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Ido lo guardò impassibile. «E perché mai? Abbiamo penato tutti, all’inizio.»

«Oarf apparteneva a Dhuval. Quella bambina non può farcela» si intromise un altro cavaliere.

«Mi stupisci. Dovresti sapere meglio di me che un drago non appartiene a nessuno. E credimi: quella è tutt’altro che una bambina.»

Stanca, sporca e livida, Nihal si decise a lasciare l’arena solo al tramonto.

Un attimo prima di uscire si voltò verso Oarf. «Vedremo chi l’avrà vinta, alla fine!» gli urlò.

Ido sorrise sotto i baffi e le diede uno scappellotto. «Vieni via, spaccona!»

La mattina seguente Nihal si svegliò che era ancora buio. Non aspettò nemmeno che Ido si destasse e andò da sola nella scuderia.

L’alba era appena sorta e i draghi riposavano ancora, acciambellati nelle loro nicchie.

Oarf non faceva eccezione. A vederlo addormentato non pareva feroce come il giorno prima. Nihal si sedette a guardarlo in silenzio, incantata. La sua grande testa giaceva abbandonata sulle zampe anteriori incrociate. I fianchi si alzavano e abbassavano al ritmo pulsante del respiro, mentre la coda di tanto in tanto faceva un movimento lieve. Chissà se anche i draghi sognano, si chiese Nihal. Vedere quell’enorme bestia rilassata nel sonno era uno spettacolo affascinante. Non si era sbagliata: quello era proprio il drago che faceva per lei.

Per un po’ l’animale non si accorse della sua presenza. Poi, lentamente, aprì gli occhi. Le palpebre verdi sbatterono un paio di volte, mostrando, nascondendo e mostrando nuovamente le iridi fiammeggianti. La pupilla verticale si contrasse alla debole luce della scuderia. Oarf si svegliò.

Non appena vide la ragazza il drago scattò, sollevandosi sulle zampe posteriori e ruggendo con rabbia.

Con il cuore che batteva all’impazzata, Nihal strinse i pugni. Si costrinse a restare ferma. Non ho paura di te. Siamo uguali. Non ho paura di te. Oarf ruggì più forte e cercò di avvicinarsi, ma una grossa catena lo tratteneva per una zampa.

Il soldato che faceva il turno di notte alla scuderia sbucò dalla penombra, sbraitando. «Sei impazzita? Che cosa ti viene in mente di introdurti qui senza permesso? Lascia in pace questa bestia, non è per te!»

La prese per un braccio, ma Nihal fu rapida a divincolarsi.

«Tieni giù le mani, tu! Questo è il mio drago e vengo da lui quando mi pare e piace. Chi ti ha detto di legarlo?»

«Se è il tuo drago fatti obbedire, ragazzina! L’ho legato perché vuole scappare!»

Il clamore aveva attirato gente.

Ido si fece largo tra soldati e cavalieri. «Che accidenti succede qui?»

Nihal era indignata. «Sono venuta a vedere il mio drago e l’ho trovato incatenato: voglio che sia liberato!»

«Non è il tuo drago, non è di nessuno, quante volte devo dirtelo? E comunque se è legato c’è un motivo. Ora vieni via.»

Lo gnomo la trascinò in malo modo. «Non ti azzardare mai più a fare di testa tua, hai capito? Tu non sei un guerriero, non sei un cavaliere, non sei nessuno! Devi obbedirmi, o non andrai da nessuna parte.»

«Io… io ero andata lì per allenarmi! Non è questo che vuoi? Non ho trasgredito nessun ordine!»

Ido si fermò e fissò Nihal. Il suo sguardo non ammetteva repliche. «Non giocare con me, ragazza! Io sono il tuo maestro. Decido io quando devi o non devi andare da Oarf, chiaro?»

Nihal fu costretta ad abbassare la cresta.

Quando Ido la accompagnò all’arena, dal cielo plumbeo cadeva una pioggia ghiacciata.

Oarf era legato con una catena a un grosso palo conficcato nel terreno. Nihal si strinse nel mantello con un moto di rabbia. Non sopportava di vederlo così: il suo drago doveva essere libero. Accelerò il passo verso l’animale, ma Ido la riacciuffò agguantandola per un lembo del mantello e la costrinse a sedersi sugli spalti. Le si piantò davanti e la guardò fisso negli occhi.

«Ricorda che Oarf non ti appartiene, Nihal. Se ti va bene è il tuo compagno,

niente di più. Fagli sentire che ti fidi, e lui si fiderà di te. Devi trovare il tuo modo per conquistarlo. Ti senti pronta?»

Nihal annuì.

«Bene. Cominciamo.»

Nihal si alzò e si mise a camminare decisa verso il drago. Giunta a metà strada, però, girò sui tacchi e si diresse verso l’abbeveratoio.

«Ehi! Dove stai andando?» urlò Ido.

Nihal non si voltò neppure. «Fidati di me!»

Quando fu davanti alla fontanella si tolse il mantello.

Il freddo pungeva, ma la ragazza sembrava non accorgersene.

Lo mise sotto il getto dell’acqua finché non fu grondante, poi ci si riavvolse e si coprì la testa con il cappuccio.

Nihal si avviò rabbrividendo verso Oarf.

Il ringhio del drago riecheggiò nell’arena.

Nihal continuò a camminare.

Oarf ruggì con tutta la potenza dei suoi polmoni, indispettito che quella creaturina potesse osare tanto.

Nihal si fece sempre più vicina.

La bestia prese a strattonare la catena.

Nihal si fermò a una ventina di passi dal drago.

Lo guardò fisso negli occhi rossi.

Sentì quello che provava.

Odio. Paura. Solitudine.

La fiammata fu improvvisa e possente. Le arrivò vicinissima. Nihal non arretrò di un solo passo. Stretta nel mantello fradicio restò dov’era, dritta come un fuso.

«Che mi venga un colpo…» mormorò Ido.

Oarf esitò, dubbioso. La fiamma perse di potenza, quindi si spense del tutto.

Nihal continuò a guardarlo negli occhi.

Era come se il drago le parlasse.

Non voleva più avere niente a che fare con quegli esseri infimi che si uccidevano l’un l’altro. Li odiava tutti. Avevano trasformato quella terra magnifica in un luogo di morte.

Gli avevano portato via il suo compagno.

Odiava anche lei, sì. La odiava e l’avrebbe uccisa.

Una seconda fiammata sgorgò dalla sua gola.

Nihal sentì il calore asciugare rapidamente il mantello. Non si mosse: senza Oarf tutto quello che aveva fatto fino a quel momento non avrebbe avuto senso.

Il calore si fece via via più intenso. Intorno a loro la pioggia evaporava, dissolvendosi prima di toccare terra.

Nihal si mise a gridare. «Io non mi arrendo, hai capito? Non vedi che io e te siamo uguali? Anch’io ho perso il mio padrone, anch’io odio questo mondo!»

Il drago continuò a soffiare.

Nihal si sentì bruciare le ciglia. Piccole lingue di fuoco le lambirono l’orlo del mantello. «Accettami!»

Il calore era intollerabile.

«Accetta di combattere insieme a me!» strillò un’ultima volta.

La testa le girò. Le mancò il fiato. Ecco. È finita. Cadde in ginocchio.

Fu allora che Oarf smise di sputare fuoco.

La sovrastò per un istante, poi si ritirò verso il fondo dell’arena.

Ido la portò nell’infermeria della base, un bell’edificio in muratura.

A parte qualche lieve scottatura, non si era fatta niente: era solo mortalmente stanca.

Una guaritrice piuttosto anziana le spalmò sulle bruciature una pomata fresca e profumata di erbe. Poi Nihal si addormentò.

Si svegliò che era pomeriggio inoltrato. Fece appena in tempo a ripercorrere nella memoria quanto era successo, quando vide Ido avvicinarsi alla sua branda.

Nihal cercò di indovinare dal suo sguardo se fosse arrabbiato, ma lo gnomo era imperscrutabile.

«Ce l’hai con me?»

«No. È stata una bella sfida. Il problema è un altro.»

Nihal lo fissò stupita. «Cioè?»

Ido si sedette su uno sgabello accanto al letto. «È un problema di strategia e di opportunità, Nihal. L’idea che hai sfruttato con Oarf era buona, ma l’esito è stato pessimo.»

«Io non…»

«Silenzio. Ascoltami. In guerra ogni volta che intraprendi un’azione devi valutare bene come ti muovi: un esercito è fatto di uomini, ciascuno dei quali è un tassello importante per la vittoria. La vita di un cavaliere, poi, è ancora più preziosa per l’esercito. Un cavaliere è un condottiero, dalle sue azioni dipende la sorte di molti soldati. Se muore lui, il più delle volte trascina con sé anche quelli che comanda. Per questo ognuno deve tenere in conto la propria vita, perché non appartiene solo a lui ma a tutti quelli che combattono.»