Lo gnomo sbadigliò e prese a stiracchiarsi così platealmente che la pipa gli cadde di mano sparpagliando a terra il suo contenuto. Allora si alzò di scatto e iniziò a battere col piede sulla brace, mormorando una salva di improperi.
Ci volle un po’ perché Nihal ritrovasse la voce per parlare. «Stavo cercando Ido… il Cavaliere di Drago…»
«E l’hai trovato. Chi hai detto che sei?»
Un Cavaliere di Drago? Quello lì?
«L’allievo, signore.»
Lo gnomo si mise a guardarla. Sembrava perplesso. «L’allievo? Veramente mi avevano detto che sarebbe arrivato uno scudiero oggi, non un allievo. E poi, scusa, non sei una ragazza?»
Nihal alzò il mento con orgoglio. «Sì, sono una ragazza, e allora?»
«Allora, dannazione, ai miei tempi le ragazze non combattevano. Non facevano neppure gli scudieri, se è per questo. E non sono poi tanto vecchio!»
Si sedette sul letto e riaccese la pipa.
«Tu poi, a occhio e croce, non sei un’umana. Di che razza sei? Sembreresti un… mezzelfo?»
«Sono l’ultimo mezzelfo del Mondo Emerso, signore. Devo dedurre che voi invece siete uno… gnomo?»
«Oh, accidenti, piantala con tutte queste formalità! Mi fai sentire decrepito. Dammi del tu e spiegami bene questa faccenda dell’allievo. Ah, cercati da sedere. Da qualche parte ci sono delle sedie. Sono ben camuffate, ma ci sono.»
Nihal si guardò intorno e scorse uno sgabello sotto una montagna di panni. Ci si sedette sopra senza spostarli.
«Be’? Allora? Parla» la esortò lo gnomo.
Nihal si decise. «Arrivo dall’Accademia. Una settimana fa ho superato la prova della battaglia e devo finire il mio addestramento. Mi hanno spedita qui perché nella battaglia a cui ho partecipato sono morti due cavalieri e altri sono rimasti feriti. E allora… insomma… sono stata affidata a te. Credo.»
Ido la ascoltò emettendo dalla sua pipa una raffica di nuvolette bianche. Poi si diede una gran botta sulla fronte. «Ma certo, la battaglia di Therorn! Quella in cui è morto Fen, dico bene?»
Nihal annuì.
«Sicché vieni dall’Accademia. Qualcuno mi aveva parlato di una ragazzina che era diventata allieva. E pensare che io non ci credevo!» Ido ridacchiò. «Ma tu guarda! Quel pallone gonfiato di Raven che permette una simile sconcezza! Evidentemente le cose sono cambiate. Be’, che dire? Sinceramente non ricordo se qualcuno mi ha detto che avrei avuto un allievo. Forse sì. Comunque, a quanto pare mi tocca. Come ti chiami?»
«Nihal.»
«Non è un nome da mezzelfo.»
«Perché, hai conosciuto dei mezzelfi?»
«No, non direttamente» tagliò corto Ido. «Come mai questo nome assurdo?»
«Me l’ha dato mio padre.»
«Da quanto tempo ti addestri?»
«Da sempre: mio padre era un armaiolo. Poi fino a sedici anni mi sono allenata con Fen e un anno fa sono entrata all’Accademia.»
Ido la scrutò con attenzione. «Mi dispiace per Fen: abbiamo combattuto insieme un paio di volte. Gran guerriero.»
Nihal non disse nulla.
La conversazione prese la forma di un interrogatorio: Nihal rispondeva lo stretto necessario e Ido ribatteva per cercare di capire qualcosa di più di quella strana ragazza.
«E così hai superato la battaglia tutta intera.»
«Alcuni dicono che mi sono comportata bene.»
«Fortuna, nient’altro. Ho visto molti giovani valorosi morire alla prima battaglia, ragazzi sul cui luminoso avvenire si scommetteva. Gente in gamba, insomma.»
Ido vuotò la pipa battendola rumorosamente contro la testiera del letto.
«Del resto anche dopo ci si salva sostanzialmente grazie alla fortuna. Sul campo di battaglia la morte gioca a dadi con il destino di ognuno.»
Nihal si sentì offesa da quel discorso, ma non disse nulla.
Tutta la situazione le sembrava assurda. Quell’omino che le stava davanti, quella stanza disordinata… Niente era come si aspettava.
«Senti, per stasera fai un po’ quello che vuoi. Fatti un giro per il campo, se ti va. Io intanto sento il comando e ti trovo un posto per dormire. Va’, ora.»
La ragazza uscì dalla capanna con un senso di liberazione.
Mentre Nihal gironzolava per l’accampamento, Ido si diresse a grandi falcate verso il comando.
«Cos’è, siete ammattiti?»
Nelgar, il responsabile della cittadella, era serissimo. «No, Ido. È la tua allieva.»
«Sentimi bene. Io non posso avere allievi, né tanto meno allievi come quella… ragazzina! Di’ pure a Raven che se crede che io me la accolli… be’, gli ha dato di volta il cervello!»
«Non so che dirti, Ido. La mezzelfo sarà il tuo primo allievo. Non te l’ho comunicato prima perché sapevo come avresti reagito. E comunque lo sai: non puoi tirarti indietro.»
«Supremo Generale dei miei stivali! Ha voluto prendere due piccioni con una fava! Mi ha affibbiato quella zavorra con le orecchie a punta e così si è tolto dai piedi due personaggi scomodi. Mi ha incastrato davvero bene…»
Ido tornò nel suo alloggio. Era furente: l’idea di avere un allievo non gli piaceva neanche un po’. Era l’unico Cavaliere di Drago appartenente alla razza degli gnomi, dopo tanto tempo aveva finalmente trovato il suo posto in quell’esercito… e ora tutto cambiava! E poi, dannazione, un mezzelfo! Non sarebbe mai finita quella storia?
Si chiese cosa fare. Rispedirla al mittente era fuori discussione. Con Raven non era il caso di scherzare.
E poi, a dirla tutta, quella ragazza l’aveva colpito. Stare con lei era rischioso, poco ma sicuro.
Però, in fondo, perché non allenarla? Poteva essere divertente.
La ragazza gli era parsa decisa. Aveva negli occhi una strana luce. Dolore, forse? Comunque lo interessava. Forse la cosa migliore era valutare che tipo fosse e decidere se fosse il caso di addestrarla o no. Alla peggio poteva sempre dire che non l’aveva trovata abbastanza brava per continuare.
Quando andò a cercarla dovette faticare per trovarla. Alla fine la vide seduta su una pietra ai margini del bosco che circondava la cittadella.
«Ti piace la solitudine.»
Non era una domanda.
Nihal si voltò.
«Andiamo a mangiare, forza.»
Nihal lo seguì senza dire nulla.
Cenarono in silenzio nella grande tenda che fungeva da mensa per tutto il campo.
Sulla strada verso l’alloggio dello gnomo incontrarono l’arena. Era un grande spiazzo circolare in terra battuta. Tutto intorno si levavano degli spalti in legno. La fontanella di un abbeveratoio gorgogliava nel buio.
Nihal si fermò a guardarla mentre Ido procedeva imperterrito.
«Quando arriva il mio drago?» chiese. Erano le prime parole che pronunciava da ore.
Ido si fermò e si lisciò la barba. «Il tuo drago? Non ne ho la più pallida idea.»
Quando Ido le mostrò il letto, Nihal lo guardò sorpresa.
«Tu dove dormirai?»
«Non ti preoccupare. Mi sono preparato una branda nell’ingresso.»
Nihal scosse la testa. «No, questa è la tua capanna, e quello è il tuo letto. Il cavaliere sei tu, io sono l’allievo. Dormirò io nell’ingresso.»
«Non se ne parla. Per uno gnomo l’ospitalità è la prima cosa.»
«Ma…»
«Niente ma, allieva. È un ordine.»
Ido se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
Nihal rimase sola. Si tolse i vestiti, pensando che l’indomani avrebbe dovuto trovare il modo di lavarli. Poi si sedette sul letto. Si dondolò su e giù un paio di volte. Era una vita che non dormiva su un letto vero: si distese con la spada al fianco e chiuse gli occhi, godendosi la sensazione della lana morbida del materasso.
Scivolò lentamente in un sonno dominato dal viso sereno di Fen.
Il giorno seguente la cittadella sembrava un immenso pantano.
Quando si svegliò, Nihal pensò che fosse ancora notte, poi si accorse del rumore di pioggia battente sul tetto. Guardò fuori dalla finestra: il cielo era nero di nuvole. Le toccava passare l’intera giornata lì dentro con un tizio che le ispirava poca fiducia e di cui non aveva affatto stima.