Pensò di barricarsi in camera e dare una lavata al mantello, ma i suoi programmi furono stravolti dalla voce di Ido che tuonava da dietro la porta.
«Si può?»
«No!»
«Preparati che si esce!»
Si esce? Nihal si vestì in fretta e furia e balzò fuori dalla stanza. «E dove andiamo? Piove!»
«Non mi risulta che una guerra si sia mai fermata per la pioggia. Gli esseri di questo mondo si ammazzano con il bello e con il cattivo tempo, mia cara» disse Ido, quindi si voltò e si diresse verso il tavolo, dove era pronta la colazione.
«Mangia. È bene mandare giù qualcosa prima di una giornata intensa» disse intingendo in una scodella del pane nero. «Quando avrai finito, mi farai vedere come te la cavi in combattimento.»
Nihal era allibita: la mandavano ad addestrarsi con un mezzo uomo che si voleva allenare sotto la pioggia e non sapeva nulla del suo drago.
«Io non credo che sia opportuno combattere, oggi» disse in tono irritato.
Ido guardò Nihal da sopra la scodella. Poi, con tutta calma, posò la fetta di pane, diede un ultimo sorso rumoroso e si pulì i baffi. «Lo so cosa stai pensando, ragazzina: cosa può insegnarmi uno gnomo? Be’, ti sbagli, e te ne accorgerai. E comunque questo è quel che passa il convento. Se non ti piace, vattene. Ma se resti, ricordati che esigo rispetto: io sono un cavaliere, tu non sei nessuno. Ora fa’ pure la tua scelta.»
Ido riprese a mangiare. Nihal restò immobile per qualche istante, quindi si sedette: se voleva combattere doveva fare buon viso a cattivo gioco. Prese la sua scodella. Non sapeva cosa contenesse, ma era così buono che lo spazzolò tutto.
Terminata la colazione uscirono. La pioggia si era fatta fitta e sottile.
Nihal si avvolse nel mantello, si coprì la testa e seguì Ido, che non si curava delle gocce d’acqua che gli scivolavano sul volto e sulla barba.
L’arena era vuota.
«Con che cosa combatti?» le chiese lo gnomo.
Nihal si tolse a malincuore il mantello e mostrò la sua spada.
«Cristallo nero. Un’arma notevole.»
«Me l’ha fabbricata mio padre.»
«Armaiolo decisamente abile…» commentò Ido, e sguainò la sua lama. Era un’arma lunga e sottile, o forse sembrava così perché Ido era basso, e aveva l’elsa ricoperta di fregi e simboli, alcuni dei quali grattati via a forza dal legno.
Ido la roteò in aria per qualche istante. Nihal pensò che stesse saggiando la presa, e invece all’improvviso si vide arrivare dall’alto un fendente. Lo schivò, ma perse l’equilibrio e cadde.
«Be’, è tutto qui?»
Nihal si rialzò furibonda. «Credevo che mi lasciassi il tempo di prepararmi!»
«Ah, sì? Questo non è uno di quei balletti a cui vi abituano all’Accademia. Io voglio vedere come combatti in battaglia, quindi dimenticati i manuali di galateo.»
Lo gnomo non aveva ancora finito la frase che già aveva ripreso ad attaccare.
Nihal iniziò a controbattere, ma era stata presa alla sprovvista: si sentiva impacciata, era infastidita dalla pioggia e duellava con scarsa convinzione. All’improvviso le arrivò uno schizzo di fango negli occhi. Istintivamente portò le mani al viso. Ido ne approfittò per farle uno sgambetto. Quando Nihal riaprì gli occhi era sdraiata a terra e aveva la spada di Ido puntata alla gola. «Questo non è leale!» sbottò.
«Vedo che non mi sono spiegato: io faccio sul serio, tu no. Qui non ci sono regole da rispettare: questa è guerra. Vedi di batterti come si deve o alla prossima stoccata, quanto è vera la terra su cui poggio i piedi, ti passo da parte a parte. Alzati!»
Ido non scherzava, Nihal lo capì dal suo sguardo. Ma cosa crede, questa specie di ometto? Si rimise in piedi con un salto e iniziò a combattere con foga.
Ido non si scompose. Il suo modo di battersi era stupefacente: stava quasi fermo e schivava raramente con lievi spostamenti laterali, muovendo solo la mano che stringeva l’elsa. La sua arte era tutta lì: tirava con precisione, giocando con la lama avversaria, stuzzicandola, colpendola. Poi al momento giusto partiva l’affondo, totalmente inaspettato.
Nihal iniziò a irritarsi. Era come se quel tizio conoscesse in anticipo le sue mosse. La forza non c’entrava: la sua sembrava solo abilità di polso. Se Nihal cercava di avvicinarglisi, lui la teneva a bada. Se tentava un attacco dall’alto, Ido lo parava senza difficoltà.
Dopo che ebbe dato fondo alla sua riserva di tattiche, Nihal gli si avventò addosso con un urlo di rabbia, cercando nuove traiettorie per aggirare la lama dello gnomo.
Allora anche Ido si mosse: si abbassò, le passò fra le gambe e la ribaltò.
Nihal era di nuovo seduta nel fango.
«Va meglio, ma non mi basta. Devi mirare a ferirmi. Ricominciamo.»
Nihal si rialzò. La pioggia le impediva di vedere bene e scivolava sulla melma. Decise di chiudere gli occhi. Riuscì a concentrarsi meglio sul rumore regolare che la sua spada faceva quando incontrava quella di Ido. Cercò di rompere il ritmo colpendo in controtempo, ma lo gnomo si adeguava immediatamente ai cambiamenti di velocità che lei imponeva. Allora tentò di farlo cadere, ma Ido era abile nel mantenere l’avversario a distanza. Alla fine colse l’attimo: fece girare la spada dello gnomo e provò a strappargliela di mano. Ottenne solo che la lama avversaria si sollevasse in alto. Esasperata, gli si gettò contro, ma si accorse di avere un coltello puntato contro il ventre.
«Scommetto che ti hanno già fregato in questo modo» disse Ido con un sorrisetto, mentre riponeva le armi. «Non sei male. Con i fammin e con i guerrieri normali la tua tecnica è più che sufficiente. Un cavaliere però spesso combatte con altri cavalieri, e da questo punto di vista sei scarsina. Poco male, farai esperienza.»
Nihal strinse i pugni.
«Hai un’altra grossa pecca» continuò Ido. «Combatti come una belva ferita. Mai perdere la lucidità in battaglia. Tu invece ti lasci trasportare dall’ira. Ricorda: l’ira acceca il guerriero e gli fa fare errori stupidi. L’ira porta alla tomba.»
Era tutto vero, tutto stramaledettamente vero.
Ido si strizzò la barba fradicia. «Questa pioggia è fastidiosa, rientriamo. Più tardi baderai al mio Vesa, così familiarizzi con i draghi.»
Nihal, grondante e ricoperta di fango, rimase in piedi nell’arena. Guardò lo gnomo allontanarsi.
Forse aveva fatto un errore di valutazione.
Passò gran parte del pomeriggio a osservare la pioggia.
Quando stava all’Accademia, dalla feritoia della sua stanza vedeva solo uno spicchio di cielo, ma ora dalla porta della capanna poteva abbracciarlo tutto con lo sguardo.
Le piaceva la pioggia. Sotto le gocce d’acqua sembrava tutto più calmo, ordinato, pulito. Si sorprese a pensare che Fen fosse parte delle nuvole che vedeva correre lassù, in alto. In quella pioggia c’era un po’ di lui che ritornava sulla terra. Allora sognò di volare via e scomparire anche lei come fumo nel vento.
Ido invece se ne stette sul letto a fumare e a riflettere sulla prima impressione che gli aveva fatto Nihal. Sì, c’era materia per farne un ottimo guerriero, però aveva qualcosa che gli sfuggiva.
Ido si chiese quale segreto si portasse dentro.
La scuderia dei draghi era un edificio largo e imponente che si ergeva al centro della cittadella, poco lontano dall’arena.
Non appena giunse sulla soglia, Nihal sentì il respiro di tutti gli immensi animali che vivevano là dentro. Era emozionata.
Quando entrò, lo spettacolo che le si parò davanti fu straordinario.
L’ambiente era diviso in decine di vaste cavità scavate nelle pareti, in ciascuna delle quali stava un drago. Ce n’erano di tutte le possibili sfumature di verde e di tutte le dimensioni. Alcuni animali erano giganteschi e arrivavano a misurare più di quattro braccia al garrese, altri erano più piccoli e compatti.
Alla ragazza mancò il fiato: quanto desiderava un drago!