Ido si muoveva sicuro, mentre lei lo seguiva avanzando lentamente, quasi stesse profanando un luogo sacro.
Percorsero il lungo corridoio fino alla fine della costruzione, poi lo gnomo si fermò davanti all’ultima nicchia.
Era occupata da un grande drago dal colore insolito: era completamente rosso e le sue iridi gialle bordate di verde spiccavano sul manto scarlatto. Era bellissimo.
Nel vedere la sconosciuta, l’animale si mise subito in guardia, ma Ido gli si avvicinò e gli accarezzò il muso. «Buono, Vesa, non c’è niente da temere. È il mio allievo. Devi fare l’abitudine alla sua presenza.»
Il drago parve calmarsi, ma continuò a guardare in direzione di Nihal sbuffando con le narici. Lei restò lontana.
«È solo preoccupato. Avvicinati.»
Nihal fece qualche passo. Vesa non reagì. Allora si avvicinò di più, si fece coraggio e tese addirittura la mano. Il drago si scostò con aria sdegnata.
Ido scoppiò a ridere. «Non esagerare. Guarda che non è un cagnolino. È un guerriero, e come tale vuole essere trattato.»
A Nihal per un attimo Ido e il suo drago sembrarono molto simili.
Poi le parve di percepire chiaramente quello che il drago stava provando: diffidenza, ma anche curiosità. Quei sentimenti non le appartenevano, eppure li sentiva come se li stesse provando lei. Era la stessa sensazione che aveva avuto all’incontro tra Laio e Sennar.
«Perché ha questo nome?» chiese a Ido.
«Perché è il mio drago, il drago dell’unico gnomo cavaliere. “Vesa” è una parola del dialetto della Terra del Fuoco, da dove vengo. Significa veloce.»
Ido gli montò in groppa con un balzo e Vesa parve volerselo scrollare di dosso per gioco. L’animale cercò di disarcionarlo, ma lo gnomo si resse ritto sul suo dorso. Alla fine capitolò.
«Lo so, lo so: sei sempre tu che comandi» disse schioccandogli una sonora pacca sul fianco. Poi si rivolse a Nihaclass="underline" «Voglio che oggi sia tu a dargli da mangiare. Il cibo lo trovi là in fondo».
Nihal era intimorita. Ricordava ancora la volta che Gaart aveva cercato di arrostirla con il suo alito di fuoco. Rimase impalata, spostando gli occhi da Vesa a Ido e viceversa.
«Guarda che se hai paura non ti lascerà neppure avvicinare. Devi farti accettare da lui. E un drago ti accetta solo se ti reputa degna. Stampatelo bene in mente per quando arriverà il tuo.»
In un angolo della scuderia c’era una fila di carriole colme di pezzi di carne sanguinolenta.
Nihal ne prese una e la spinse faticosamente fino alla nicchia di Vesa, ma il drago non sembrava interessato al cibo. Continuava a scrutarla con sospetto, soffiando dalle narici dilatate.
Nihal non aveva avuto paura in battaglia e neppure la prima volta che si era trovata faccia a faccia con un fammin. Ma ora era intimorita.
Ido la guardava con le braccia conserte. «Devi stare calma. È come una battaglia. Fagli sentire che sei sicura.»
Nihal deglutì e avanzò di qualche passo.
Vesa emise un brontolio sordo, che diventò una sorta di ruggito quando la ragazza diede segno di volersi avvicinare ancora.
Nihal si fermò. Aveva una fifa blu.
Vesa si rizzò sulle zampe posteriori, in posizione d’attacco. Sembrava che volesse saltarle addosso da un momento all’altro.
«Non mollare la carriola: gliela devi portare sotto il naso.»
Allora Nihal mosse un passo, poi un altro, poi un altro ancora, mentre Vesa protendeva una zampa verso di lei e soffiava a più non posso. Quando si sentì abbastanza vicina, posò la carriola e schizzò via con il cuore in tumulto.
«Come primo giorno può andare.»
Ido si avvicinò a Vesa.
«Povero, povero il mio drago» gli disse in tono canzonatorio mentre gli dava dei buffetti sul muso.
Smise di piovere verso sera, in tempo perché Nihal potesse godersi un tramonto fulgido e bellissimo. Seduta fuori dalla capanna, con la schiena appoggiata alle assi di legno, guardava tra le ciglia socchiuse il sole che bruciava sugli alberi del bosco e si sentiva serena.
Quell’Ido non era poi tanto male. E Vesa era un animale meraviglioso. Forse la sua permanenza nel campo non sarebbe stata infruttuosa.
Le voci arrivarono all’improvviso.
Nihal si strinse istintivamente le tempie con le mani.
L’incendio del tramonto si trasformò nel rogo di Salazar.
Rivide il corpo senza vita di Livon. La pira di Fen che bruciava.
Si sentì scoppiare la testa.
No, no, per favore.
Fu Ido a strapparla al suo incubo. «Coraggio, oggi hai fatto il tuo dovere. È l’ora del rancio.»
Nihal si riscosse, le voci cessarono.
Seguì il suo maestro con la testa leggera.
Per qualche giorno le cose proseguirono tranquille: di mattina Nihal si allenava con la spada insieme a Ido, di pomeriggio prendeva confidenza con Vesa e di sera lucidava le armi del suo maestro.
Ido, per parte sua, non sembrava fare molto. Stava quasi sempre nella sua capanna e solo di tanto in tanto volava via con Vesa. A volte partecipava con gli altri cavalieri alle sedute del comando, durante le quali si decidevano le strategie future.
In realtà, per tutto il tempo studiava la sua allieva.
Quando combattevano percepiva la rabbia di Nihal e in quella rabbia riconosceva qualcosa che gli era appartenuto, in passato.
L’idea di addestrarla, di trasmetterle tutto ciò che anni di combattimento gli avevano insegnato, lo stimolava.
Per di più si trattava di insegnare a un mezzelfo.
Si raccomandava prudenza, ma quell’incarico iniziava a piacergli.
Nihal aveva cercato di farsi un’idea del posto in cui si trovava.
Aveva capito che la cittadella, che tutti chiamavano semplicemente “la base”, era una specie di avamposto da cui partivano missioni di guerra contro i nemici nella Terra dei Giorni.
La scoperta di essere a un passo dalla sua terra natale la colpì.
Ido l’aveva portata su un promontorio. Da lassù si spandeva a perdita d’occhio un panorama di desolazione.
«Ecco. Quella è la terra dei tuoi avi e dei tuoi simili. Anche se forse sarebbe meglio dire “era”.»
La ragazza aveva guardato in silenzio, ma dentro di sé si era detta che, sì, un giorno il suo odio sarebbe traboccato.
E allora tutti i morti avrebbero avuto vendetta.
Erano passati più di venti giorni da quando era arrivata alla base e del suo drago non si aveva ancora nessuna notizia.
Nihal quasi non aveva tempo per pensarci. Trascorreva la maggior parte della giornata in combattimento con Ido. Aveva imparato ad apprezzare il suo maestro: per la sua abilità con la spada, certo, ma anche per il suo carattere. Quasi senza accorgersene era passata dalla diffidenza all’ammirazione.
Una sera, stanca per l’addestramento, Nihal sentì il bisogno di stare all’aria aperta. Uscì dalla capanna e si sdraiò sull’erba a guardare le stelle. Erano migliaia. Pensò a Sennar: a lui piaceva la notte. Quando erano ragazzini avevano passato decine di serate come quella sulla terrazza di Salazar, oppure sul prato dietro la casa di Soana. Sembravano passati mille anni. Poi la mente iniziò a vagare. Fen, Livon, i mezzelfi… Le voci echeggiarono flebili nella sua testa. Ecco le vecchie amiche che tornano.
«Bello il cielo, vero?» Ido sedette a terra, l’immancabile pipa tra i denti.
«È bello davvero…» rispose Nihal. La presenza dello gnomo non la disturbava.
«Toglimi una curiosità.»
Nihal voltò il viso verso di lui.
«Sei una ragazza graziosa, di sicuro non avresti penato a trovare marito…» Ido aspirò una lunga boccata dalla pipa. «La guerra è brutta, Nihal. Perché hai deciso di combattere?»
Nihal inarcò un sopracciglio. «E tu, perché hai deciso di combattere?»
Ido sorrise e sbuffò una nuvola di fumo bianco.
«Io? Io un giorno ho capito la differenza tra quello che è giusto e quello che è sbagliato. Ho capito che la gente del Mondo Emerso aveva diritto alla pace. Allora ho preso la mia spada e l’ho messa al servizio dell’esercito. Tutto qui.»