmente pericolosi, ma sputano fiamme e impegnano gli arcieri. E quando i fanti entrano in azione sono meno coperti.»
La strategia d’attacco venne rivista immediatamente: il generale che li aveva accolti la sera precedente ordinò alla prima fila di fanti di attaccare subito. La seconda fila rimase in attesa, pronta a scattare.
Il fragore aumentò a dismisura. Poi, all’improvviso, numerose zolle di terreno parvero deformarsi e infine sollevarsi: dalla terra emersero come scarafaggi centinaia di fammin urlanti. Le bestie invasero in un attimo tutto lo spazio antistante la torre, prendendo i soldati alle spalle.
Incalzata dal rumore della battaglia, il cuore che le scoppiava in petto, Nihal sentì fortissimo l’impulso a combattere. L’attesa era snervante, ma senza un ordine non potevano partire all’attacco. Era la prima cosa che le avevano insegnato: rispettare gli ordini. Vide i cavalieri impegnati sulle loro creature alate e le sembrò quasi di distinguere Fen. Poi guardò Laio, che le era accanto: tremava e stringeva i denti sulle labbra fino a farle sanguinare.
«Stai calmo, non temere» gli disse, ma anche lei non riusciva a tenere a bada quel misto di paura, voglia di combattere ed esaltazione.
Poi, improvviso, giunse l’ordine.
Un grido e la loro truppa partì all’attacco.
Nihal iniziò una folle corsa lungo tutto il campo.
Vide confusamente centinaia di persone davanti alla torre.
Vide i fammin avvicinarsi sempre più.