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Ciascuna Terra doveva rinunciare a un territorio, l’unione dei quali avrebbe dato vita alla Grande Terra. Là avrebbero avuto sede il Consiglio dei Re, che avrebbe deciso della politica comune del Mondo Emerso, e il Consiglio dei Maghi, che si sarebbe occupato della vita scientifica e culturale. Nei due Consigli avrebbero trovato posto i rappresentanti di ogni Terra, ognuna delle quali avrebbe poi contribuito all’esercito del Mondo Emerso. Nammen dichiarò infine decaduti tutti i re allora in carica, affinché ciascun popolo scegliesse i propri regnanti.

Tutte le sue volontà vennero realizzate.

Anonimo, dalla Biblioteca perduta della città di Enawar, frammento.

Delle tante atrocità del Tiranno, la più terribile fu lo sterminio del popolo dei mezzelfi. Ci volle un mese perché la Terra dei Giorni fosse ridotta a un deserto. I sopravvissuti alla strage cercarono asilo […]

Alla fine dell’anno erano ancora vivi solo un centinaio di mezzelfi. Avevano costituito una colonia nella Terra del Mare, ma quando l’esercito delle Terre libere perse il controllo sul territorio […] i fammin provvidero alla soluzione finale.

Annali del Consiglio dei Maghi, frammento.

17

Ido.

Nihal passò una settimana in cella. Non pensò a niente, non provò niente. Dormì, recuperò le forze. Il giorno in cui venne scarcerata era pronta per ricominciare.

Quando fu condotta fuori dall’Accademia si stupì. «Non mi dovrebbe essere assegnato un drago?» chiese alla sua guida, un ragazzo poco più grande di lei.

«Prima dovrai conoscere il tuo maestro. È il Cavaliere di Drago con il quale vivrai d’ora in poi. Sarà lui a insegnarti tutto, compreso come domare il tuo drago.»

«Ma i cavalieri che non combattono non stanno all’Accademia?»

«Infatti, quelli che non combattono. Però non tutti gli allievi vengono assegnati a un cavaliere che non combatte. La battaglia di Therorn, poi, ha cambiato un po’ le cose. In Accademia non ci sono abbastanza maestri. Molti sono partiti per il fronte.»

Nihal e la guida raggiunsero le stalle, presero due cavalli e si misero in viaggio.

Percorsero la Terra del Sole verso sud, dove erano i fronti aperti.

La guida di Nihal amava correre. Galopparono a lungo attraverso una zona boscosa, a briglia sciolta. Per quel che riguardava lei, né il panorama né la corsa la interessavano davvero: di regioni boschive ne aveva viste a sufficienza, e le uniche corse che potevano esaltarla ora erano quelle in groppa a un drago. Pensò che in fin dei conti era un bene che il suo nuovo maestro combattesse: avrebbe avuto più possibilità di scendere di nuovo in battaglia. Non desiderava altro.

Dopo mezza giornata di viaggio fecero una sosta: gli animali erano stanchi e la meta ancora lontana. Si fermarono a mangiare nei pressi di un ruscello. Il cibo rese la guida loquace.

«Sei tu il mezzelfo che nell’ultima battaglia ha fatto fuori un sacco di fammin, giusto?».

Nihal non aveva affatto voglia di parlare. Non staccò gli occhi dalla sua razione.

«Hai perso la lingua?»

La ragazza si alzò. «Scusami. Ho bisogno di sgranchirmi le gambe.»

«Fa’ un po’ come ti pare» disse tra sé e sé la guida.

Nihal si mise a girovagare per il bosco.

Era da quando aveva lasciato la Terra del Vento che non si ritrovava in una foresta: nonostante l’autunno stesse già cambiando i colori degli alberi, tutto le parve splendido. Camminava calpestando un tappeto di foglie cadute, sentendone la morbidezza sotto i piedi. Come sarebbe stato bello dissolversi in quel mare di foglie, ritornare a essere solo natura…

Un rumore la fece voltare di scatto. Qualcosa si agitava tra i rami. Sguainò silenziosa la spada, si diresse verso un cespuglio e colpì le fronde con un fendente deciso.

Un folletto schizzò fuori spaventato.

«Ehi! Accidenti a te! Mi vuoi ammazzare? Io a voi spadaccini vi manderei tutti…» Il folletto fece una pausa. «Nihal?»

«Phos!»

Phos iniziò a volteggiarle intorno contento, cantando il suo nome e facendole le feste. Nihal gli sorrise, ma dopo un paio di capriole il folletto si fermò e la guardò negli occhi. «Che cosa c’è che non va?»

«Niente.»

«Senti, si vede lontano un miglio che stai male.»

Nihal si sedette su un tronco.

«Che cosa ci fai nella Terra del Sole, Phos?»

Il folletto le svolazzò in grembo. «Non ne potevamo più della Terra dell’Acqua. Quelle stupide ninfe stavano sempre a comandarci! Così abbiamo fatto fagotto e siamo partiti.»

«È un bel posto, qui.»

«Lo pensavamo anche noi. La natura è fresca e vitale, c’è persino un albero come il Padre della Foresta, e non ci sono ninfe aguzzine… ma poi…»

«Poi?»

«Poi sono arrivati gli uomini. Ci catturano e ci usano come spie. All’inizio alcuni di noi si sono uniti spontaneamente all’esercito. Sai, volevamo dare una mano. Ma quando gli uomini hanno visto quanto eravamo utili hanno iniziato a rapirci. Per questo sto andando a Makrat. Voglio far sentire la nostra voce al Consiglio dei Maghi. Non è giusto che i folletti non siano rappresentati.»

Nihal ascoltava, ma non riusciva a sentirsi partecipe. Le parve di essere insensibile, come se tutte le sue emozioni avessero preso il volo.

«Sennar è consigliere, va’ da lui. È in partenza per la Terra del Vento, ma credo che per qualche giorno lo troverai ancora a Makrat.»

Phos batté le manine con entusiasmo. «Sei davvero un’amica!» Poi si levò in volo e le si avvicinò al viso. «Perché non vuoi dirmi che cos’hai?»

Nihal si alzò. «Devo andare, Phos. Alla prossima.»

«Aspetta! Forse ti posso aiutare!»

Ma Nihal si era già allontanata.

Viaggiarono ancora per tutto il pomeriggio e al tramonto videro il sole adagiarsi sulla coltre degli alberi. Era già buio pesto quando giunsero all’ingresso di un accampamento. Scesero da cavallo e si avvicinarono a un soldato di guardia.

«Sono qui per Ido, questo è il suo allievo» fece la guida.

«In fondo al campo» rispose la sentinella.

La guida si rivolse a Nihal. «Il mio compito finisce qui. Puoi andare da lui anche da sola. Buona fortuna, mezzelfo.»

Nihal porse le redini del suo cavallo al ragazzo ed entrò senza una parola.

Il campo era immenso. Si trattava dell’accampamento principale della Terra del Sole, dove risiedevano i generali e gli strateghi. Non era una base provvisoria, ma una vera cittadella fortificata. Una palizzata rozza ma robusta circondava il suo perimetro, di cui non si riusciva a vedere la fine. La maggioranza delle case erano capanne in legno e c’era addirittura un’arena come quella dell’Accademia.

Nihal dovette chiedere più volte per trovare l’alloggio di Ido, finché non le venne indicata una casetta malmessa e trasandata. Vi si diresse con decisione, ma quando arrivò davanti alla porta la sua spavalderia venne meno. Era agitata: stava per conoscere il suo maestro, colui che le avrebbe insegnato davvero a combattere.

Esitò un istante, deglutì e bussò.

Non rispose nessuno, ma appena Nihal appoggiò la mano la porta si aprì con un cigolio.

L’interno era ancora peggio dell’esterno: vestiti accumulati in ogni angolo, armi gettate alla rinfusa, avanzi di cibo ed erbe di ogni sorta abbandonati sul tavolo e sul pavimento.

Dalla penombra arrivò una voce indolente: «Chi è?».

«Sono… sono l’allievo…»

«Il che?»

Nihal avanzò, titubante. «L’allievo che vi è stato assegnato…»

Vederlo e ammutolire furono una sola cosa.

Buttato su un letto sfatto, in mezzo alle coltri appallottolate, c’era uno gnomo intento a fumare una pipa.

Sfoggiava una lunga barba, baffi che finivano in due spesse trecce e una selva di capelli arruffati, anch’essi ingentiliti, se così si può dire, da una serie di treccine sparse. Nihal valutò che in piedi doveva arrivarle più o meno al seno. Era esterrefatta.