Anche il supervisore le si avvicinò. «Sarai contenta, hai superato la prova. Devo ammettere che ti sei comportata bene sul campo. Il tuo amico, però… non è molto in sé, ecco. Vai a dargli un’occhiata.»
«Sì, signore. Grazie, signore» rispose in fretta Nihal. Poi si mise a correre.
Trovò Laio rannicchiato in un angolo della tenda. Singhiozzava e tirava su col naso. Si avvicinò cauta, ma egli sussultò ugualmente. Gli si accoccolò a fianco e prese ad accarezzargli la testa.
«È tutto finito, piccolo. Non devi avere paura. Ora potrai parlare con tuo padre. Gli spiegherai quello che provi. Andrà tutto bene.»
Lui la guardò: aveva gli occhi gonfi e arrossati dal pianto. «È stato terribile. Non credevo che potesse essere così: tutta quella gente che moriva… i fammin che correvano dappertutto… e i ragazzi che venivano uccisi, e cadevano a terra uno dopo l’altro… È orribile, Nihal! Orribile!»
Nihal non sapeva cosa dirgli. Era tutto vero. Era davvero orribile: la morte, il sangue, i fammin. Ma era la guerra.
«Perché deve accadere tutto questo? Perché il Tiranno ci odia? Perché odia anche chi non gli ha fatto nulla?»
«Non c’è un perché, Laio. Ci odia e basta. Per questo si combatte.»
«Già, si combatte… Di’ piuttosto che voi combattete, perché io non ho il coraggio di farlo! Ho avuto paura, ho messo in pericolo la tua vita… Mi odio! So che bisogna combattere, ma so anche che non ce la faccio. Mi sento un codardo. Come posso vivere in pace dopo quello che ho visto oggi?»
«Non tutti sono tenuti a combattere, Laio. Si può aiutare il nostro mondo in tanti modi: pensa ai Consiglieri, o ai regnanti delle Terre libere. Loro non usano le armi, ma lo stesso fanno tanto per la libertà del Mondo Emerso. Anche tu troverai il modo di essere utile.»
Laio riprese a piangere sommessamente.
All’improvviso il campo sembrò in preda all’agitazione.
Nihal la percepì dallo scalpiccio frenetico di passi appena fuori dalla tenda. Si affacciò. I soldati erano tutti fuori dai loro alloggiamenti.
«Ehi, tu! Cosa succede?»
Il giovane scudiero non si fermò neppure.
«Abbiamo perso dei cavalieri» rispose affannosamente, e riprese il suo cammino.
Un pensiero attraversò la mente di Nihal come un lampo: Fen. Non l’aveva visto dopo la battaglia. Non essere ridicola. Non gli è successo niente. Ma una strana irrequietezza si impadronì di lei. Uscì dalla tenda e vagò per il campo, tra il viavai di soldati e scudieri sempre più agitati, finché non vide una piccola folla che si accalcava davanti alla tenda del comando generale.
Si avvicinò anche lei pregando di sentire, tra le altre che provenivano dall’interno, la voce di Fen. Udì parole indistinte, voci concitate che si sovrapponevano, ma nessuna che avesse il timbro di quella di Fen.
Si rivolse a una delle reclute. «Sai cosa è successo?»
«Credo che parlino della battaglia. Non è andata bene come sembrava. Sono morti un sacco di fanti, un Cavaliere di Drago è ferito gravemente e altri quattro sono dispersi.»
Nihal si sentì il cuore in gola.
«Sai il nome dei cavalieri?»
«Uno è un certo Dhuval… un altro mi pare si chiami Pen, Ben, qualcosa del genere… e mancano anche…»
Nihal agguantò il ragazzo per il collo senza dargli neppure il tempo di finire la frase. «È Fen?»
«Ehi! Che accidenti ti piglia!»
«È Fen il nome?» ripeté alzando la voce.
«Può essere, non lo so!»
Nihal lasciò la presa e corse come un’invasata verso l’infermeria.
Non sapeva di preciso dove si trovasse, ma continuava a correre perché sentiva che se si fosse fermata sarebbe uscita di senno.
Passò in rassegna tutte le tende finché non giunse a un grande padiglione. Entrò. Un mago recitava incantesimi di guarigione accanto a un moribondo. Nihal lo afferrò per una spalla, interrompendolo.
«Chi è il cavaliere ferito?»
«Sei per caso impazzita?»
«Chi è? Ti prego, dimmi il suo nome!»
Il mago la guardò: quella ragazzina era fuori di sé. «È Dhuval, un veterano. Ma ferito lo sarà ancora per poco: gli incantesimi non stanno sortendo alcun effetto.»
Nihal uscì di corsa. Non sapeva se gioire o disperarsi. Finché non si trova c’è speranza. Può darsi che si sia attardato nella battaglia… o che Gaart sia ferito e non possa riportarlo indietro… Non gli è successo niente. È sano e salvo. Non gli è successo niente. Continuò a correre a perdifiato. Correva e pregava che Fen non fosse morto. Quando raggiunse la tenda del comando, il generale stava interrogando un giovane.
«E quando l’avresti visto?»
«Quando il portone è stato abbattuto e l’esercito ha iniziato a ritirarsi. C’erano dei cavalieri che sorvolavano la torre.»
«Sei sicuro di quel che dici?»
«L’abbiamo visto in tanti, signore: la catapulta lo ha colpito ed è caduto sulla torre in fiamme.»
«Sei sicuro che fosse lui?»
«Sì, signore. Ho riconosciuto chiaramente il suo drago. Era Fen.»
Fu allora che Nihal iniziò a gridare facendosi largo tra i soldati. «No! Non è possibile! Fen ha combattuto migliaia di battaglie e ne è sempre uscito illeso.
Non è morto! Non può essere morto! Lo hanno fatto prigioniero! Sì, lo hanno preso, dobbiamo cercarlo! Lui è il mio maestro! Non è morto! Non è morto!»
Continuò a urlare, la voce rotta dai singhiozzi, le guance solcate dalle lacrime.
Il generale l’afferrò con forza per le spalle e la scosse. «Sta’ buona!
Calmati!»
Allora Nihal crollò in ginocchio, lasciandosi andare a un pianto disperato. Il generale la guardò con pietà, poi la fece accompagnare alla sua tenda da un giovane soldato, perché vegliasse su di lei.
Nihal pianse senza ritegno. Quando si fu calmata si rannicchiò in un angolo, la testa fra le ginocchia, in silenzio. Voleva rinchiudersi in se stessa, non pensare a niente. Ma le immagini di Fen la tormentavano: rivedeva il suo sorriso, risentiva la sua voce. Le tornavano in mente i momenti che avevano passato insieme negli ultimi mesi, il modo in cui l’aveva salutata prima di iniziare la sua ultima battaglia, la prima volta che si erano incontrati, i loro duelli e una miriade di altri momenti insignificanti.
Il soldato che stava con lei la guardava impietosito.
Aveva sentito parlare di lei: una specie di strega che apparteneva a una razza estinta e combatteva come un uomo, leggiadra come una ninfa e letale come uno scorpione. Quando l’aveva vista per la prima volta era rimasto colpito da quanto fosse esile. Era una strana creatura, ma era bella come dicevano. Poi l’aveva vista sul campo e aveva quasi creduto che fosse davvero una strega: non gli pareva possibile che una ragazza sapesse tirare di spada in quel modo.
Ma ora che la vedeva lì, disperata, gli sembrava semplicemente una ragazzina indifesa.
Per un po’ di tempo si limitò a guardarla, poi crebbe in lui la voglia di confortarla, di parlarle. «Era il tuo maestro, vero?»
Non ebbe risposta.
«Ho sentito dire così. Mi dispiace per lui. E anche per te. Dev’essere davvero triste.»
Nihal non alzò neppure la testa.
«Io non ho avuto maestri, però credo di capirti. Ho ventidue anni e combatto da quando ne avevo sedici. Ho visto morire tanti amici. Le prime volte stavo come te ora. Poi ci ho fatto l’abitudine. La guerra è così: si muore di continuo e purtroppo le lacrime non servono a niente.»
Nihal non aprì bocca, non si mosse. Non c’erano parole per consolarla, né voleva essere consolata. Desiderava solo fondersi con la terra sotto i suoi piedi e perdere coscienza di sé.