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«Io ci credo a quello che dicono i sacerdoti: sono sicuro che dopo questa vita ci attende un mondo senza guerre e senza dolore. I miei amici sono tutti lì, me lo sento. E lì ci sarà anche il tuo maestro, orgoglioso di te. Ti ho vista combattere, sai? Diventerai un Cavaliere di Drago fortissimo. Ma ora devi cercare di farti forza: sono certo che il tuo maestro…»

Nihal non poté più tollerare quel fiume di banalità. Sollevò la testa dalle ginocchia e piantò i suoi occhi viola in quelli del ragazzo. «Lasciami in pace!»

Il soldato rimase interdetto. Abbassò lo sguardo. «Fatti coraggio» le mormorò. Non riuscì ad aggiungere altro.

A sera Laio si propose per dare il cambio al soldato.

Un ragazzo che aveva assistito alla disperazione di Nihal gli aveva riferito quanto era accaduto. Laio aveva capito subito che il misterioso cavaliere di cui lei gli parlava sempre era Fen e aveva deciso che quella notte le sarebbe stato vicino, come lei era stata vicino a lui la notte prima.

Quando entrò nella tenda rimase turbato nel vedere la ragazza forte che conosceva raggomitolata sulla branda.

Era pallida. Aveva gli occhi vuoti. Sembrava morta.

Laio non le disse una parola. Si stese accanto a lei, la abbracciò e scivolò lentamente nel sonno.

Nihal non si era arresa. Superata la disperazione, un’idea aveva iniziato di nuovo a farsi strada nella sua mente: Fen era disperso. Non era morto. Certo, c’era la testimonianza di quel soldato, ma da lontano non poteva aver riconosciuto Fen. Si era sbagliato. Fen era vivo. Fen doveva essere vivo, prigioniero del nemico o ferito nella torre, e ogni ora che passava rischiava sempre più la vita.

Fu presa da una smania incontrollabile. Doveva andare a cercarlo. Lo avrebbe trovato, lo avrebbe riportato sano e salvo all’accampamento e il giorno seguente avrebbero riso insieme di quell’avventura e dell’assurda paura che le aveva fatto prendere.

Un sorriso disperato le si disegnò sulle labbra.

Fen è vivo, e io lo salverò.

La notte era buia. Dall’oscurità emergeva la sagoma della torre, illuminata dalle braci del fuoco che l’aveva distrutta.

A Nihal non importava che l’incendio non fosse del tutto spento. Non le interessava che qualche nemico potesse vederla mentre cavalcava sulla piana. Fen era tutto ciò che le restava, era la sua stessa vita, e non avrebbe permesso a niente e a nessuno di fermarla. Sgattaiolò per l’accampamento addormentato finché raggiunse il recinto dei cavalli. Un attimo dopo galoppava selvaggiamente nella pianura.

La porta giaceva a terra carbonizzata e il fuoco divampava ancora in molti punti della fortezza. Nihal guardò il rosso delle fiamme. Non aveva paura. Entrò decisa. L’odore acre del fumo la prese alla gola. Tossì. L’interno era disseminato di corpi, molti schiacciati dai crolli causati dall’incendio, altri inceneriti.

Nihal si muoveva a stento tra grossi pezzi di mura rovinati al suolo. Faceva caldo, l’aria era irrespirabile, ma la ragazza avanzava decisa scrutando il terreno.

Un fragore la fece trasalire: un nuovo crollo, non distante da lei.

Continuò ad avanzare.

Iniziò a chiamare il nome di Fen. Le rispose solo l’eco lugubre della sua stessa voce.

Si mise a urlare più forte. Nulla. Solo l’eco e il crepitio del fuoco.

Allora si fermò e iniziò a smuovere le macerie. Sollevò mattoni, calcinacci, grosse pietre ancora calde.

«Fen!»

Si ferì le palme.

«Fen, dove sei?»

Si ruppe le unghie fino a farle sanguinare ma non smise di scavare.

Improvvisamente lacrime calde iniziarono a rigarle le guance.

«Rispondi, Fen! Sono io! Sono Nihal!»

La sua voce si fece lamento, la vista le si appannò di pianto.

Si rimise in marcia. Non è morto, non è morto.

Poi la vide. Un’enorme carcassa nera in lontananza.

Un drago bruciato.

Urlò, corse verso la creatura.

Poteva essere un animale qualunque, ma Nihal seppe nel suo cuore che era Gaart. Qualcosa in lei si ruppe. Iniziò a singhiozzare.

Gaart giaceva con le grandi ali stese.

Nihal si infilò d’istinto sotto una di esse.

Fen era lì, sdraiato a terra, supino, intatto. Un’ampia macchia di sangue si allargava nera sotto la sua testa, infradiciando i capelli.

Nihal rimase senza fiato, incredula. Lo guardava ipnotizzata. Com’è pallido. Persino le lacrime avevano smesso di scendere.

Si chinò, allungò una mano e gli toccò delicatamente un braccio, scuotendolo come per svegliarlo. La sua pelle, in quell’inferno di fuoco, era fredda.

Allora si inginocchiò accanto a lui e provò a scrollarlo ancora, e ancora, sempre più forte, gridando il suo nome. L’indomani, quando il supervisore entrò nella tenda, trovò Laio in lacrime. «Mi sono addormentato… Mi sono addormentato e lei se n’è andata…» ripeteva tra i singhiozzi.

La cercarono per tutto l’accampamento, e poi nelle zone limitrofe, ma senza risultato. La squadra di ricognizione che doveva occuparsi di Fen e degli altri dispersi fu incaricata anche di trovare Nihal.

Gli allievi dell’Accademia furono comunque tutti radunati e venne loro comunicato l’esito della prova. Erano stati fortunati: nessun morto, un solo ferito. Tre su sei avevano passato la prova: per il coraggio dimostrato in battaglia, la perizia in combattimento e la capacità di cavarsela da soli senza ricorrere all’aiuto del supervisore. Tra essi c’era anche Nihal.

Il gruppo di ricognizione non tardò a trovare il corpo di Fen.

Due dei tre dispersi vennero trovati gravemente feriti nella boscaglia intorno alla torre. Il quarto cavaliere invece era sparito nel nulla. Probabilmente era stato fatto prigioniero, un destino peggiore della morte: i pochi prigionieri che erano riusciti a sfuggire a Dola avevano raccontato di torture terribili.

Di Nihal non venne trovata alcuna traccia.

All’accampamento conclusero che era semplicemente scappata.

Avvisato della morte di Fen, Sennar aveva preso un cavallo ed era partito immediatamente. Per tutto il viaggio non aveva fatto che pensare a cosa quella morte significasse per Nihal. Quando giunse all’accampamento scoprì che i suoi timori erano fondati.

«Che diamine vuol dire che è andata via?»

«Che la sera dopo la morte di quel cavaliere ha preso la sua roba, ha rubato un cavallo e se ne è andata. Tutto qui» gli rispose un soldato.

Sennar corse dal generale. Era furibondo. «Mi hanno detto che l’allieva dell’Accademia è scappata.»

Il militare annuì. «Vi hanno riferito bene.»

«Bene un corno, dannazione! Non eravate stato informato che è l’ultimo mezzelfo del Mondo Emerso e che la sua esistenza è importante?»

Il generale non si scompose. «Per quel che mi riguarda, era una recluta. Dopo che ha affrontato la prova quel che le succede non è più affar mio.»

«La vita delle reclute è sotto la vostra responsabilità, generale!»

«Avete detto bene: la vita. Quella ragazzina è uscita dalla prova sana e salva.

Poi se ne è andata. E di questo non ho alcuna responsabilità, consigliere.»

«Sì, ma era da considerarsi un membro dell’esercito. Non li cercate i soldati dispersi?»

Il generale si spazientì.

«Sentite, voi siete giovane e siete qui da poco, quindi non venite a dirmi come compiere il mio mestiere: l’ho fatta cercare per un giorno intero, cos’altro dovevo fare? Se proprio la volete sapere tutta, ho chiuso un occhio perché ho capito la situazione. Se mi fossi attenuto alle regole, la vostra amica adesso sarebbe già stata espulsa dall’Accademia.»

Sennar non si diede per vinto. «Voglio che organizziate subito una squadra di ricerca! Magari è ancora nei dintorni, la possiamo trovare. Sarà confusa, per questo è scappata, e…»

«Sarò chiaro con voi: non ho nessuna intenzione di tenere occupati i miei uomini a cercare la vostra amica. Lasciate fare il soldato a chi lo sa fare. E ora, scusatemi» tagliò corto il generale e uscì dalla tenda.