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A Nihal sembrava già di vedere la scena: Sennar, avvinto nelle spire di chissà quale potente sortilegio da lei evocato, che le chiedeva pietà e le porgeva supplicante il pugnale…

Sì, avrebbe fatto così. Forse per imparare la magia le ci sarebbero voluti anni, ma che importava? Anche dopo un secolo avrebbe cercato quel ragazzino e l’avrebbe battuto.

Restava solo da trovare un mago disposto a insegnarle. Lei non ne conosceva ma, con tutta la gente che circolava per la bottega, Livon sicuramente ne conosceva qualcuno che fosse disposto a prendersi un allievo.

L’indomani mattina Nihal comunicò la sua decisione al padre, che la prese tutt’altro che bene.

«Perché stai montando questa assurda baraonda per una ragazzata? Ti ho già detto che bisogna saper perdere, e prima lo imparerai meglio sarà.»

«Le mie non sono ragazzate» ribatté Nihal piccata. «Io voglio davvero essere un guerriero, un grande guerriero, e per farlo ho bisogno della magia. Che ti costa dirmi il nome di qualcuno che mi insegni?»

«Non ne conosco» sbottò spazientito Livon, e sperò che il discorso finisse lì.

Nihal però non si arrese. «Non è vero. Lo so benissimo che ogni tanto vendi armi con sopra un incantesimo. Da qualcuno te li farai fare questi incantesimi, no?»

Messo di fronte all’evidenza dei fatti Livon si irritò ancora di più. Batté un pugno sul tavolo da lavoro. «Dannazione! Non mi va che impari la magia!»

«Ma perché?»

«Non sono tenuto a darti spiegazioni!» tagliò corto lui, e si chiuse in un ostinato silenzio.

«Se tu non mi aiuti, me lo cercherò da sola!»

«A Salazar non ce ne sono.»

«Me ne andrò in qualche altra torre. Non ho paura di viaggiare, io!»

«Allora fa’ quel che ti pare e vattene!» urlò Livon.

Nihal sentì le lacrime pungerle gli occhi. Non era solo per il fatto che dopo anni di pacifica e felice convivenza stavano litigando per la prima volta. Era che d’un tratto si era sentita incompresa proprio da Livon, che aveva creduto fosse l’unico in grado di capire sempre quel che lei pensava e provava. La stava trattando come una ragazzina capricciosa.

Ricacciò indietro le lacrime e guardò la grossa schiena del padre, irrimediabilmente girata.

«Benissimo!» disse con stizza.

Ma quando fece per andarsene la voce profonda di Livon la bloccò. «Aspetta…» bofonchiò l’armaiolo, voltandosi verso di lei. «Nihal, è solo che ho paura. Ecco, l’ho detto. Ho paura che tu te ne vada. Finché vuoi fare il guerriero ci sono qui io. Ma apprendere la magia…»

Un groppo in gola gli bloccò le parole.

«Ma sei impazzito? E dove dovrei andare? Io ho solo te al mondo!»

Nihal lo abbracciò. «Vecchio, tu sarai sempre la mia casa.»

Livon si commosse, ma quelle parole non riuscirono a rasserenare il suo animo. Strinse Nihal tra le braccia ancora per qualche istante, poi la scostò da sé. «Una maga ci sarebbe» disse esitante.

«Lo sapevo! Fantastico!» Nihal sprizzava gioia da tutti i pori. «E dove?»

«Al confine con la Foresta.»

«Ah…»

La Foresta era l’unico bosco della Terra del Vento. In una terra di steppe e spazi aperti come quella, l’unico bosco faceva paura: non c’era abitante di Salazar che non temesse quel luogo. E Nihal non faceva eccezione.

«Sì, insomma, lì c’è una casa. Ci abita tua zia.»

Nihal rimase di stucco. In tredici anni non aveva mai sentito parlare di parenti di sorta.

«Si chiama Soana, è mia sorella. Ed è una maga molto potente.»

«Avevamo parentele tanto interessanti e non me l’avevi mai detto? Perché tutto questo mistero?»

Livon abbassò istintivamente la voce. «Al Tiranno non piace che si pratichi la magia nelle sue terre o in quelle a lui alleate. Tua zia ha dovuto andarsene da Salazar. Diciamo che… è molto amica dei nemici del Tiranno, ecco.»

Nihal si sentì fremere di eccitazione: una cospiratrice! «Accidenti, Vecchio!»

«Inutile dire che gradirei che tu non andassi a vantartene in giro. Con nessuno. Chiaro?»

«Io? Ma per chi mi hai presa?»

3

Soana.

Il giorno successivo Nihal era impaziente di partire. Aveva con sé un piccolo bagaglio e una scorta di pane, formaggio e frutta che Livon le aveva imposto di portarsi dietro nonostante il viaggio fosse breve.

In piedi in mezzo alla bottega ascoltava per l’ennesima volta le indicazioni e raccomandazioni di Livon. «La strada è quella che dalla città conduce fuori verso sud, non puoi sbagliare.»

«Sì, me l’hai già detto.»

«E comportati a modo. Soana è una persona severa, non credere che te le lascerebbe passare lisce come me.»

«Non mi perderò, sarò brava e ti farò fare bella figura. Va bene?»

Livon le schioccò un bacio in fronte. «Va bene. Ora vai, prima che cambi idea.»

«Ciao, Vecchio. Quando torno, con una magia metterò in ordine tutta la casa!»

Dirigendosi verso la porta, Nihal prese con noncuranza una spada a caso dal mucchio di quelle appena forgiate.

«Nihal?»

La ragazzina si voltò con aria innocente. «Sì?»

«La spada. Non mi sembra di averti dato il permesso di prenderla.»

«E tu vorresti farmi andare in giro tutta sola senza nemmeno un’arma per difendermi?»

Livon sospirò e si arrese. «È solo un prestito.»

«Ovvio!» disse Nihal, e uscì dalla bottega saltellando.

La via si srotolava dritta e sicura, senza possibilità d’errore. La sua nuova spada le difendeva il fianco e, a mano a mano che si addentrava nella steppa, Nihal iniziava a sentirsi in pace con se stessa; anche il pensiero della rivalsa, che fino a quel momento aveva dominato la sua mente, iniziava a sbiadire.

Avanzava tra l’erba, nella lieve foschia mattutina, e sentiva l’autunno penetrarle nelle ossa. Da sempre lo spettacolo della natura aveva il potere di calmarla. Al tempo stesso però, quando era sola, la avvolgeva la consueta sottile malinconia e quello strano mormorio interiore reclamava ascolto. Anche quella mattina, mentre camminava nella bruma e l’unico suono che l’accompagnava era lo scricchiolio dei suoi passi sulle foglie secche, era come se voci lontane le rivolgessero deboli richiami. Ma quelle sensazioni erano diventate compagne abituali per Nihal. E lei non se ne preoccupava: aveva imparato ad amare quei sussurri come vecchi amici.

Le prime propaggini della Foresta si presentarono minacciose dopo qualche ora di cammino spedito, e proprio nei pressi dei primi alberi si intravide una casupola. Era fatta di semplici assi di legno ed era veramente piccola. Nihal rimase delusa: s’aspettava qualcosa di meglio per una grande maga.

Si avvicinò alla porta un po’ intimorita. Rimase lì davanti per qualche secondo. Dall’interno non proveniva alcun rumore: forse non c’era nessuno, si trovò a sperare. Poi scrollò le spalle per dare un taglio agli indugi e bussò.

«Chi è?» chiese una voce dall’interno.

«Sono Nihal.»

Silenzio, quindi un rumore di passi leggeri verso l’uscio, infine il cigolio della porta che si apriva.

A Nihal si presentò una donna davvero molto bella. Alta e femminile, capelli scuri a incorniciare un volto a cui un lieve pallore donava una nota di solennità, occhi neri come carbone, labbra piene e rosate. Portava una lunga tunica di velluto rosso.

Dunque quella era sua zia? Possibile che fosse la sorella di Livon?

La donna la guardò con un sorriso enigmatico. «Sei cresciuta. Vieni, entra.»

All’interno regnava un ordine esemplare.

La porta d’ingresso si apriva su una saletta, sulla quale si affacciavano due piccole camere da letto. Chissà, forse c’era anche uno zio… La stanza principale era quasi completamente tappezzata di scaffali: su una parete c’erano esclusivamente libri, sull’altra sia tomi voluminosi sia recipienti colmi di erbe e di strani intrugli. Poi un piccolo caminetto e al centro del locale un tavolo, anch’esso coperto di libri.