Raven lo guardò sorpreso: era già sul punto di inalberarsi.
«Cioè, intendo dire che non sono qui per questo ora. Naturalmente avevo pensato di consultarvi nei prossimi giorni. Il vostro parere mi è prezioso.»
Il generale si rasserenò. Sennar capì come mai quel borioso signore odiasse tanto la poco diplomatica Nihal.
«Il fatto è che nella Terra di mia giurisdizione, durante la prova degli allievi, è successo un increscioso incidente. Ve ne hanno già parlato?» domandò il giovane mago, poi trattenne il fiato.
«Non so di cosa parliate.»
«Immagino che vi ricordiate della giovane mezzelfo…»
Raven sbuffò annoiato e fece segno al consigliere di proseguire.
«Ecco, quando sono arrivato all’accampamento mi è stato riferito che era scomparsa. Fuggita, per la precisione.»
«Dannata ragazzina! Io lo sapevo che…»
«Aspettate, Generale. Ho le prove che Nihal non è scappata. Mi ha lasciato un messaggio. Dice che tornerà all’Accademia da sola. Fen era il suo maestro, lo sapete. E lei è rimasta profondamente addolorata dalla sua morte. È comprensibile che volesse…»
Il Supremo Generale si alzò in piedi. «Quella femmina non fa altro che darmi noie! Maledico il giorno che è entrata all’Accademia! Sarà anche un bravo guerriero, ma non può fare tutto quello che vuole. La sua è insubordinazione. È già arrivata?»
«Non ancora. Temo che possa essersi persa, o avere incontrato dei nemici. Sarebbe un gesto magnanimo da parte vostra mandare una squadra a…»
Il Supremo Generale alzò gli occhi al cielo. Sennar capì che stava chiedendo troppo.
«Provvederò a punirla quando tornerà in Accademia. Ora non ho tempo per queste sciocchezze. Due dei miei uomini migliori sono morti. Vi prego di lasciarmi solo, consigliere.»
Sennar uscì, incerto tra l’ansia e la soddisfazione. Non era riuscito a convincere Raven a farla cercare, ma almeno Nihal era ancora allieva dell’Accademia.
La cerimonia funebre per Dhuval e Fen si tenne quel pomeriggio.
Vi assistettero i maggiorenti della Terra del Sole, tutti gli allievi dell’Accademia e l’intero ordine dei Cavalieri di Drago.
I corpi dei cavalieri, in tenuta da battaglia, furono deposti su due grandi pire. Su quella di Fen c’erano anche i resti di Gaart: il drago avrebbe accompagnato il padrone nel suo ultimo volo.
Il discorso di Raven fu insolitamente pacato.
Parlò di Fen con particolare affetto, ricordando come egli fosse stimato da tutti, dentro e fuori dall’esercito, per le sue doti di guerriero, la sua integrità morale, la sua calma.
Sennar assistette alla cerimonia con tristezza.
Il cavaliere non aveva mai riscosso le sue simpatie: era troppo rigoroso e dedito alla guerra per i suoi gusti, ma non poteva negare che nei mesi di apprendistato si era trovato bene con lui. Fen aveva sempre tenuto in considerazione le sue idee, senza farsi condizionare dalla sua giovane età o dal fatto che fosse l’allievo della donna che amava. E poi era stato vicino a Nihal nei momenti più difficili. Il mago pensò anche a Soana, che viaggiava ignara del fatto che il suo uomo era morto in battaglia.
Poi le pire vennero accese e le fiamme consumarono ciò che restava dei due cavalieri, consegnandolo al vento e alle nuvole.
Era usanza che chi aveva amato il defunto accendesse una torcia al falò. Sennar sentì di dover compiere quel gesto: per Soana, per Nihal, ma in fondo anche per sé. Si avvicinò al fuoco insieme a tantissimi altri: soldati, cavalieri, civili.
Fu allora che intravide una figura ammantata di nero. Aveva in mano un ramoscello sulla cui cima brillava una piccola fiamma.
Nel suo cuore si accese la speranza. Si fece largo tra la folla, ma un istante dopo quell’apparizione era scomparsa.
Era impossibile trovarla in quella calca.
Quando la pira fu in gran parte bruciata e la gente iniziò ad allontanarsi, Sennar si rimise alla ricerca. Il mantello nero continuava ad apparirgli per poi sparire subito dopo. Eppure era lì, a pochi passi da lui.
Accelerò il passo. Schivò allievi e militari. Raggiunse la figura. Le sfiorò una spalla. «Nihal!»
Era davvero lei, pallida e sporca come se fosse reduce da un lungo viaggio. Si guardarono per un istante.
«Non qui, seguimi» gli disse.
Dal belvedere rimasero a osservare la Rocca del Tiranno, fianco a fianco, in silenzio. Sennar le accarezzò con dolcezza i capelli corti. Sembra un pulcino, pensò.
«Vuoi parlare?»
Nihal scosse la testa.
«Vuoi dirmi almeno dove sei stata?»
«Avevo bisogno di pensare.»
«Lo capisco, ma dove sei stata, cosa hai fatto?»
Nihal non rispose.
«Cosa pensi di fare, adesso?»
«Devo tornare all’Accademia. Ho superato la prova e ho diritto al mio drago. Cosa ha detto Raven?»
«Ha detto che ti punirà. Nient’altro.»
Nihal si alzò e si avviò verso l’Accademia senza una parola.
Sennar la seguì, esasperato. Si sentiva totalmente impotente. «Perché non vuoi parlare? Perché non ti sfoghi, non piangi, non fai una cosa qualunque per farmi capire cosa ti passa per la testa?»
Nihal continuò a camminare.
«Reagisci, Nihal. Non lasciarti divorare dall’odio. Di’ qualcosa. Ti prego.»
La ragazza si fermò e guardò l’amico negli occhi. «Non c’è niente da dire, Sennar. Fen è morto, questo è tutto. Ora devo andare all’Accademia.»
Raven si era preparato il discorso.
Fu feroce e aggressivo, sarcastico e minaccioso, ma la reazione di Nihal lo prese alla sprovvista.
«So di aver sbagliato e vi imploro di perdonarmi. Accetterò qualunque punizione vorrete infliggermi. Vi giuro che non accadrà mai più. Tutto quello che desidero è continuare il mio addestramento.»
La ragazza si inginocchiò davanti al suo scanno e chinò la testa. «Ve ne prego,
Supremo Generale.»
Raven rimase colpito dal comportamento di Nihal, ma ancora di più dal suo sguardo. Vi lesse tutta la determinazione di cui quella creatura era capace. Aveva scelto la sua strada e avrebbe fatto qualunque cosa pur di raggiungere la meta: anche umiliarsi di fronte a lui.
Ma vi lesse anche la disperazione di chi ha smarrito se stesso, di chi non riesce a rassegnarsi a una perdita. Per un istante l’uomo che era stato ebbe il sopravvento. Scese dal suo scanno e, per la prima volta, le si avvicinò. Le mise una mano sulla spalla. «Mi dispiace per Fen. È stato un mio compagno d’armi, anni fa. Anche per me è un’immensa perdita.»
Poi ritrasse la mano e assunse il suo solito tono.
«Puoi continuare il tuo addestramento, ma dovrai passare una settimana in cella. Un guerriero deve essere capace di controllare i propri sentimenti.»
Nihal strinse i pugni. «Vi ringrazio, Generale.» Quindi si alzò, fece un inchino e andò a scontare la sua punizione.
SALVARSI L’ANIMA.
Trecento anni fa il Mondo Emerso è stato travolto da un conflitto interminabile che le otto Terre hanno condotto l’una contro l’altra per il predominio assoluto: la guerra dei Duecento Anni.
All’epoca la Terra dei Giorni era popolata dai mezzelfi, discendenti dalla fusione tra gli elfi, antichi abitatori del Mondo Emerso, e gli umani. Erano un popolo pacifico, dedito alla scienza e alla sapienza, e per molto tempo non intervennero nelle ostilità. Ciò nonostante, grazie alla loro agilità erano particolarmente dotati per le arti del combattimento. Leven, il loro re più ambizioso, determinato ad allargare il proprio dominio, decise di mettere a frutto quella attitudine.
I mezzelfi non combattevano da secoli, ma il sovrano era uno straordinario stratega: in pochi anni il suo divenne l’esercito più potente del Mondo Emerso e vinse su tutte le altre Terre. Leven non riuscì però a godere del suo potere: morì infatti poco dopo la vittoria finale lasciando il nuovo regno al figlio Nammen.
Incoronato, Nammen convocò i regnanti del Mondo Emerso. I re sconfitti si presentarono al suo cospetto rassegnati a obbedire, ma il giovane re li stupì. «Non voglio il potere che mio padre ha costruito sul sangue» disse. «Le otto Terre torneranno libere.» Poi dettò le sue condizioni.