Da quando aveva conquistato il pugnale di Livon, Nihal era ancora più ammirata: se ne andava in giro con la lama che le pendeva al fianco, sentendosi forte come un cavaliere. Varie volte l’aveva messo in palio come premio in qualche zuffa e si vantava di non aver mai perso un incontro.
Una mattina del suo tredicesimo autunno Barod andò a chiamarla proprio per quel motivo: un ragazzo mai visto voleva sfidarla per il possesso del pugnale. Nihal non se lo fece ripetere due volte e si recò baldanzosa sul tetto di Salazar, luogo deputato allo svolgimento di tutti i suoi duelli.
Quando vide il suo avversario quasi le venne da ridere: alto e magro, doveva avere un paio di anni più di lei e sfoggiava una spettinatissima zazzera rossa. Le bastò un’occhiata per capire che la carta vincente del suo avversario non era certo la forza. E tanto meno l’agilità, visto che indossava una sorta di ingombrante casacca che gli cadeva giù fino ai piedi, fregiata con un ricamo geometrico sul petto. Come si poteva combattere vestiti in quel modo?
L’unica arma segreta di quel tizio poteva essere una certa astuzia, che Nihal intravide nei suoi chiarissimi occhi azzurri, ma non se ne preoccupò: di nemici sleali ne aveva battuti non pochi.
«Sei tu che mi hai fatta chiamare?»
«In persona.»
«E mi vorresti sfidare.»
«Esattamente.»
«Sei di poche parole. Non ti ho mai visto qui: di dove sei?»
«Vengo dal margine della Foresta, ma la mia patria è la Terra del Mare. Mi chiamo Sennar, per rispondere alla tua prossima domanda.»
Nihal non capiva perché quel tizio fosse così sicuro di sé: la conosceva di fama, altrimenti non l’avrebbe sfidata, quindi era da escludere che la sottovalutasse.
«Chi ti ha parlato di me, e perché mi vuoi sfidare?»
«Qui tutti parlano del demone con le orecchie a punta e i capelli blu che picchia come un fabbro. Di’ un po’, hai per caso scordato di essere una ragazza?»
Nihal strinse i pugni: sapeva che era controproducente perdere le staffe prima della battaglia e Sennar, con quel tono canzonatorio e quel sorrisetto sarcastico stampato sulle labbra, mirava proprio a quello.
«Quel che faccio sono affari miei, e poi non mi hai ancora risposto: perché mi sfidi?»
«Guarda, non mi interessa un fico secco di tutte le sciocchezze di gloria e onore che frullano per la testa ai bambini che si azzuffano con te. Io voglio il tuo pugnale, perché è bello e perché l’ha fatto Livon, che è il miglior armaiolo del Mondo Emerso. Se per averlo devo giocare con te, ben venga.»
A Nihal prudevano le mani, ma non rispose alle provocazioni. Si accordò con Sennar per le modalità dello scontro. Una volta iniziato il duello avrebbe potuto dargliene quante voleva.
Decisero di battersi coi bastoni: il primo a essere disarmato o a cadere a terra sarebbe stato sconfitto. Il pugnale, trofeo della contesa, fu solennemente consegnato al più giovane tra gli astanti.
«Ti toglierai la tunica, immagino.»
«Ci sono abituato. Per cui, se non ti senti umiliata a essere sconfitta da uno bardato così…»
Nihal ingoiò l’ennesimo rospo. Poi la lotta ebbe inizio.
Come previsto, Sennar non era forte, non era agile e quanto a tecnica era inferiore a lei. E allora cosa accidenti lo rendeva così sicuro?
Nihal fu presto in vantaggio: approfittava della sua rapidità per spostarsi di continuo, disorientando l’avversario. I ragazzini intorno la incitavano con urla e fischi. A poco a poco sentì che la battaglia la eccitava sempre di più, finché la foga non la travolse: aumentò la velocità dei movimenti, parò, si girò, colpì Sennar al fianco e si preparò a spezzare il bastone che il ragazzo sconosciuto aveva levato in alto per proteggersi dal colpo imminente.
È fatta! si disse trionfante.
Bastò quell’attimo di sicurezza per farle sfuggire la vittoria dalle mani.
Sennar la guardò negli occhi con uno sguardo gelido, abbozzò un sorriso e mormorò qualcosa che Nihal non comprese.
Proprio mentre si accingeva a calarlo su Sennar, la ragazzina sentì il bastone afflosciarsi tra le sue mani e farsi viscido e strisciante. Alzò gli occhi: al posto della sua arma c’era un grosso serpente che si contorceva soffiando.
Nihal cacciò un urlo e mollò la presa. Fu un istante, ma Sennar non se lo lasciò sfuggire: uno sgambetto e la ragazzina cadde a terra, sconfitta per la prima volta in vita sua.
«Mi pare che ci sia un vincitore.»
Sennar prese il pugnale dalle mani del bambino che lo custodiva.
Per un po’ Nihal rimase come impietrita. Poi si riscosse e si guardò attorno. Di serpenti non c’era traccia.
«Stramaledettissimo baro, sei un mago! Non me lo avevi detto! Sei sleale! Rivoglio il mio pugnale!»
Si rialzò di scatto per saltargli addosso ma Sennar la fermò con una mano. «Invece di urlare dovresti ringraziarmi per la lezione. Mi hai chiesto se ero un mago? No. Hai detto: “Io coi maghi non mi batto”? No. Hai posto come regola del combattimento di non usare la magia? No. E allora se hai perso è solo colpa tua. Oggi hai imparato che prima di battersi bisogna conoscere bene il proprio nemico. E che la forza non è niente senza l’intelligenza. E ora smettila di piagnucolare: Livon te ne farà di sicuro un altro.»
Mentre si allontanava aggiunse: «Comunque sei forte, non c’è che dire» e se ne andò con la stessa flemma con cui era arrivato.
Nihal rimase immobile. Poi dal silenzio imbarazzato del pubblico si levò la voce di Barod: «Mi dispiace, Nihal, ma quel tizio ha proprio ragione».
Per tutta risposta Nihal gli sferrò un sonoro pugno sul naso e scappò via in lacrime.
Scese lungo la torre correndo a perdifiato. Urtò passanti, scavalcò bancarelle, abbatté una giara d’olio fuori da una locanda. Tutto quello che voleva era rifugiarsi tra le braccia consolatrici di Livon: lui l’avrebbe capita e difesa, avrebbe concordato con lei che quel ragazzino era stato un vile e le avrebbe dato un pugnale mille volte più bello di quello che aveva perso.
Livon ascoltò in silenzio tutta la storia, che Nihal snocciolò tra lacrime e singhiozzi, e alla fine se ne uscì con un commento del tutto inatteso: «E allora?».
Ci volle un po’ perché Nihal incassasse il colpo. «Come sarebbe “e allora”? Mi ha imbrogliata!»
«Non mi sembra proprio. Piuttosto, lui è stato furbo e tu ingenua.» Nihal sgranò gli occhi indignata.
«Oggi hai imparato due cose. Primo, se tieni davvero molto a una cosa, devi tenertela stretta.»
«Ma…»
«Secondo, quando si duella bisogna mettere bene in chiaro le cose e conoscere il proprio nemico.»
Le stesse identiche parole che le aveva detto quella serpe.
«Perdere fa parte della vita, Nihal, è meglio che ti ci abitui. Bisogna saper accettare anche le sconfitte.»
Nihal si sedette in malo modo su una sedia, imbronciata. «Almeno mi darai una spada…»
«Una spada? Non è colpa mia se hai perso il pugnale che ti avevo dato. La prossima volta farai più attenzione.»
«Ma l’avevo conquistato con tanta fatica! E poi tu hai tante di quelle spade che…»
Livon la zittì con un gesto. La sua faccia era seria. «Non voglio più sentir parlare di questa storia, chiaro?»
Nihal si chiuse in un silenzio astioso, mentre calde lacrime di rabbia le solcavano le guance.
Rimase pensierosa per tutta la notte. La sconfitta le bruciava terribilmente, ma soprattutto non si perdonava di essersi messa a piangere. Si girava e rigirava nel letto. Il desiderio di cancellare quell’onta non le dava tregua. Avrebbe quasi voluto saltare fuori dalle lenzuola e mettersi a cercare quel tizio ovunque fosse, dovesse pure arrivare in capo al mondo.
Fu proprio mentre si macerava tra un progetto di vendetta e l’altro che le venne l’idea: tutta quella storia in fin dei conti provava che un guerriero era tenuto a padroneggiare almeno un po’ le arti magiche. Urgeva dunque apprendere la magia.
In realtà Nihal non aveva mai provato alcun interesse per la magia. Il fascino di una spada le sembrava infinitamente più grande di quello effimero di un incantesimo ben riuscito. Ora però si rendeva conto che poteva tornarle utile. E poi, battere quella canaglia sul suo stesso terreno sarebbe stata una soddisfazione somma.