Ido accese la pipa e tirò una lunga boccata.
«Non ha senso sprecare la propria vita in un’azione suicida: non serve a nessuno e meno che mai a chi muore. Il bravo guerriero fa solo quello che gli è stato ordinato, e se prende l’iniziativa deve conoscere i propri limiti e agire di conseguenza. Ora, tu hai intrapreso un’azione inutile e pericolosa, senza conoscere i tuoi limiti e rischiando la vita per un’idiozia.»
Nihal si offese a morte. Si mise a sedere, agitata. «Sapevo quello che facevo!»
«No che non lo sapevi. Cosa credevi, di cavartela con un mantello bagnato? Eri consapevole che il tuo trucco non sarebbe durato, ma ti sei buttata lo stesso.»
Ido, serafico, tirò un’altra boccata.
«Forse qualche esaltato ti ha detto che un guerriero non ha paura della morte. Non c’è niente di più falso. Un guerriero è una creatura come le altre: ama la vita e non vuole morire. Però non si lascia dominare dalla paura, e per questo capisce quando è necessario morire e quando è inutile. Questo è un guerriero.
Tu invece hai rischiato di morire per cosa? Per farti apprezzare da me e fare la spavalda con un drago che non ti vuole. Non mi sembrano motivi utili né intelligenti. Solo stupidi.»
Nihal si sentì punta nel vivo: da quando aveva preso coscienza di chi era aveva giurato che non sarebbe morta invano. E ora il suo maestro la accusava di cercare vanamente la morte. «Ti sbagli» disse con foga. «Ero sicura che Oarf non mi avrebbe ucciso!»
«Nihal, non ci conosciamo da molto, ma credo di averti capito. Tu invece non hai ancora compreso con chi hai a che fare. Non ci riesci a prendermi in giro. Non eri sicura proprio di un bel niente. Hai voluto solo provarmi che sei coraggiosa. Be’, il tuo non è coraggio. È incoscienza. E fa più morti quella di tutte le truppe del Tiranno messe insieme.»
Nihal tacque.
Un pensiero maligno si insinuò nella sua testa: e se davvero avesse agito così perché non le interessava più vivere o morire? No, non è vero! Sapevo quello che facevo! Io voglio vivere. Io devo vivere perché ho una missione da compiere!
«Ricorda bene quello che ti ho detto oggi. Per questa volta non mi arrabbio, perché spesso anch’io sono stato impulsivo. Ma d’ora in avanti devi imparare a ragionare su quello che fai e sulle motivazioni che ti spingono a farlo.»
«So che quel drago è il mio drago» disse Nihal con impeto.
Ido si sporse sulla branda. «È di qualcuno l’acqua? Il vento? La furia di un uragano? Un drago è una forza della natura e di tanto in tanto si sceglie un compagno. Se non riesci a capirlo non cavalcherai mai Oarf. Stamattina hai detto che il tuo padrone è morto. Mi dispiace dirtelo, ma chiunque fosse non era il tuo padrone, Nihal.»
La ragazza abbassò lo sguardo sulle coperte. Non voleva che lo gnomo si accorgesse che gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime.
«Nessun uomo, nessun mezzelfo, nessuno gnomo che voglia chiamarsi tale appartiene a qualcuno. Ognuno deve trovare la forza di tracciare il proprio destino. Il padrone ce l’hanno gli schiavi, e tu non lo sei. Se vuoi essere un cavaliere devi liberarti del dolore e prendere in mano la tua vita. Sta a te farne un buon uso o gettarla via.»
Ido si ritrasse e si riaccese con calma la pipa.
Nihal lo guardò per un po’: quanta forza, quanto coraggio spiravano da quell’ometto. Per un istante le parve un gigante.
«Te la senti di fare un viaggio?» le chiese lo gnomo quando la pipa ebbe preso.
«Credo di sì. Dove andiamo?»
«In guerra, ragazza mia. Dobbiamo dare man forte a un gruppo di ribelli che hanno liberato una città non lontano dal fronte. Sono stretti d’assedio da alcune truppe scelte del Tiranno. Li andiamo a liberare.»
Nihal sentì il cuore che accelerava.
«Potrò combattere anch’io?»
«Dovrai combattere anche tu: ho bisogno di vedere come te la cavi in battaglia.»
La marcia fino alla città fu breve.
La strategia era già stata concordata prima di partire, poiché una volta arrivati non avrebbero avuto il tempo né il luogo per fare piani, visto che non c’erano accampamenti nei dintorni. L’attacco si basava esclusivamente sulla sorpresa: avrebbero cercato di prendere gli assedianti alle spalle. Ido era l’unico Cavaliere di Drago della truppa e pertanto sarebbe stato il comandante dell’attacco.
Ido e Nihal cavalcavano affiancati. Lo gnomo fumava tranquillamente, ma la ragazza fremeva.
«Hai paura?» le chiese.
«No.»
«Male. Tutti hanno paura prima di combattere, è giusto che sia così. Anch’io ho paura.»
«Non mi sembra proprio che tu abbia paura» commentò Nihal.
«Ho paura, non terrore. La paura mi dà la dimensione di quello che mi appresto a fare. La paura è mia amica, perché mi fa capire che cosa fare in battaglia, mi evita rischi inutili e mi mantiene lucido.»
Nihal alzò un sopracciglio. «Dici? Non è la paura che fa scappare i soldati davanti al nemico?»
«Anche, Nihal, anche. La paura è un’amica pericolosa: devi imparare a controllarla, ad ascoltare quello che ti dice. Se ci riesci, ti aiuterà a fare bene il tuo dovere. Se lasci che sia lei a dominarti, ti porterà alla fossa.»
Nihal guardò Ido: quel tipo le piaceva, anche se non sempre riusciva a capire cosa intendeva dire.
«Siamo vicini. Ora si procede a piedi» disse Ido.
Abbandonarono i cavalli. Nihal estrasse da una bisaccia il drappo nero e prese a fasciarsi il capo.
«Combatti senza corazza?»
«Preferisco così.»
«Fa’ come credi…»
Lo gnomo si allontanò per raggiungere il suo drago nelle retrovie e andare a osservare la situazione dall’alto.
I fanti affrettarono il passo.
Nihal avanzava rapida e silenziosa come un gatto, i sensi tesi e attenti a ciò che la circondava.
Poi giunsero in vista del luogo dell’assedio.
La marea nera circondava le mura sbrecciate di una cittadina in rovina.
Un urlo di Ido fu il segnale che la battaglia aveva inizio.
Nihal si lanciò fra i primi con un furore e una rabbia anche maggiori della prima volta che aveva combattuto. Si scagliava sui nemici senza alcun timore di esporsi ai fendenti delle asce dei fammin, la mente dominata dal pensiero di distruggere tutto ciò che le capitava a tiro.
Ido ebbe il tempo, dall’alto, di vedere di tanto in tanto la sua allieva che infieriva sul nemico senza pietà.
Anche Nihal, nei pochi attimi in cui la battaglia le dava respiro, osservava il suo maestro volteggiare insieme a Vesa.
L’esercito guidato da Ido sembrava una infallibile macchina da guerra. Lo gnomo comandava le sue truppe con fermezza, senza scomporsi ma senza risparmiarsi. Schivava le frecce e al contempo attaccava senza timore. Le lingue di fuoco del suo drago spargevano il panico sui nemici a terra, presi alla sprovvista dall’attacco improvviso.
Quando la situazione fu ben delineata, Ido lasciò Vesa libero di continuare l’attacco dall’alto e scese a terra a combattere con la spada. Nihal lo seguì sicura, continuando la sua strage.
Fu una vittoria facile: poche perdite, molti prigionieri. La città era libera. Non era un risultato da poco: in quarant’anni di guerra erano state poche le volte in cui l’esercito delle Terre libere era riuscito a strappare territori al Tiranno.
Il successo fu festeggiato con esultanza all’interno della città affrancata e i guerrieri vennero accolti come eroi. Tutti offrirono ospitalità ai soldati per la notte e Ido accettò l’invito di buon grado.
La sera ci fu baldoria in piazza, con danze e un banchetto improvvisato, con i pochi viveri disponibili, dalle battagliere donne del luogo, che avevano infuso nel cibo tutta la loro riconoscenza per i soldati.
Nihal non partecipò all’euforia. Tutto quello che voleva in quel momento era combattere ancora, uccidere altri nemici. Anche nel bel mezzo della festa non riusciva a pensare ad altro.