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«Vuoi ballare?»

Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da uno scudiero piuttosto giovane, che le tendeva amichevole la mano. Arrossì. Ballare? Io? Era la prima volta che qualcuno la trattava come una donna.

«No, grazie. Non fa per me» si schermì.

«E dai! Coraggio! Siamo scampati alla morte, divertiamoci!» insistette il ragazzo con un sorriso incoraggiante stampato sul volto.

«Davvero, non so ballare.»

Lo scudiero alzò le spalle, le fece un inchino e un attimo dopo si era già lanciato nelle danze con una ragazza della città.

A Nihal venne in mente Fen.

Quante volte aveva sognato di ballare con lui! Volteggiare tra le sue braccia con un abito lungo in una sala scintillante di luci. Fantasie. Quella scena non poteva più esistere neppure nei suoi sogni.

Si strofinò gli occhi. Non doveva più fantasticare in quel modo: era un guerriero, non aveva più importanza se fosse uomo o donna. Era soltanto un’arma.

Tra la folla festante intravide Ido. Sorseggiava qualcosa da un boccale, scherzava con i soldati, guardava la confusione allegra che aveva invaso la piazza della città. Quel successo era merito suo.

Poi lo gnomo la notò e le andò incontro. «Ti devo parlare» le disse in un orecchio e la tirò in disparte sotto un porticato.

Per prima cosa le porse il boccale.

«Bevi, porta male non festeggiare la vittoria.»

Nihal assaggiò il contenuto del bicchiere: pungeva la lingua, ma aveva un ottimo sapore. Le vennero le lacrime agli occhi.

Ido rise. «Vedo che non hai mai bevuto birra! È la bevanda preferita degli gnomi, sai?»

Nihal gli restituì il boccale. «È buona…»

Ido diede un sorso, poi si pulì i baffi con il dorso della mano. «Perché non partecipi alla festa?»

«Non ne ho voglia.»

«Vedo.»

Ido diede un altro sorso. «Ti ho guardata con attenzione mentre combattevi.»

Nihal non riuscì a trattenere un sorriso e si preparò a ricevere lodi sperticate.

«Non mi sei piaciuta, Nihal.»

Il sorriso le morì sulle labbra. «Ho sbagliato qualcosa?»

«No. È il tuo modo di comportarti in battaglia che non mi piace.»

«Non capisco…»

«Ti butti nella mischia senza ragionare, con l’unico pensiero di distruggere tutto quello che ti capita a tiro. Per un fante qualunque può anche essere una tecnica efficace. Ma non è così che combatte un cavaliere.»

«In guerra conta quanti nemici abbatti, no? Io cerco solo di darmi da fare!»

Ido le offrì nuovamente la birra. Nihal ingollò, cercando di controllare la rabbia e la delusione per le parole del suo maestro.

«In battaglia dai l’impressione di un animale in gabbia che lotta per liberarsi.

Ti fai trascinare dal tuo corpo, combatti d’istinto. E poi ti batti come se sul campo di battaglia ci fossi solo tu. Non è così. Devi sempre sapere dove sono gli altri e che cosa fanno. Questo è importante per quando sarai cavaliere, perché allora guiderai altri uomini e dovrai avere sempre una visione globale dello scontro. Infine, Nihal, combattere è una necessità, non un piacere.»

«A me piace combattere, che c’è di male?» sbottò la ragazza.

«No, a me piace combattere. E ho scelto questa strada per mia volontà. A te piace uccidere. Ascoltami bene: in queste truppe non c’è spazio per chi è assetato di sangue. Se credi di scendere sul campo per dare sfogo al tuo odio, puoi scordarti di combattere ancora. Chiaro?»

Lo gnomo chiuse il discorso accendendosi tranquillamente la pipa, come se avesse parlato del più e del meno.

Nihal sentì il sangue salirle al viso. «I fammin hanno ucciso mio padre, Ido!» urlò. «E Fen! E sterminato la mia gente! Come faccio a non odiarli?»

Ido non si scompose. «I fammin e il Tiranno hanno ucciso mio padre, mi hanno portato via un fratello e hanno ridotto in schiavitù il mio popolo. Tutti qui hanno da raccontare una storia come la tua o come la mia, ma ci sforziamo di tenere bene a mente perché combattiamo. Tu sai perché combatti?»

Ido la fissò con tanta intensità che Nihal fu costretta ad abbassare lo sguardo.

«Se non lo sai, è ora che ti interroghi se sia il caso di continuare a fare il guerriero.»

«Io ho sempre voluto…»

«Basta. Ora vieni a ballare.»

«Non so ballare…»

«È un ordine.»

Senza neanche accorgersene Nihal si ritrovò in mezzo alla piazza, trascinata dal ritmo.

Che cosa c’era di sbagliato nell’odiare il Tiranno? Non era forse l’odio che dava la forza per combattere? Non era forse giusto odiare i fammin e vivere per sterminarli? Che cosa non andava in quella logica?

Il suo corpo continuò a ballare, ma la sua mente era altrove.

La festa terminò a tarda notte e Nihal e Ido si ritirarono presso un mercante che aveva messo loro a disposizione la sua casa.

«Non ti è piaciuto stasera?» disse Ido congedandosi. «Non hai sentito com’è bello divertirsi? Apprezza la vita, Nihal, e allora capirai perché combatti.»

Nihal si coricò più confusa che mai.

19

Lezioni di volo.

Per Nihal l’addestramento vero e proprio iniziò dopo la prima battaglia. Le mattine erano totalmente dedicate alle tecniche di combattimento. Ido non le dava tregua. Iniziavano al sorgere del sole e non si interrompevano se non quando era ora di pranzo e l’arena era gremita.

Non fu facile. Nihal era abituata a combattere d’istinto: sapeva di avere un dono e cercava di sfruttarlo al massimo. Ido invece la voleva sempre pronta, attenta e lucida. In allenamento come in battaglia lo gnomo non sbagliava un colpo, quali che fossero le armi che adoperava.

Nihal riprese in mano la lancia, la mazza chiodata, l’ascia e la frusta, con le quali si era già cimentata all’Accademia.

Imparò a concentrarsi in combattimento, a restare presente a se stessa in ogni momento dell’attacco, ma Ido non era mai contento.

Non gli bastava che Nihal padroneggiasse la tecnica. Voleva che fosse forte e sicura, che avesse sempre bene a mente i motivi per cui combatteva, che non si affidasse alla furia cieca dell’odio. Voleva farne una vera donna, utile a sé e al Mondo Emerso.

Ido voleva bene a Nihal, conosceva le sue potenzialità e ne ammirava la tenacia. Ma aveva capito cosa la muoveva: rabbia, voglia di vendetta, disprezzo per se stessa. E non poteva permettere che distruggesse la propria vita. Era troppo forte, troppo bella e decisa per buttarsi via.

Così non le dava tregua.

Non la lodava quasi mai, la sfiniva, la gettava a terra più e più volte per poi costringerla a rialzarsi dalla polvere per ritentare. E Nihal si rialzava sempre, senza lamentarsi, senza curarsi delle ferite. Aveva un obiettivo e voleva perseguirlo a ogni costo.

Con il trascorrere delle settimane, però, le sue certezze venivano meno. Era sempre stata sicura del suo destino di vendetta, non si era mai chiesta se fosse giusto o no, ma le parole di Ido dopo la battaglia avevano incrinato la sua convinzione.

Continuava a ripetersi che non capiva cosa ci fosse di sbagliato nel suo odio. Perché sarebbe sopravvissuta al suo popolo, se non per vendicarlo? Quando di notte si svegliava dagli incubi, si convinceva che la sua unica meta era abbattere il Tiranno. E morire. Perché non sapeva immaginare cosa avrebbe potuto essere di lei dopo che il Tiranno fosse stato vinto. Dove sarebbe andata? Che cosa avrebbe fatto? Senza quello scopo sarebbe stata come un sacco vuoto. Eppure…

Eppure la vicinanza di Ido le suscitava mille dubbi. Come faceva il suo maestro a combattere senza odiare? Da dove traeva la sua forza?

La bellezza della vita, diceva…

Sì, c’era stato un tempo in cui a Nihal la vita era parsa bella. Ma quel tempo era passato. Ora la sua esistenza era scandita da duri giorni di allenamento e notti dense di incubi.

A volte ripensava a quello che aveva sentito la notte della sua prima battaglia, alle possibilità che aveva intravisto. Era quella la vita che tutti amavano? Forse sì, ma a lei sembrava solo un sogno lontano.