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Ritrovò in sé tutto il furore, l’odio, la rabbia. E iniziò a combattere.

Nihal sapeva bene che in duello si dimentica tutto, ma lì, sul campo di battaglia, era una cosa completamente diversa.

Non aveva fisicamente il tempo per pensare: si muoveva come una macchina, dominata dalla furia. Tutta la sua esistenza si riduceva al suo solo essere fisico, al trovarsi lì e all’uccidere. I fammin le venivano incontro da ogni lato. La spada nera roteava in tutte le direzioni, colpendo con precisione: Nihal sapeva in ogni istante chi aveva vicino, chi doveva colpire e in che modo.

Abbatté il primo nemico di slancio, spinta dall’impeto della corsa. Quindi ne vennero infiniti altri, senza interruzione.

Non aveva coscienza che di sé. Avanzava sul campo passo dopo passo, abbatteva nemico dopo nemico. Era una mischia infernale. Uomini si gettavano su altri uomini, fammin saltavano al collo dei soldati. Quelle bestie non si limitavano a colpire con le spade e le asce: dilaniavano con i denti, laceravano con gli artigli, infierivano persino su chi era già stato abbattuto.

A terra centinaia di corpi: uomini, fammin, gnomi. L’erba era rossa e viscida. Fiotti vermigli cadevano sul campo come pioggia. Ma Nihal pensava solo a combattere, a uccidere, a guadagnare la pianura metro dopo metro insieme agli altri soldati, calpestando i caduti e sporcandosi del loro sangue.

Non aveva paura, non era inorridita da ciò che vedeva, dalla morte che la circondava, dalla sofferenza dei feriti. Avanzava menando fendenti e abbattendo nemici: nient’altro aveva importanza.

Poi iniziò a percepire anche quello che le accadeva intorno.

Dalle ombre proiettate sul suolo riuscì a capire la posizione dei Cavalieri di Drago e delle creature alate che provenivano dalla torre.

Nel clamore della battaglia cominciò a distinguere sempre più chiaramente gli ordini che venivano urlati dal generale.

Dopo un tempo indefinito si ritrovò sotto le mura. Una colata di olio bollente le sfiorò un braccio.

Aveva le spalle momentaneamente coperte, così ebbe il tempo di guardare in alto: a intervalli regolari i fammin svuotavano enormi pentoloni di olio sui combattenti. Si sentivano al sicuro: la pioggia di frecce si era diradata, gli arcieri iniziavano a non avere più munizioni.

Nihal corse intorno alla torre fino a trovare una sorta di nicchia in cui si nascose. Riprese fiato, quindi si sporse fuori dal suo rifugio.

Riusciva a vedere un fammin, ma colpirne uno non bastava: per avere accesso alle mura bisognava sguarnire almeno un lato della torre.

Si guardò febbrilmente intorno.

Non lontano da lei c’era un soldato caduto dalla torre. Accanto a lui, un arco. Nihal corse fuori dal nascondiglio, evitando con agilità l’olio bollente che pioveva a intervalli regolari, quindi tornò a ripararsi.

Parecchie frecce giacevano al suolo o infisse negli interstizi tra le pietre delle mura. Nihal prese le più vicine e se le assicurò alla cintura. Poi incoccò la prima e scattò fuori. Quando uno dei fammin entrò nel suo campo visivo, la freccia lo colpì in pieno. La bestia cadde verso l’interno.

Incoccò immediatamente un’altra freccia.

Anche il secondo colpo andò a segno, ma Nihal non ebbe il tempo di esultare. Alle sue spalle un fammin ringhiava e brandiva un’ascia insanguinata. La ragazza si mise l’arco a tracolla cercando freneticamente l’elsa della spada con la mano libera.

Il mostro le fu subito addosso. La incalzava senza darle il tempo di attaccare. Nihal cominciò a retrocedere. Parava un colpo dopo l’altro incespicando all’indietro.

Poi il generale planò rapido con il suo drago.

Trafisse il mostro con una lancia, agguantò Nihal per un braccio e la caricò sulla sella.

L’animale batté le ali potenti. Si innalzarono.

Stretta al pomolo dell’arcione la ragazza riprese fiato e osservò il campo di battaglia dall’alto: i fammin impedivano di avvicinarsi alle mura e la pioggia di frecce scemava sempre di più.

«Farò un giro largo intorno alla torre e tu li colpirai» le disse il generale.

«Sono pronta.»

Nihal incoccò la freccia e prese la mira. Il colpo andò a segno.

Tirò ancora, e ancora, e altri due nemici caddero dalla torre.

Poi sentì un senso di bruciore a una gamba. Una freccia l’aveva ferita di striscio.

«Hanno capito cosa vogliamo fare, dannazione! Tienili impegnati. Io mi occupo dell’olio bollente.»

Nihal prese dal cinturone le ultime due frecce che le restavano e le scoccò una dopo l’altra.

Il cavaliere non perse tempo. Scagliò con violenza la sua lancia contro uno dei pentoloni, che cadde verso l’interno del pozzo centrale della torre. Si udirono urla disperate di dolore.

Il drago tornò subito verso i fammin.

«Generale…» urlò Nihal.

«Ancora un fammin!»

«Non ho più frecce, generale…»

Il militare si lasciò sfuggire un’imprecazione. «D’accordo, ti riporto a terra.»

Nihal si ritrovò di nuovo sotto le mura, nel mezzo della battaglia. Sfoderò la spada e riprese a combattere.

Si unì al gruppo che stava dando l’assalto all’ingresso. Alcuni tentavano di sfondare il portone di legno con l’ariete, ma erano continuamente intralciati dai fammin.

Nihal si stava battendo con uno di loro quando sentì un suono inaspettato su un campo di battaglia: sembrava l’urlo di un bambino.

«Laio!»

Anche il ragazzino si trovava sotto le mura.

Iniziata la battaglia era partito all’attacco come tutti, ma poi si era ritirato dietro un cespuglio, tremante. Il supervisore l’aveva visto e l’aveva costretto ad andare all’attacco del portone insieme agli altri fanti. Ora era lì, come inebetito. La spada gli era sfuggita dalle mani.

«Scappa!»

Nihal lo raggiunse.

«Vuoi scappare sì o no?» gli urlò furiosa.

Laio si riscosse e prese a fuggire verso l’accampamento. Non sarebbe mai riuscito a raggiungerlo se il supervisore non avesse avuto pietà di quel ragazzino, sbattuto in guerra contro il suo volere. Lo raccolse al volo e lo caricò sul suo drago.

«È tutto finito. Sei salvo. È tutto finito.»

Laio si strinse a lui e iniziò a piangere disperato.

Nihal aveva raccolto la spada dell’amico e stava combattendo con due lame. Era stanca e piena di ferite.

Sentì uno schianto. Il portone iniziava a cedere. Presto avrebbero preso la fortezza. Il campo di battaglia era pieno di fammin abbattuti, e l’esercito si avviava a conquistare l’avamposto.

Si fece forza, ma le bruciavano gli occhi. Improvvisamente sembrava essere calata una fitta nebbia. Faceva un caldo infernale. L’aria era impregnata di un forte odore di fumo. Iniziò a tossire. Non si respirava più.

«Che diavolo…»

Un ultimo colpo d’ariete e il portone si spalancò.

Dall’apertura si sprigionò un’immensa fiammata.

I fanti di prima linea furono arsi vivi, come pure i soldati che reggevano l’ariete.

Gli occupanti della fortezza avevano preferito incendiarla piuttosto che lasciarla in mano nemica.

L’esercito batté in ritirata.

I Cavalieri di Drago si allontanarono a uno a uno incalzati dalla catapulta.

Mentre correva con gli altri verso l’accampamento, Nihal non vide che alcuni di loro, colpiti dalle palle di fuoco, precipitavano rovinosamente oltre la torre.

16

Un nuovo dolore.

Il fuoco abbracciò la torre come una creatura vivente. La strinse sempre di più avvolgendosi intorno al suo profilo e infine la fece sua del tutto. Le fiamme levarono i loro tentacoli al cielo. I mattoni cedettero e la costruzione si ripiegò su se stessa dissolvendosi in una nube di fumo e polvere.

L’esercito osservò la scena dall’accampamento e quando l’edificio crollò levò un grido di vittoria. Anche Nihal alzò la sua spada al cielo. Di fronte a quello spettacolo di distruzione le si dipinse un sorriso sul volto.

Il generale la affiancò. «Hai svolto bene il tuo compito» le disse rudemente, e Nihal seppe di avercela fatta. Ora avrebbe avuto il suo drago, avrebbe imparato a governarlo e si sarebbe consacrata totalmente alla battaglia. In quel momento pensava solo ai nemici che aveva ucciso e al suo trionfo: non pensava a Sennar lontano, né a Laio che era scampato alla morte, né a Fen. Pensava alla vendetta: quel giorno i mezzelfi si erano presi la loro prima rivincita.